Il vino non è argomento semplice, e non è per tutti. Figuriamoci quello naturale. Per parlarne, ragionarci e farci ragionare, bisogna trovare qualcuno che ne sia veramente innamorato, che ne faccia un po’ la sua ragion di vita, che ci pensi giorno e notte. Ecco perché qui sul pasto nudo ancora non c’era, fino a oggi, una rubrica dedicata a questo alimento antichissimo.
Trebbiano Valentini, scatto fotografico di Fabio Moretta
Ci ho provato negli anni scorsi già due volte ad avviare un discorso su questo argomento affascinante, ma poi per un motivo o per l’altro la cosa si è dissolta nel nulla. Non che questo mi scoraggi eh, anzi mi spinge a cercare meglio e con più tigna l’illuminato essere che vuole immolarsi sull’altare della conoscenza e contagiare i lettori del pasto nudo con una sfrenata passione e una sete inestinguibile :-)
Ebbene quando ho conosciuto Gaetano Saccoccio (per gli amici Gae), durante la giornata del latte di cui vi ho raccontato il mese scorso, ho sentito subito il senso di ragno che pizzicava. E più lo guardavo con quell’aria hipster e sognante, più mi dicevo che mi sarebbe piaciuto coinvolgerlo nella nostra avventura comune. Poi ho visto che chiacchierava con zac dei loro (e nostri) interessi comuni e ho capito che dovevo fare almeno un tentativo.
Ve l’ho già detto che adoro il vino (in particolare il vino rosso?). Non si tratta solo di gola, ma proprio del fascino di quello che è forse il più antico testimone della storia, della cultura e della tradizione del territorio dove viene prodotto. Nessun altro prodotto della terra è influenzato così tanto qualitativamente dai fattori pedoclimatici, dalle tecniche colturali tradizionali, dalla varietà ampelografica, dalla relazione inscindibile esseri umani, ambiente, microclima che i francesi sintetizzano con il concetto di terroir.
Prima di presentarvi Gaetano vi annoto come al solito due cose due sulle proprietà nutrizionali del vino secondo la bioterapia nutrizionale. Consumarne un po’ ogni giorno ha effetti molto positivi sulla salute, anche per la presenza di polifenoli, tra cui antociani e resveratrolo, che riducono il rischio di cardiopatie e ischemie, l’insorgenza di alcune forme tumorali, del morbo di Alzheimer, e della stessa cirrosi epatica (!); come se non bastasse impediscono l’aggregazione piastrinica, aumentano la contrattilità arteriosa e venosa e fluidificano il sangue. Un po’ di vino come aperitivo stimola l’appetito e la secrezione salivare; durante il pasto, agevola la secrezione acida dello stomaco e incrementa la produzione di prostaglandine, che proteggono la mucosa dello stomaco.
Dosi moderate di vino riducono significativamente la formazione di calcoli alla cistifellea, potenziano la memoria, rallentano il processo di invecchiamento ed esercitano un’azione antibatterica e antiossidante.
Sebbene l’alcool etilico abbia un grande apporto calorico (un grammo fornisce circa sette calorie); il vino può essere tranquillamente utilizzato nei regimi dimagranti, nei quali, a differenza di quanto molti pensano, non è molto importante il calcolo delle calorie, quanto il modo in cui gli alimenti interagiscono tra loro, e le caratteristiche peculiari degli alimenti stessi.
Per quello che riguarda la quantità giusta di vino da assumere, che un solo bicchiere di vino impegna il fegato per circa due ore; la bioterapia nutrizionale ritiene che la dose quotidiana accettabile per persone in buona salute sia di circa 350 ml al giorno per le donne (più o meno due bicchieri di vino) e 450 ml per gli uomini (circa tre bicchieri), da ripartire tra pranzo e cena (questa differenza tra i sessi esiste perché le donne in genere hanno un minor peso corporeo, ed una maggiore difficoltà a metabolizzare l’alcool).
Bere con moderazione non significa solo assumere quantità limitate di bevande alcoliche, ma anche consumarle a intervalli non troppo brevi, in modo da dar tempo all’organismo di smaltire meglio l’etanolo; oltre questo limite gli effetti negativi dell’alcool cominciano a prevalere sui suoi tanti effetti benefici.
Avete mai sentito parlare del “paradosso francese”? I francesi, pur adottando un’alimentazione per certi versi simile a quella dei nordamericani, hanno una mortalità per malattie coronariche nettamente inferiore; questo fatto è stato attribuito all’elevato consumo di vino rosso.
Il vino rosso rispetto al vino bianco contiene più polifenoli, che a loro volta sono più attivi biologicamente se il vino viene invecchiato in botti di legno impregnate di acido tartarico e pigmenti, invece che in quelle di vetroresina. Inoltre il vino bianco contiene delle sostanze che facilitano la formazione di aggregati cristallini nelle articolazioni, per cui è controindicato (insieme al caffè e al pomodoro) nelle persone che soffrono di artrosi e reumatismi.
Ci sono anche persone che hanno geneticamente una grande difficoltà a metabolizzare l’alcool; ovviamente per loro sarebbe meglio limitare moltissimo o addirittura eliminarne totalmente l’assunzione. Vale sempre la solita regola: ascoltate quello che vi dice il vostro corpo :-)
Detto questo, non mi resta che lasciarvi permeare dalla parte affascinante del discorso, che Gae è bravissimo a trasmettere, come potete arguire dal titolo di questa rubrica, che ha scelto dopo una lunga meditazione e che trovo azzeccatissimo. Come sempre vi auguro una buona lettura, mi metto buona buona qui e imparo. Pronti! :-)
Buongiorno a tutti! Mi chiamo Gae(tano), classe ’74. Potrei definirmi alla Giordano Bruno, sperando di non fare la sua stessa fine tra le fiamme, filosofo “di nulla accademia”. Sono sempre in cerca di locande, vigne, vignaioli, artigiani o storie degne d’essere vissute e raccontate. Tra i mille mestieri sono stato portiere notturno in hotel nei dintorni della stazione Termini, portapiatti e girabicchieri da Roscioli, export e degustatore giramondo in un’azienda vinicola della Toscana.
Ho un sito che si chiama Natura delle Cose in omaggio al poema senza tempo dell’antichità. Attraverso naturadellecose come fossi un alchimista del Rinascimento tento di fondere i due inconciliabili mondi della cultura scientifica e di quella umanistica proponendo un’educazione consapevole al bere “il giusto ma bene”: allora eccola qua, sic et simpliciter, la mia pietra filosofale!
Bisogna saper osservare attraverso un calice di vino l’industrializzazione alimentare, l’inquinamento, le politiche agricole, il cambio climatico, le speculazioni commerciali, la mercificazione della specie, l’omologazione del gusto. “Non in servizio internettiano permanente effettivo” scrivo anche per l’Accademia degli Alterati.
Illustrazione di Natalie “Ingrid” Joubert
Quando anche la “cinica” industria s’appropria a chiacchiere dei “nobili” ideali e delle “genuine” pratiche dei contadini/artigiani, noi consumatori – posti tra l’incudine e il martello della Produzione-Vendita-Acquisto – avvertiamo sempre più stringente la necessità d’attrezzarci con strumenti linguistici e attributi culturali appropriati.
Dobbiamo munirci d’autonomi “congegni anatomici” di difesa e d’attacco, risvegliare il nostro palato narcotizzato da un troppo lungo letargo metropolitano; riattivare i nostri sensi addormentati quali la vista, il gusto e l’olfatto, affinarli ed addestrarli al meglio per non naufragare in un oceano di merce plastificata fabbricata in serie tutta inutilmente uguale, insapore, inodore. Derrate fabbricate in serie tutte inutilmente anemiche e uguali a se stesse.
Dobbiamo imparare a non retrocedere mai davanti alla pervasività del cibo seriale da laboratorio, essere attenti a non farci abbindolare da un nutrimento alimentare processato sinteticamente. Impariamo a distinguere, ad analizzare criticamente il cibo e il vino anonimi che ci propinano, sostanze solide e liquide sempre cioè più squadrate al compasso tramite l’uso ed abuso d’invasivi metodi tecnico-scientifici.
Nella nostra piccola ma cruciale coscienza di consumatori critici, dobbiamo saper resistere alla passività gastronomica imperante. Impariamo allora ad arginare l’appassimento psichico e l’omologazione morale per provare così a discernere e identificare il falso dall’autentico, l’artefatto dal genuino, il puzzolente dall’odoroso, il difettato-corretto dal precisino-scorretto, il sano dal velenoso, il buono dal cattivo.
È proprio questo che mi propongo idealmente di fare io attraverso le attività di degustazione, d’enoturismo, di divulgazione e di scrittura imbastite attraverso il mio sito e tentare di parteciparvi del mio mondo color del vino intravisto dall’oblò dell’arca Il Pasto Nudo, nave di salvataggio su questo mare in tempesta di internet.
La mia utopia d’impronta lucreziano-epicurea è quella di fornire gli strumenti linguistici idonei e predisporre al meglio le antenne sensoriali di discernimento a quanti più consumatori possibili. Risvegliare gl’imbambolati, rieducare la coscienza critica, innescare maggior consapevolezza bioetica ottimizzando così l’orgoglio ferito rivitalizzando l’istinto di conservazione sia spirituale che materiale dei consumatori/consumati finali.
Con questa rubrica, Vino nelle Vene, cercherò di quadrare il cerchio di tutta la stratifica complessità relativa alla galassia enoica: il vino naturale e la natura del vino.
Focalizzerò di volta in volta un aspetto specifico, esplorando i dettagli di una tesserina minuta apparentemente astratta che però, assieme ad infinite altre tesserine, è parte d’un più grande mosaico che osservato poi alla dovuta distanza rimanda ad un’immagine possibilmente più concreta, pratica e quotidiana. Un’immagine inesauribile del vino quale prodotto della civiltà umana, ovvero il simbolo fluido di noi stessi e del nostro stare al mondo.
Articolo veramente piacevole :)