Questa ricetta qui ha visto la luce solo grazie a quella peperina di Loretta, la quale benedetta donna io non capisco come faccia, ma nonostante sia diventata una peraltro bellissima mamma da appena due mesi e mezzo, spignatta, progetta e organizza che è uno spettacolo o_O

pangiallo ricetta facile

Io, quando la adesso treenne era una neonata, praticamente sparii dal mondo. Giusto internet, ma per quanto riguarda i rapporti sociali avrei potuto essere defunta, non rispondevo neanche al telefono.

La prossima vita rinasco gemelli come lei, ecco. Epperò anche con il suo ascendente capricorno, altrimenti parto per tutte le tangenti che incontro e chi mi ferma più. Bene. Passo subito a parlarvi di questo dolce, ché ho un sacco di cose da raccontarvi, se no mi esce il solito post chilometrico.

Insomma lei, la Loretta dei nostri sogni cioccolatosi, l’altro giorno mi chiama e mi dice senti ma visto che quest’anno sei senza impastatrice e il panettone 2.0 non lo fai, e il pandoro credo anche no, e poi non hai ancora postato *un solo* dolce tradizionale per Natale, che ne pensi di fare un giochino noi due noi? Potremmo prendere ad esempio il pangiallo e farne due interpretazioni diverse, una pastonudesca e una castadivesca (ve l’ho detto che Loretta produce cioccolatini libidinosi sotto il nome – bellissimo secondo me – di “Castadiva”, e che ogni cioccolatino ha il nome di un’opera lirica? Un giorno vi racconto meglio).

E con il pangiallo ci andavo a nozze, che non l’avevo mai provato a fare, e poi lo chiedono tutti a gran voce di recuperare le preparazioni tradizionali per le feste. E più tradizionale di così.

Poi dopo qualche giorno attraverso tutta Roma e oltre (abitiamo agli antipodi, sigh) per andare a prendere dei marroni bio che abbiamo acquistato in coppia via internet, e lei mi fa trovare il suo pangiallo tutto bello impacchettato, per fotografarlo per il post. Una che fa veramente seguire i fatti alle parole, la mia amichetta :-)

pangiallo ricetta tradizionale

E a quel punto ho dovuto cominciare a rimuginare e a fare ricerche (tipo ma tu come lo fai il pangiallo, e tu, e tu, e tu?), perché io volevo fare quello originale, cioè esattamente quello che era uscito dalle mani di chi l’aveva inventato per primo nella storia, eh.

Impossibile. Perché come potete leggere qui sebbene la prima ricetta scritta conosciuta risalga alla prima metà del ‘700, all’epoca si trattava di un dolce molto diverso da quello che siamo abituati a mangiare adesso, in pratica un pane dolce allo zafferano (da qui il nome pangiallo, e non dal presunto utilizzo di farina di mais, come molti affermano grazie anche al fatto che alcuni fornai romani, proprio su questa ipotesi, lo preparavano con la suddetta).

La seconda impossibilità è data dal fatto che il Pangiallo è figlio non solo del Lazio ma anche della Tuscia, e quindi legato oltre che alla cucina romanesca anche a quella Umbra; nel tempo i vari modi di prepararlo si sono fusi in modo talmente stretto che non è più possibile risalire a quella che era l’idea originale, sempre se mai ci fu.

pangiallo ricetta veloce

Ad esempio nel pangiallo del viterbese ci va il pepe, probabilmente per il contàgio subìto dal panpepato umbro. Anzi ormai nella Tuscia pangiallo e panpepato sono quasi lo stesso dolce, e ai castelli invece nel pangiallo c’è quasi sempre il cioccolato, che non fa parte della tradizione pangiallese.

Anche se in una discussione qui su coquinaria ho letto che il panpepato è umbro e prevede il cioccolato, e il pangiallo è laziale e parte da un impasto lievitato.

pangiallo procedimento

Nulla di sicuro, insomma. L’unica certezza è che *adesso* il pangiallo è un insieme di frutta secca (pensate che ho letto che anticamente al posto della frutta secca, che era costosa, ci si mettevano i noccioli delle prugne e delle albicocche conservati dall’estate) e canditi, non lievitato, friabile e piuttosto duro da tagliare, con un po’ di cioccolata e soprattutto non è giallo per niente, cosa che mi aveva insospettita dall’inizio.

Così nella mia versione ho pensato di recuperare un pochino ma solo un pochino di lievitazione, confortata dal fatto che anche il mitico Paolo Cacciani (lo conoscete il suo meraviglioso ristorante che sta a Frascati, vero?) – che tra l’altro è stato il mio primo chef consapevole nel lontano marzo 2009 – lo prepara con il lievito: la ricetta la trovate su questo pdf di ricette sue, che qualche anno fa creammo e impaginammo per la Camera di Commercio di Roma (sì, siamo ancora grafici, ma giuro che stiamo cercando di smettere).

Come vedete nella sua ricetta (Adriana è la sorella di Paolo) si parte da una pasta di pane fatta con il lievito di birra, alla quale poi vengono aggiunti tutti i componenti; al posto del miele c’è lo zucchero e la frutta secca è tutta senza pellicine. Anche nell’impasto di questo pangiallo giallissimo, non figura il miele ma lo zucchero, e anche qui c’è il lievito di birra.

Che fare. Dopo una lunga meditazione ho deciso di limitarmi a fondere tutte le notizie che ho trovato (con un occhio speciale alla ricetta di Paolo Cacciani), limando un po’ qui, aggiungendo un po’ là, e copiando anche una cosuccia da quello di Loretta (ehm… tesoro, l’impasto lo chiamava, lo zenzero, giuro!!!).

pangiallo ricetta

Ed è venuto fuori questo coso che chiamerò – molto umilmente – l’unico pangiallo vero al mondo, quello originale come l’ha fatto la mamma, perfetto nel suo stupefacente equilibrio di sapori e molto meglio di quello di Loretta (eheheheh).

Tanto chi ci viene dal secolo dell’illuminismo per contraddirmi. Solo che devo sistemare la testimone-scomoda Loretta. Vado a mettermi la calzamaglia nera.
Prima però vi annoto la mia ricetta pangiallosa; per quella di Loretta dovrete avere ancora un paio di giorni di pazienza; comunque in tempo per Capodanno (o per la Befana, o per un giorno qualsiasi :-))

Ingredienti:
200 grammi di uva passa
100 grammi di noci
50 grammi di mandorle
50 grammi di nocciole
50 grammi di pinoli
una piccola noce di radice di zenzero fresca
70 grammi di farina 1 (più un altro po’ per la copertura)
50 grammi di miele di acacia
20 grammi di bianca rinfrescata da poco
un cucchiaio abbondante di rum
una presa di sale
la buccia di un’arancia
un pizzico di cannella
un pizzico di noce moscata
un limone
260 grammi di acqua
200 grammi di zucchero grezzo
qualche pistillo di zafferano
un cucchiaio o due di olio extra vergine d’oliva

Per prima cosa semi-candite la buccia dell’arancia. Lavate e sbucciate l’arancia e tagliate la buccia a striscioline; mettetela poi in un pentolino con abbastanza acqua fredda da coprire completamente le bucce, e lasciate arrivare il tutto a ebollizione; appena inizia a bollire scolate subito le arance, ma conservate l’acqua che scolerete in una ciotola. Ripetete questa operazione (che serve a togliere l’amaro dalle bucce) altre due volte; stavolta però l’acqua potete gettarla. Alla fine scolate le bucce e mettetele ad asciugare su uno strofinaccio pulito.

Quando l’acqua di scolatura delle bucce si sarà intiepidita metteteci dentro l’uvetta a rinvenire. Preparate lo sciroppo versando l’acqua e lo zucchero in un pentolino che metterete a scaldare sul fuoco a fiamma medio-bassa e mescolate fino a quando lo zucchero sarà completamente sciolto. A questo punto abbassate ancora un po’ la fiamma, mettete le bucce dell’arancia e lasciate sobbollire, mescolando ogni tanto, fino a quando lo sciroppo non formerà una schiuma piuttosto densa. A questo punto prelevate le bucce dallo sciroppo con una pinza e mettetele ad asciugare all’aria, su una gratella.

Sbucciate poi tutta la frutta secca e fatela asciugare una decina di minuti in forno a 170°C. Poi tiratela fuori e lasciatela raffreddare.

Mettete la bianca in una ciotola grandina; aggiungete l’uvetta scolata e asciugata (io l’ho anche leggermente infarinata), tutta la frutta secca (se avete qualche sopravvissuto alla cena di Natale mettetecelo – in piccole quantità – io avevo tre datteri superstiti, li ho tagliati a pezzetti e buttati dentro), le bucce di arancia candite tagliate a cubetti, la radice di zenzero grattugiata, il sale, il miele, il rum e la buccia grattugiata del limone (solo la parte gialla, eh); spolverate tutto con la farina e amalgamate bene.

Io ho usato le fruste elettriche con le spirali, a bassa velocità, per non rompere la frutta secca. Con le mani leggermente inumidite formate una bella palla con tutto il composto, poi schiacciatela leggermente su un foglio di carta forno poggiato su un piatto grande, dandogli una forma a cupola come quella della fotografia.

Lasciate riposare il tutto nel forno spento per una notte (il mio ha riposato dalle dodici della mattina alle dieci del mattino dopo). Il giorno dopo tirate fuori il dolce, mettetelo in un posto riparato (io l’ho coperto con una ciotola di vetro capovolta, chè lo dovevo guardare) e preriscaldate il forno a 100°C (il dolce dovrà asciugarsi, più che cuocere).

Intanto che il forno arriva alla temperatura reparate la pastella (facoltativa) per la copertura. Mettete i pistilli (o la polvere) di zafferano in un po’ di acqua calda e lasciateli lì fino a quando l’acqua non avrà assunto un colore molto intenso; mescolate poi tutto con un pochino di farina e l’olio d’oliva; dovrete ottenere una pastella non troppo liquida ma neanche troppo densa, di un bellissimo colore giallo dorato.

Mescolate bene tutto e poi spalmate la pastella sulla superficie del dolce con un pennello; la pastella dovrà avere uno spessore di almeno due o tre millimetri.
Infornate il vostro pangiallo (a forno statico) e dimenticatevelo per un paio d’ore. Trascorso questo tempo tiratelo fuori, lasciatelo raffreddare, e consumatelo preferibilmente dopo qualche giorno (più invecchia e più migliora). E poi ricordatevi di tornare qui a raccontarmi :-)

p.s.: ve l’ho detto che la frutta secca fa benone (soprattutto in questo periodo)? :-)
p.p.s: buon Natale in ritardo e fantastico inizio dell’anno in anticipo a tutti voi!