Eccomi… Sì, lo so che pensavate fossi stata inghiottita da un’enorme cioccolatino, ma invece ero lì a meditare su che cosa raccontarvi per iniziare. E dunque ho deciso di cominciare dal principio, o meglio da uno dei princìpi possibili: cosa diavolo è veramente il cioccolato e da dove viene?
Eh già perché, udite udite, non cresce esattamente in tavolette sugli alberi (come sono certa voi tutti pensavate :-)) anche se di vegetale si tratta, e quindi bisognerà che vi racconti un po’ come ci si arriva a quello splendore di tavolette che ci pappiamo con gusto e infiliamo in ogni tipo di dolce. Probabilmente non basterà un solo post per arrivare al cioccolato vero e proprio, ma intanto possiamo cominciare a parlare dell’origine.
Immaginatevi una foresta, verde e rigogliosissima; camminate tra gli alberi, il caldo e l’umidità fanno sudare anche da fermi, i versi degli animali vi giungono all’orecchio dalle altezze più diverse.
Guardate in alto: tra uccelli variopinti e scimmie acrobate, riuscite a scorgere la fine degli alberi più piccoli, ma sopra c’è un tetto verde più alto formato da alberi più grandi che offrono protezione e ombra a quelli più bassi. Ogni tanto qualche immenso tronco cresce tra gli altri e non se ne scorge la fine, si perde al di sopra del tetto verde e non sapreste dire fin dove arrivi. Siete in una foresta equatoriale o pluviale, che dir si voglia, uno degli ecosistemi più ricchi del pianeta.
Mentre ammirate tanta meraviglia scorgete un albero che attira la vostra attenzione.
È tra quelli più bassi, riuscite a vederlo tutto, se ne sta protetto tra una palma ed un banano che lo riparano dalla luce diretta del sole. Ha il tronco sottile e le foglie di un verde acceso, grandi e simili per forma a quelle del nespolo.
Il suo tronco e i suoi rami più vecchi sono pieni di piccoli fiori a cinque petali, di un rosa pallido, che crescono in piccoli mazzetti da cuscinetti posti sulla corteccia. Tutto intorno si affannano nugoli di piccoli moscerini per nutrirsi del nettare di questi strani ed eleganti fiori e così facendo li fecondano.
Ecco, è così che deve apparire un albero di cacao quando lo si scorge nel bel mezzo di una foresta Venezuelana… scusate, mi sono lasciata trasportare, ma è un mio sogno quello di poter andare un giorno a vedere una piantagione dal vivo.
Il nome botanico del nostro albero è Theobroma cacao, dal greco, cacao cibo degli dei.
Linneo nell’assegnargli questo nome fa riferimento sia alla parola utilizzata dai Maya per chiamare questa pianta (kakaw) che al loro modo di definirne i semi, essendo essi cibo riservato al re e alle classi nobili.
Dei tanti fiori distribuiti sul nostro bell’albero solo alcuni saranno fecondati dai mitici moscerini (non so voi, ma io questi moscerini li adoro…) e la pianta fruttificherà solo se non subirà abbassamenti di temperatura al di sotto dei 16° e non soffrirà la sete. Insomma, il nostro cacao, essendo cibo per gli dei, è un po’ schizzinoso, lo avrete capito :-)
Grazie alla golosità dei moscerini si formano dei frutti ovoidali di 20-25 cm di lunghezza che possono avere colori diversi a seconda della sottospecie, giallo, viola, verde.
Si chiamano cabosse o cabossidi.
All’interno, sotto una spessa scorza, nascosti da una polpa biancastra, morbida e zuccherina, si nascondono i semi o fave, bianchi a forma di mandorla, il vero obiettivo di questo escursus botanico. Già, perché è da lì che comincia tutto, quella è la materia prima che opportunamente trasformata diventerà cioccolato.
Senza l’intervento dell’uomo le cabosse mature cadono a terra e sono un alimento goloso per molti animali della foresta che mangiano la polpa e lasciano i semi sul terreno. In condizioni ideali il seme germina molto velocemente, mentre in situazioni sfavorevoli, altrettanto velocemente perde la sua capacità germinativa, morendo in appena tre o quattro settimane.
La coltivazione del cacao ad opera dell’uomo ha introdotto la riproduzione per talea e la semina in semenzaio delle fave con il successivo trapianto in loco dei piccoli alberelli.
Esistono tre sottospecie di cacao, con caratteristiche molto diverse tra loro: il criollo, il forastero e il trinitario.
Il nome criollo viene dalla parola spagnola creolo, ovvero indigeno, locale.
È la varietà che ha subito meno modifiche nel corso dei secoli e si è mantenuta più pura e fedele all’originale. I semi bianchi dei suoi frutti violacei rappresentano la varietà di cacao più pregiata al mondo con una produzione che non supera il 10% dell’intera produzione mondiale. È anche la varietà più delicata ed esposta alle malattie, e viene coltivata esclusivamente nei luoghi di origine della pianta e principalmente in Venezuela.
Dai suoi semi si ottiene un cacao aromatico, delicato e dolce, con delle note di eleganza e raffinatezza ineguagliate dalle altre sottospecie.
La parola forastero, invece, significa “straniero”, perché è una sottospecie presente principalmente in territori diversi da quelli di origine e particolarmente in Africa. È il cacao più coltivato al mondo perché è il più resistente, anche grazie ad un’ibridazione avvenuta nel 1938 che lo ha reso ancora più forte.
Ovviamente, dato che non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, è anche la varietà meno pregiata, quella utilizzata dalla grande distribuzione, e rappresenta quasi l’80% del mercato mondiale.
Dà un cacao per nulla aromatico, con caratteristiche gustative piatte e poco spiccate. L’unica eccezione è rappresentata dal cacao Nacional o Arriba, un tipo di forastero che cresce unicamente in Ecuador ed è annoverato tra i cacao aromatici. Ha caratteristiche gustative molto più robuste e decise rispetto ad un criollo, ma è anche un cacao di spessore che offre moltissime sensazioni gustative.
Tra l’altro è un presidio Slowfood e per chi vuole approfondire questo è il link.
In ultimo abbiamo il trinitario che ha origine dall’ibridazione tra criollo e forastero e che prende il nome dalle isole Trinidad, il luogo dove venne coltivato per la prima volta alla fine del XVIII secolo.
Quest’ibridazione ha effettivamente dato luogo a delle piante resistenti alle infestazioni che allo stesso tempo producono un cacao di alto pregio, con notevoli note aromatiche ed una finezza che, pur non raggiungendo quella dei criollo, è senz’altro di alto livello.
Non so se sono riuscita ad intrattenervi con questo piccolo compendio botanico sulla Theobroma cacao; temo però di essermi dilungata più di quanto fosse decente e se vi ho provocato qualche sbadiglio chiedo venia. Se invece sono riuscita a trasmettervi la fascinazione di questa pianta ricca di storia allora vi dò appuntamento al prossimo post, nel quale verrà svelato il sentiero che dalle fave di cacao porta al cioccolato solido.
Io sento già il profumo! e voi?
…sì, ci sei ampiamente riuscita :-)
Bellissimo! Mamma quanto mi piacciono le descrizioni dei luoghi! Ma sai che per un attimo mi è sembrato di essere dentro la foresta pluviale, ho pure fatto fatica a respirare, ché a me il caldo umido dà fastidio!
Ho scoperto un sacco di cose sul cacao che non sapevo. Aspetto di conoscere il resto della storia!
Ciao
mi sono persa anch’io nella foresta di cacao e mi sono sentita a tratti quasi una dea!
meraviglioso post, non vedo l’ora di seguire il resto…
Loretta, non ci credo che non ci sei mai stata, dentro la foresta sudosa: da come la descrivi sembra che tu ci sia tornata ieri l’ altro (della serie: Salgari? Chi era costui?). Brava brava brava e ancora brava. E meno male che non ti ritenevi all’ altezza…;-))
Anch’ io aspetto, come fosse uno di quegli sceneggiati in bianco e nero della tv anni Cinquanta.
ciao loretta è vero, mi sembrava di starci .. che caldo!!! tutti i rumori della foresta …..gli animali, le zanzare,… zzzzzzzz,, mi hai fatto venir voglia di partire anche se con tutto quel caldo appiccicoso mi mancherebbe l’aria, però la curiosità è grande, brava lory, continua cosi…
Grazie grazie grazie dei vostri commenti e dei vostri complimenti :-) Sono così contenta di essere riuscita a trasmettervi l’emozione della scoperta di questa pianta così particolare ed affascinante!
Comunque no, Claudia, non ci sono stata nella foresta sudosa (che meraviglia sudosa!!!) però anni fa sono entrata in una delle più belle serre che io abbia mai visto, a Londra, dove era perfettamente tiprodotto il clima della foresta pluviale e quindi ho potuto raccontarlo con un po’ più di cognizione, almeno rispetto a temperatura ed umidità (roba da togliere il fiato veramente…).
Giò che bello che ti sei sentita una dea… per me significa che sono riuscita a trasmettere il contatto con la Grande Madre: quando entraimo in contatto con Lei tutti noi diveniamo dei :-)
Che descrizione magnifica! Sapevo a grandi linee la storia, ma tu sei stata molto esplicativa!
Proprio ieri ho tenuto in mano una cabossa in un negozio che vende dell’ottimo cioccolato!!!
Vai avanti, che io ti seguo di sicuro!
baci!
Davvero Marcella? In che città di trovi e qual è il negozio?
appunto cara Marcella qual’è il negozio? quello che penso io, quello che non ci devo entrare altrimenti compro tutto?
loretta : macchè sbadigli! a bocca aperta però sì, ma dallo stupore, i colori intensi ed i rumori della foresta mi hanno avvolta ! dea o non dea, questo è il dilemma! cmq questi doni della Grande Madre bisogna coglierli con rispetto e gratitudine :) mentre aspetto il seguito…mi nutrirò di cibo degli dei :) grazie :)
Complimenti Loretta,bellissime ed esaustive descrizioni…macche’ sbadigli…direi piu’ che altro acquolina!!!!!! ;-D
Loretta grazie per il viaggio magnifico che mi hai fatto fare. Altro che noia, veramente un bel post informativo, scorrevole e coinvolgente. Non vedo l’ora di leggere il seguito per saperne di più…..spero presto.
Hello! Curiosa anche io ^^ Ma la polpa che custodisce i semi (qll bianca e zuccherina) viene utilizzata?
Ciao Dragonfly, no, la polpa non viene utilizzata, o meglio ha una parte determinante nella prima fase della lavorazione, ma sono i semi che vengono poi effettivamente trasformati. Comunque nel prossimo post ci sarà tutto il procedimento…
Grazie ancora a tutti per i complimenti e per la vostra curiosità :-)