Ho vissuto quella che adesso posso definire la prima metà della mia vita a Napoli, e me la porto nel sangue, con tutti i suoi problemi, il suo coraggio, gli eroismi e le barocche meraviglie.
Non ne parlo mai, perché sono tra i fortunati che ne sono appena stati sfiorati, ma ho un ricordo estremamente vivido di quando nel bel mezzo della mia infanzia la terra tremó. Ricordo il cane nervosissimo che saltó il cancello prima che riuscissimo ad aprirlo, per fuggire fuori dalla casa che tremava.
E macerie sulla strada di ritorno verso casa, e la crepa nel muro di casa mia, il pappagallino morto di paura sul fondo della gabbietta, la mia mamma al telefono che era in macchina e non si era accorta di nulla, il palazzo accanto a quello di mio cugino distrutto in una nuvola di calcinacci e polvere.
Ma più di ogni altra cosa, il rombo. Quando la terra trema c’è quel rumore sordo, strano, globale. Ecco. E mi sento vicina agli Emiliani adesso, come mi sono sentita vicina agli Aquilani quando ci sono passati loro.
Quando Teresa ci ha detto che avremmo potuto aiutare in qualche modo la gente che ha vissuto tutto questo (e mica è finita, andate a vedere le foto sul suo blog…) e che nonostante la paura e le difficoltà ha ancora la forza di mettersi a tavola a scherzare e chiacchierare dimenticando ogni cosa per qualche ora sono stata felicissima di avere la possibilità di fare una piccola cosa anch’io.
Adesso non vi arrabbiate se siete Emiliani e questo Bensone non corrisponde a quello che conoscete, io purtroppo questo bellissimo e antico dolce che si inzuppa nel Lambrusco non ho mai avuto il bene di assaggiarlo (ma lo assaggerò, eh, fatemene solo trovare uno consapevole). Ho potuto solo studiare le ricette che c’erano in rete, e il difficile è che come tutti i dolci antichi che si rispettano ne esistono una miriade di versioni.
A Modena esiste il Bensone o Balsone o Bensoun (oh, correggetemi se dico qualche sciocchezza, eh, sono assolutamente disposta ad imparare cose nuove!); a Carpi la Ciambella o Belsone o Torta Bassona, a Bologna la Brazadela (che si chiama così perché si porta infilata nel braccio), che può essere dura, più o meno come il Belsone che vedete qui sopra, ma anche tenera, tipo un quattroquarti, farcito con crema allo zabaione o al cioccolato. A Reggio invece ha una forma a S; ma quello che è certo è che dappertutto si “puccia nel lambrusco”. Ah, poi se ho capito bene ce n’è anche una versione farcita, preferibilmente con il “savor” e si chiama pinza.
Ho letto che originariamente al posto dello zucchero veniva utilizzato il miele, e la prossima volta proverò senz’altro la sostituzione. Un’altra prova (ma cambiate sempre *una sola* variabile alla volta se volete sperimentare!!) potrebbe essere utilizzare il burro chiarificato al posto del burro (snaturandolo, però – chissà che non ne venga fuori un ibrido interessante).
Insomma, parole stavolta poche. Eccovi piuttosto l’appello di Teresa, per la Lucciola (andate a vedere il sito e capirete tutto), un bellissimo centro che fa terapia integrata per l’infanzia (una delle tante realtà in grande difficoltà). Basta anche un solo euro; regalato da tanti formerà un piccolo gruzzoletto che potrà fare la differenza; questi sono i modi, per chi avrà la possibilità di farlo, per aiutare il centro.
Donare il 5 xmille utilizzando questo numero: C.F. e P.I. 02243470362
Usare il conto solidarietà IBAN IT90P0200812932000102111630
Donare attraverso PayPal
E qui la pagina su facebook, dove potete seguire la situazione o avere informazioni.
Ingredienti:
per la granella di zucchero:
100 grammi di zucchero grezzo
10 grammi di acqua pura
per il Bensone:
500 grammi di farina 1 semintegrale
200 grammi di zucchero grezzo
100 grammi di burro
una bustina di polvere lievitante senza fosfati (17 grammi)
3 uova grandi
latte intero freddo quanto basta
una presa di sale marino integrale
un limone splendido
Per prima cosa preparate la granella di zucchero. Mettete lo zucchero in un piatto piano, aggiungete l’acqua e mescolate con un leccapentola fino a ottenere un composto granuloso.
Fate poi passare questo composto, schiacciandolo con le dita, su qualcosa che abbia dei buchi, ad esempio il retro di una grattugia a buchi larghi o stretti, a seconda di quanto volete che i granelli siano grandi. Fate cadere i granelli su un foglio di carta forno ben sparsi e poi lasciate asciugare qualche ora o tutta la notte prima di usarli.
Con lo zucchero grezzo ovviamente i granelli non vengono di quel bel bianco che hanno quelli industriali; se li volete più chiari forse potrebbe funzionare frullare bene lo zucchero fino a farlo diventare a velo e provare a fare la stessa operazione con quello che otterrete. Ma non avendo provato non saprei che tipo di Frankenstein potreste ottenere :-P
Mettete la farina in una grossa ciotola di vetro, aggiungete lo zucchero, il sale e la buccia grattugiata del limone, scavate una cavità al centro e metteteci il burro moooolto morbido. Impastate con le dita la farina con il resto degli ingredienti fino a ottenere un composto granuloso. A questo punto spolverate sul tutto la polvere lievitante e mettete le uova, impastate ancora un po’ (poco! volete ottenere una specie di biscottone di pasta frolla lievitata, non una torta morbida ed elastica, quindi cercate di evitare che si sviluppi glutine manipolando l’impasto il meno possibile), e aggiungete un po’ di latte freddo, solo un pochino, in modo che sia possibile modellare l’impasto in una forma oblunga, piuttosto stretta, perché si allargherà molto in cottura, una specie di sfilatino, per capirci.
Su alcune ricette ho letto che si può praticare un’incisione per tutta la lunghezza, ma sul mio sarebbe stato inutile perché non era così compatto da averne bisogno. Al limite se impastate di più e ottenete un panetto bello liscio e denso provateci. Pennellate il vostro quasi-bensone con un po’ latte (o latte mescolato a tuorlo d’uovo se lo volete più scuro) e fateci cadere sopra la granella di zucchero (o come nel mio caso appiccicatecela sopra, che scivolava via la malefica). Infornate a 170°C per circa un’ora.
Servite tiepido o freddo; si mormora che la morte di questo dolce sia inzuppato nel Lambrusco, ma anche con un bel bicchiere di latte ha assolutamente il suo perché. Ho letto che perché mantenga una buona umidità all’interno e fargli acquisire la particolare consistenza tipica si può infilarlo in una busta per alimenti ben sigillata quando è tiepido. Inutile dirvi che il nostro non ci è arrivato. Magari il prossimo, eh.
p.s.: dimenticavo!! Eccovi l’abbinamento di Luciano Pignataro scritto da lui medesimo: “Su questa ricetta propongo il Lambrusco Reggiano amabile di Venturini Baldini, azienda di Quattro Castella che è certificata biologica. Una soluzione frizzante e sgrassante per un dolce così tradizionale e impegnativo.”
L’ho sentito anche io quel rombo, quella sera. E prima ancora, frazioni di secondi prima, avevo visto l’aria che si colorava di rossa. Ma non capii, non subito. Per arrivarci, dovetti veder cadere un pezzo di intonaco. E mai avrei immaginato di dover rivedere, dopo tanto tempo, la stessa scena. Per questo, ho sentito tanto il terremoto qui a Modena pur non avendo avuto danni (a casa, per lomeno. L’ufficio, invece, è ancora inagibile). Ma c’e’ una cosa che non dimenticherò mai: i primi ad arrivare a Salerno furono i modenesi: ora è giusto dare indietro un po’ della forza che ricevemmo allora.
Sarò a Modena a Settembre per lavoro… se ne trovo uno consapevole te lo porto!!! Mi hai fatto venire una curiosità di provarlo!!!!!!!
è molto bello sapere che persone come te si “occupano” anche di noi terremotati,
io sono emiliana e da quando c’è stato il terremoto ho potuto seguire poco i miei blog preferiti di cucina, ma ultimamente sto notando che tu sei una delle poche che lo nomina e si dà pure da fare .
Grazie di cuore
Enrica di Reggiolo
È verissimo ciò che dice Enrica, la tua sensibilità ed il tuo cuore, izn, sono straordinari e si sentono in ogni riga che scrivi. Anch’io sono emiliana, sono nata e vissuta per buona parte della mia vita in un paese della provincia di Reggio Emilia, anche se in questo momento vivo lontano e torno solo quando posso. Ma lì ci sono la mia famiglia, le mie origini, un pezzo del mio cuore…
Leggere questo post mi ha commossa, per almeno due ragioni. La prima, è che mi sono sentita ancora più vicina alle persone vittime del terremoto, ora in Emilia, prima a l’Aquila, prima ancora in altre zone d’Italia e del mondo. Perché di fronte ad eventi di questa portata ci si sente così fragili e impotenti… Cambia la visione della vita, cambiano le priorità. A volte anche in meglio, perché si è costretti a ritornare all’essenziale…
La seconda ragione, è che il Bensone mi ha ricordato la mia cara nonna. Non ne sono sicura al 100%, ma credo che lei chiamasse questo dolce il “busilan”. Ora non ho la sua ricetta sottomano, la cercherò non appena tornerò a casa, ma gli ingredienti sono gli stessi.
Lei lo preparava a volte dandogli la stessa forma ovale di questo bellissimo che si vede nelle tue foto, altre volte a mo’ di ciambellone. In questo caso però, non usava il classico stampo per ciambella. Prendeva una teglia circolare di diametro non troppo grande, sistemava al centro una grossa mela bucherellata con una forchetta e disponeva tutt’intorno l’impasto. A me piaceva in tutti e due i modi. :-) I “grandi” lo “pocciavano” nel Lambrusco Reggiano, i “piccoli” nel caffè d’orzo o nel latte. Che dolcissimi ricordi… Grazie di cuore, per la ricetta e per l’iniziativa!
Un abbraccio,
Simona G.
per Simona G…..qui da noi si dice Bisulan, forse è questo il termine che tua nonna usava…un abbraccio
Enrica
@ Enrica: ohhh grazie, dev’essere questo allora il nome giusto, il Bisulan, mi suona più familiare infatti… Sono felice di avere ritrovato questo dolce ricordo! :-)
Un abbraccio,
Simona G.