Eccomi reduce da una bella traversata campagna-città (e ritorno) tramite fr3 Roma Viterbo, che non posso in tutta sincerità consigliare avendo la succitata linea quasi-ferroviaria lo stesso tipo di organizzazione con la quale ho avuto modo di familiarizzare durante la mia infanzia a Napoli, e cioè battente bandiera anarchia totale, che è l’esatto contrario dell’espressione americana user-friendly.

rusks sudafricani ricetta

Non so come stia messa adesso la situazione nella mia città natale, ma ricordo bene che gli appuntamenti erano tarati sui trasporti e sul traffico, vale a dire “ci vediamo alle quattro” era l’abbreviazione di “ci vediamo dalle quattro in poi”, dove quell’in poi era una variabile dipendente da una serie di possibili ostacoli totalmente casuali e assolutamente imprevedibili (signora che ti ferma per strada per raccontarti i fatti suoi, macchina di traverso in vicolo a doppio senso unico, conducente di autobus pigro, e non vado avanti perché i luoghi comuni alla De Crescenzo non li ho mai potuti reggere (eccezione che conferma la regola).

Non che tutto ciò abbia reso Napoli meno cara al mio cuore, anzi probabilmente quel modo di vivere forzosamente diluito era più sano per la mia psiche (e di quella dei malcapitati che mi conoscevano); peró questo implicava una vita molto meno intensa e piena di quella che sto facendo adesso, che pur essendo sicuramente post-samsara non è ancora neanche lontanamente vicina all’ascesi a cui aspirerei, una condizione diciamo simile a quella dell’oracolo di Matrix, biscotti e saggezza. E vasi che si rompono, che ci possono stare, soprattutto se chi li rompe è l’eletto che tanto è stato atteso.

E così, in perfetta linea con la nuova izn dell’era dell’acquario, ho trovato la sfumatura positiva anche nell’apoteotica negatività della tristemente nota linea Roma-Viterbo: la necessità di recuperare l’imperturbabile lentezza, quella della meditazione davanti al fuoco di un caminetto, della silente contemplazione, aliena dal tempo, di un qualsiasi evento o scenario naturale, di quello che in napoletano si chiama intalliarsi; insomma la necessaria transustanziazione di ritorno da formica a cicala (e non osate dire – come il perfido zac – che oggi sono posseduta dallo spirito dell’inventore dello scarabeo).

biscotti particolari

Ed eccovi in anteprima, grazie alla mia amica d’oltreoceano (claudia sempresialodata) che mi passa – con qualche lieve sollecitazione (tipo aó ma stai là da *due giorni* e ancora non mi hai sciorinato tutta la tradizione culinaria sudafricana?!) e in omaggio alla lentezza (non quella africana, perché non so se Johannesburg ne faccia parte, ma quella della cottura non esattamente ecologica di questi biscotti che alcuni accostano ai nostri cantucci – 8 ore in forno, argh) eccovi l’ennesima esplorazione di una vera e propria tradizione. In attesa di capire quando non esistevano i forni come facevano a fare questi cosi (li seccavano al sole? Accanto al fuoco? Mah…).

Peró buonissimi, moooolto personalizzabili e durevoli nel tempo. Ché a tipo un mese dal natale, come tutti sanno, le ricette biscottose devono fioccare.

Due parole su queste piccole meraviglie. In primis, io ho seguito più o meno la ricetta originale, che prevedeva burro e olio (ma ho sostituito il nostro olio d’oliva a quello consigliato, di canola – che cos’è?), ma ho il sospetto che si possa vantaggiosamente (per la salute) sostituire al quantitativo di burro sia solamente olio, sia ghee (o burro chiarificato).

Secondo, ho usato una farina 2 di Mulino Sobrino, che mi ha portato Sara che è venuta a trovarmi il fine settimana scorso, e prima o poi spero di andarli a trovare per vedere che combinano (se ho ben capito tra Milano, Torino e Genova).

biscotti africa

Terzo, a differenza della ricetta che li prevedeva più o meno “plain”, cioè senza semi and company, ho usato un po’ di cocco macinato (giudizio di zac: “poco cocco”) e una manciata di semi di girasole; ma nulla vieta di metterci dentro un sacco di muesli, semi di sesamo, semi di lino, noci, mandorle, nocciole, fiocchi d’avena, e tutto quello che vi viene in mente tranne uvetta e simili, perché credo che dopo una cottura di otto ore perdano qualsiasi morbidezza.

Quarto, non accoppiateli al latte per carità che a quanto pare non-si-fa. Tè, caffè e infusi (meglio di tutti il Rooibos), se volete rispettare la tradizione :-)

Quinto, io sono riuscita a tenerli in forno solo cinque ore perché era mezzanotte e stavo per ritrasformarmi in una zucca; però dopo l’assaggio devo dire che altre tre ore in forno ci sarebbero state tutte (non so quanto consumi un forno classe A+ tenuto a 90°C per otto ore, qualcuno ha questa informazione che la inserisco?).

Ingredienti:
450 grammi di farina 2
50 grammi di cocco macinato
50 grammi di semi di girasole
1 cucchiaino di sale
due cucchiaini di polvere lievitante
125 grammi di burro di centrifuga
125 grammi di olio extra vergine d’oliva
140 grammi di zucchero grezzo chiaro
250 grammi di latticello fermentato
1 uovo

Per prima cosa preriscaldate il forno a 180°C, e imburrate e infarinate il solito stampo da pan carré (no teflon!). Setacciate la farina con il sale e la polvere lievitante in una ciotola grande.

Aggiungete la farina di cocco e i semi di girasole e mescolateli bene con il resto. Mettete in un pentolino il burro, l’olio e lo zucchero e fate scaldare a fuoco bassissimo, mescolando per far sciogliere il burro quanto più sia possibile (la ricetta dice che deve sciogliersi completamente, ma il mio non ne ha voluto sapere, temo che lo zucchero se non si alza la fiamma non ne voglia sapere) spegnendo appena il burro è sciolto.

In una ciotola a parte mescolate bene l’uovo sbattuto con il latticello, poi aggiungete questa mistura ai grassi e allo zucchero (dopo che saranno tornati a temperatura ambiente, altrimenti l’uovo rischia di cuocersi).

A questo punto, come da buona tradizione inglese, mescolate gli ingredienti secchi con quelli umidi (otterrete un impasto piuttosto morbido ma consistente), versate il tutto nello stampo e lasciate cuocere 50-60 minuti (fate la prova stecchino per essere sicure).

Quando questa specie di cake sarà cotto, lasciatelo raffreddare un po’ nello stampo; poi sformatelo; quando il dolce sarà completamente freddo tagliatelo a fette dello spessore di un paio di centimetri e poi tagliate ogni fetta in tre parti (dovreste ottenere dei parallelepipedi molto carini – guardate la foto).

Posizionateli per bene (mi raccomando l’allineamento, ehehe) su una griglia e rimetteteli in forno a 90°C per otto ore. Trascorso questo tempo aprite il forno a fessura e lasciateli raffreddare dentro – questo dovrebbe garantire una croccantezza perfetta.

Sperimentate! E poi ditemi, che sono curiosa come un picchio! :-)