Sabato scorso ho avuto la fortuna di essere invitata dal professor Giannattasio ad un seminario, durante il quale lui istruiva alcuni medici sulla qualità del cibo, sull’enorme importanza che l’agricoltura e l’allevamento biologici hanno in questo momento, ed esponeva la sua opinione sugli organismi geneticamente modificati.
Poggio di Camporbiano
In sala erano presenti allievi del corso di nutrizione clinica organizzato dalla dottoressa Anna D’Eugenio, medico nutrizionista, e coautrice, tra l’altro, di uno dei libri di bioterapia nutrizionale dei quali vi ho tanto parlato, e alcuni iscritti all’associazione Spes-alfa (che si occupa di educazione alla salute e prevenzione delle malattie attraverso l’alimentazione), della quale la dottoressa è direttore scientifico.
Il seminario è durato tutta la giornata, con una pausa di un paio d’ore per pranzo; Emma e Zac scorrazzavano per una meravigliosa roma settembrina *senza di me* (!!!), e nonostante questo sono rimasta tutto il tempo incollata alla sedia, ipnotizzata da tutto ciò che Giannattasio diceva e anche da come lo esponeva (quanto vorrei aver avuto un professore così ai miei tempi). Cercherò di farvi un sunto di ciò che è stato detto, ma preparatevi a leggere un papiro, perché era tutto troppo interessante e non so quanto riuscirò a sfrondare.
Se avete letto l’articolo sulla storia del grano sapete già chi è Matteo Giannattasio; medico, agronomo, napoletano (!!), attualmente insegna “qualità degli alimenti e salute del consumatore” all’università di Padova ed è consulente al San Gallicano di Roma per le allergie alimentari. Ha scritto diversi trattati sull’alimentazione, tra cui ultimamente un libro sugli additivi: “Gli additivi alimentari, una guida”, edito da Cibele. Last but not least, è anche il direttore scientifico della rivista Valore Alimentare della quale vi ho parlato qualche post fa.
Un uomo di vecchio stampo, che considero una vera fortuna aver conosciuto, e che ha tutta la mia ammirazione e stima per il lavoro che fa e per la sua testardaggine e onestà. Vi dico solo che ha iniziato il discorso paragonando il cibo ad un’opera d’arte, anzi, migliore di un’opera d’arte, perché coinvolge ogni nostro senso nella sua fruizione.

Tanto per cominciare ha fatto una carrellata sugli errori più comuni, che voi pastonudisti (eh eh) già conoscete (spero!!!!), e cioè la ricerca spasmodica del cibo “leggero” (il latte e lo yogurt magri, il formaggio light) o di quello “arricchito” (le patate al selenio, il vino al resveratrolo, il latte con gli omega 3) no, questa ve la devo dire: lo sapevate cos’è il latte con gli omega 3? è un latte che contiene tipo *tre* gocce di olio di pesce (non se ne può mettere di più perché avrebbe un odore un po’ strano), che rappresentano lo 0,01% degli omega 3 di cui abbiamo bisogno…).
Ha poi parlato dell’importanza di mangiare cibo senza additivi e di come questi ultimi siano invece tragicamente presenti in quasi tutto ciò che si trova in vendita, purtroppo anche e soprattutto in ciò che mangiano i bambini; dell’importanza di scegliere, tra i prodotti lavorati (ad esempio i biscotti) quelli che presentano la lista di ingredienti più corta, e più vicina a quella che useremmo per farli in casa.

Ci ha spiegato come negli ultimi tempi si sia realizzato l’orribile divario che credo molti di voi, come me, hanno paventato: un grande aumento della spesa nei supermercati biologici dove comunque si spende sensibilmente di più (a fronte di una qualità molto migliore), e parallelamente nei discount, dove la merce costa molto meno (e, a parte rarissime eccezioni, vale ancora meno di quanto costa). Non c’è bisogno che vi dica quanto questa cosa sia socialmente sconvolgente: le persone che stanno bene economicamente avranno la possibilità di preservare la propria salute nutrendosi nel modo più sano, e quelle che invece non hanno mezzi di sostentamento saranno sottoposte a tutti i rischi che comporta mangiare cibi che a volte contengono più di 6 o 7 additivi, senza contare le verdure ai pesticidi, la frutta ai nitrati, i vari conservanti, coloranti e tutto il resto appresso.
Ha toccato anche molti altri argomenti, tra cui la qualità igienico-sanitaria (sulla quale la legge è sorprendentemente severa: ma attenzione a non diventare ossessionati dall’igiene, perché è importante venire a contatto ogni tanto con alcuni microrganismi); la digeribilità degli alimenti, che viene poco considerata e poco apprezzata (ormai la stragrande maggioranza delle persone è abituata a sentirsi intasata dopo aver mangiato e non ci fa neanche più caso); e quali sono le caratteristiche che deve avere un’acqua bevibile (a differenza di quanto si crede è meglio non bere acque oligominerali se non si hanno problemi renali, e il valore più importante da controllare in etichetta è il contenuto di nitrati, che deve essere vicino o meglio pari allo 0).
A proposito dell’acqua una delle dottoresse presenti è intervenuta dicendo una cosa molto interessante, e cioè che le acque meno minerali sono spesso più inquinate delle altre, perché percorrono lunghi tratti in superficie (l’acqua è più o meno minerale a seconda degli strati geologici che oltrepassa; le oligominerali sono quindi passate di meno tra le rocce e hanno raccolto più nitrati, che si trovano in superficie). Questo non vale per le acque di alta montagna, che spesso non presentano alcuna traccia di nitrati (e questa è un altra stellina vicino alla voce “andare a vivere in alto adige”, nella lista di ciò che farò dopo i 50 anni).
Non sono mancate una serie di diapositive con dei dati che mi hanno lasciata sconcertata. Ad esempio ho trovato un po’ sconvolgente che rispetto a 30 anni fa il mais contenga il 22% di magnesio (che per le piante è come l’emoglobina per il nostro sangue) in meno e il 25% di calcio in meno, o che i broccoli contengano 55 volte meno potassio :-(
E naturalmente i colpevoli sono ancora una volta i nitrati e i pesticidi, che impediscono alle piante di dialogare con il sole. Alcuni geni delle piante infatti (in particolare quelli della qualità organolettica) vengono attivati solo in presenza di luce solare, ed è per questo che la frutta e la verdura coltivate secondo il metodo convenzionale non hanno alcun sapore. A proposito… lo sapevate che sulle fragole convenzionali viene spruzzato un profumo alla fragola? Giannattasio ha detto a tutti di evitarle, le fragole, in particolar modo alle donne all’ultimo trimestre di gravidanza e a quelle in allattamento… forse è il caso che cominciamo a pensare a come coltivarcele nell’orto, và (che tra l’altro pare sia una delle cose più difficili del mondo).
Vogliamo parlare dei pesticidi? Vi dico subito che nel 2008 sono stati proibiti 1.000 (mille!!!!) principi attivi dei 1.300 che erano permessi fino a quel momento. Entro la fine del 2009 inoltre dovranno esserne eliminati altri 32, che *ancora circolano adesso* perché magari le associazioni di categoria hanno chiesto delle proroghe. Questo vuol dire che allo stato attuale delle cose sono in commercio prodotti che si sa già da tanto che sono nocivi alla salute.
Vi faccio un esempio: le nocciole sono tutte trattate con un pesticida superpotente che si chiama endosulfan. L’endosulfan fa parte degli organoclorurati, che sono i figli del DDT (proibito da 50 anni ma del quale si trovano ancora tracce adesso), che agiscono bloccando il sistema nervoso degli insetti. Se vogliamo trovare qualcosa di peggio ci sono anche gli organofosfati, sperimentati negli hitleriani anni ’30 dalla Bayer, parenti stretti degli agenti nervini, e così devastanti che neanche i nazisti ebbero il coraggio di usarli.
Se poi pensate che gli additivi siano meno pericolosi, sappiate che il 26 luglio 2007 è stato *improvvisamente* ritirato l’E128 (rosso 2G), che veniva utilizzato ad esempio negli hamburger, e che nell’organismo si trasforma in anilina, sostanza cancerogena. Che l’E173, colorante alluminio, che potete vedere nei confettini argentati che decorano tanti dolcetti, è sospettato di portare all’alzheimer e ad altre malattie del sistema nervoso. Che l’E952 è un dolcificante sintetico permesso nell’unione europea e proibito negli Stati Uniti (un po’ strano, no?). E che ancora adesso girano l’E217 e l’E218, conservanti che portano problemi alla fertilità, l’E230, lE231 e l’E232 (bifenile, ortofenifolo sodico e tiabenzadolo), che trovate sulla buccia dei limoni.
Sono state dette tante altre cose, quella per me indimenticabile è stata la sua definizione del grano come una pianta di luce, sia metaforicamente, per il suo inscindibile rapporto con il sole, sia fisicamente, perché il grano è completamente ricoperto di quarzo, e all’alba risplende perché i cristalli riflettono la luce creandogli attorno un alone sfavillante.
Alla fine della mattina Giannattasio ha concluso il discorso parlando della cosa che più gli stava a cuore, e cioè del valore etico che ha l’agricoltura biologica, dell’imminente desertificazione che sta rischiando il centro-sud dell’Italia a causa dello sfruttamento intensivo del terreno, di quanto sia importante decidere di spendere il 30% in più per acquistare alimenti prodotti in modo da rispettare il lavoro degli agricoltori, il terreno, gli animali, e in definitiva la vita (e che quindi costano molto di più ai produttori in termini di tempo, attenzione e… testardaggine), e di come sia possibile sostenere economicamente questa scelta decidendo da subito di mangiare meno, molto meno.
Vi lascio con una sua frase apparentemente scontata, ma sulla quale io ho riflettuto molto negli ultimi due giorni: “Un prodotto genuino deriva sempre da una pianta o da un animale che viene messo in condizione di esprimere al meglio le proprie qualità durante la sua vita.”
Fate una pausa. Prendete una boccata d’aria, un buon caffè (dolcificato con zucchero grezzo) e fate una bella passeggiata. Ché la prossima volta vi devo raccontare degli ogm.