Dunque: come dicevamo nel post di giugno, questo sarebbe il mese dei cereali. Del giallo. Del sole. Del grano: spighe dorate eccetera eccetera. Bellissimo. Affascinante. Ne hanno scritto metri di poesie e dipinto migliaia di tele.
alternative al frumento
Se proprio vogliamo rovistare tra lo pseudo-caos e trovare connessioni illogiche (cosa che, come avrete capito, a me piace molto), i cereali (gli amidi, per la precisione) sono l’alimento d’elezione del terzo chakra. Quello del fuoco, del sole e dell’energia. Della volontà, dell’io posso. L’azione, la vitalità, la capacità di accettare le sfide. Quello di Lazzaro e dell’alzati e cammina. Della fiducia, dell’autonomia e della giusta disciplina. Quello che inizia verso i tre – quattro anni, a farsi sentire, nelle pance dei bimbi. Quello che regola il sistema metabolico. Che, dicono in India, quando non è in equilibrio porta disordini nell’alimentazione, nella digestione, problemi di stomaco e pancreas, e pure contratture muscolari e stanchezza cronica (io prima andrei da un medico, però, e di quelli bravi ;-)).
Per dirla come un fisico: il chakra che ci fa finalmente scattare la scintilla e superare l’inerzia, dopo il primo che pensa alla gravità ed il secondo al movimento. E, per dirla come un *grande* fisico, Arthur Eddington: Spesso pensiamo, quando abbiamo completato lo studio dell’uno, di sapere tutto sul due perché il due è “uno piú uno”. Dimentichiamo di dover ancora studiare il “piú” (devo avvertirvi che il fisico teorico, qui, mi fa notare che era bravo, Eddington, ma un poco strano. Devo avere un sesto senso, per i tipi così… eh eh).
Comunque, dicevo: di una cosa mi sono accorta, da quando non sono più immersa nella vita alimentare italiana: che negli ultimi… mmm… ecco… sessanta anni, molti dei cereali che ci hanno sfamato per secoli, sono stati bellamente dimenticati. Solo frumento. Sempre. Tutti i giorni. Qui sull’Ostsee pensano che noi italiani abbiamo sempre mangiato pasta, a pranzo e a cena, dagli etruschi ai giorni nostri. Col pomodoro, chiaramente ;-)
Ho appena visto questo film (un bravo Lino Banfi, devo ammetterlo, non fosse altro per la sfida di recitare in tedesco senza sapere una parola – ma un Sergio Rubini spettacolare). Non voglio togliere il lavoro al mio amico critico Marco Bacci, e non vi preoccupate, non scriverò nessuna recensione. Lino Banfi è un emigrato italiano in Germania, la cui moglie tedesca ad un certo punto non ce la fa più e sbotta: “Sono stufa!! Brioches di frumento la mattina, pasta a pranzo, pizza, pane… sempre frumento! Mi meraviglio di come non siano ancora tutti esplosi, questi italiani!!!”.

Ma poi, che grano abbiamo mangiato, negli ultimi anni? Irradiato come? Modificato come? È per l’eccesso di grano a cui il nostro corpo non era abituato o per la cattiva qualità di questo grano che ormai sento solo di gente intollerante al glutine o addirittura celiaca? Siamo andati in overdose?
Io ho deciso di fermarmi un passetto prima (o forse no, temo, ma fa niente). E sono andata a chiedere curiosa quali cereali venissero usati a casa dei miei nonni, prima della guerra: mais, è stato il primo. Per la polenta (e la pellagra). Poi segale. Frumento, certo (ma non ancora irradiato). Orzo, di sicuro. Riso, poco (“che quello bisognava comperarlo e non c’erano soldi”). Il grano saraceno non lo posso contare, perché non è un cereale. Comunque, sono sempre quattro in più di quelli della mia generazione.

Una delle cose che mi affascina, da quando sono qui, è il gioco del “cosa c’è e cosa manca”. La segale c’è. Pure troppa, per un corpo italico ;-)). Lo dànno persino ai bimbi di due anni, questo pane acidulo e pesante. A me sembra eccessivo, ma tant’è. E mi piace che venga ancora definita un “alimento di resistenza”. Mi affascina, in un certo senso. Credo sia il cereale più proteico di tutti, e con tanto fosforo. Poi, qui, c’è l’avena, e tanta. Il cereale dei grandi freddi. Dei guerrieri del Nord. Del porridge degli Highlander (è il cereale piú “eccitante” e tonificante, non a caso; ma non deve superare i 70°C, altrimenti l’effetto pozione-di-Asterix scompare), che per combattere avevano bisogno di energia, viste le temperature. Gli scozzesi sono convinti che dia coraggio. Comunque, perfetto per chi è debilitato, stanco, giovane, allattante o convalescente. Per chi è nervoso ed eccitato già di suo, o soffre molto il caldo, meglio di no. A me piace anche il sapore, che è dolce ma sta bene anche nelle zuppe di verdura, in inverno.
E ora capisco anche perché la gente di qui non mangia orzo. Il clima dell’Ostsee è freddo e umido: a cosa mi serve l’orzo? “Rinfresca” dice mia madre. Ma cosa mi deve rinfrescare cosa, che ho calzini e maniche lunghe in luglio? Però sono nata in Italia, e ci ho vissuto per trent’anni e più. E l’orzo mi manca. Non mi serve. Il corpo non me lo chiede. Non ho mai voglia d’orzo. Ma appena lo vedo o sento qualcuno che solo ne pronuncia il nome… trac! Scatta qualcosa. È una specie di imprinting, credo. O forse è nel mio DNA culturale, e ci sarà sempre un cassettino con l’etichetta “orzo”, nel mio cervello o un poco più in giù. È un po’ il contrario dell’avena. Rinfresca, appunto. È il cereale dei filosofi, quello degli iperattivi e dei bambini. Facilita la concentrazione, l’attivitá psico-fisica e la serenità emotiva.
Ho ritrovato da poco un libro di trent’anni fa, di Nico Valerio, “L’alimentazione Naturale”. Non male, come idea, per quei tempi: un manuale divulgativo a basso costo (3.500 lire!), accessibile a tutti. Dell’orzo dice che “è molto digeribile e sembra avere una importanza notevole per il sistema neuro vegetativo; é utile come calmante generale e svolge un’azione disintossicante nell’intestino, nello stomaco e nel fegato. Emolliente, ricostituente, digestivo, vasocostrittore e leggermente ipertensore, tonico generale”. Certo, non sará proprio giallo oro come il grano, ma chissenefrega! Io *adoro* l’orzet, la minestra d’orzo tipica trentina, quella fatta come si deve, con l’osso di prosciutto affumicato (o altra carne affumicata). Bella mucillaginosa e densa, con poche verdure, solo un porro e una carota e un pezzo di costa di sedano, e magari un pugno di borlotti. E riscaldata, il giorno dopo, è ancora più leccorniosa.
In estate l’orzo è perfetto anche per sostituire il riso nelle insalate, oltre ad essere veramente versatile. E poi, che volete che vi dica, saranno anche le piccole consolazioni dell’emigrante, ma vedere la mia bimbetta che si divora un piattone di minestra d’orzo e ne chiede ancora… beh, a me quasi commuove, Baltico o non Baltico.
Io uso molto anche il miglio, che mio padre mi prende in giro e dice che loro lo davano ai canarini per fargli belle le piume (non è vero: so per certo che ci facevano anche le zuppe). Però il miglio, per me, chissà perché, è come il mais: mi richiama automaticamente l’autunno inoltrato, morbide polentine e sformati caldi, da accompagnare con le lenticchie o i fagioli sugosi (o il gulash), o fette ustionanti che sanno di fumo e di paiolo, come la polenta che preparano per tutti gli abitanti del paese vicino a quello dei miei genitori, il martedì grasso, che te la danno ancora bruciante su un pezzo di carta oleata, in mano, con una fetta di formaggio stagionato. Altro che Proust e le sue madeleine da signorine ;-).
Il miglio è dolce, leggero ma nutriente, ricco di magnesio e di fosforo. È il cereale più ricco di ferro e meno acidificante, e si presta molto bene per preparare sformati e crocchette. Ha un sacco di proprietà, ma tante. Contiene persino un acido salicilico naturale, il che spiega le piume dei canarini di mio padre, i nostri capelli lucenti e pure lo smalto dei denti delle popolazioni che ne fanno un uso quotidiano. Ma perché si è perso per strada, da noi? In più anche questo, almeno per la mia esperienza, è amatissimo dai bambini.
Infine, voglio condividere con voi una scoperta: ultimamente sto curiosando parecchio tra gli scritti di Rudolf Steiner, perché il nuovo negozietto biologico che hanno aperto qui sotto casa è gestito da una famiglia di contadini/allevatori che ne sa molto. Tra un acquisto e l’altro, chiacchierando di cereali, è saltata fuori la *famosa* tabella. Io ho dei problemi con le regole (adesso vado a vedere che chakra è ;-)), e non ci penso proprio, a seguirla pedissequamente. Ma vi assicuro che, se ascoltiamo bene bene le nostre voglie cerealicole e poi le confrontiamo con quanto consigliato qui, molto spesso combaciano. Lo so, mi diverto con poco.
Indicazione pratica: i cereali, al giorno d’oggi, si trovano biologici e soprattutto biodinamici, già belli infiocchettati (nel senso di in-fiocchi, per chi-conosco-io che non avrebbe mai capito la battuta). È molto facile, quindi, preparare crocchette, hamburger vegetali o zuppe, e non sono necessarie ore e ore di cottura (per chi va veloce o non mangia abbastanza orzo ;-)).
Importante: gli articoli più scientifici, interessanti e soprattutto scritti in modo semplice, su questo argomento, sono a mio modesto avviso quelli di Matteo Giannattasio (a cui sono arrivata tramite il Pastonudo: grazie Izn!). Un paio li trovate sul blog di Valore Alimentare, qui e qui. Ma se volete approfondire l’argomento, vi consiglio cercare le versioni scaricabili della rivista, partire dal primo numero e andare avanti, perché ne vale veramente la pena!