Un paio d’anni fa ero in Sardegna e mi capitò sott’occhio la confezione di un latte che lì viene distribuito per la maggiore; un tetrapak con un allegro sfondo giallo e l’illustrazione (carina) di una vacca al sole, su un prato collinoso davanti al mare, che lasciava quindi intendere che il contenuto provenisse da animali felici e pascolanti.
Purtroppo la realtà era (ed è) ben diversa: il latte industriale proviene da allevamenti nei quali le vacche il sole non lo vedono nemmeno di striscio, che vengono alimentate non si sa bene come, e che viene pagato agli allevatori quel poco che basta (se non sbaglio, allo stato attuale delle cose, 33 centesimi al litro!!!) perché sopravvivano e soprattutto facciano sopravvivere il sistema.
Questa è la situazione di quasi tutti gli allevamenti italiani quando va bene, perché quando va male le vacche vengono trattate anche molto peggio, e mangiano roba che se fossero animali liberi nemmeno considererebbero cibo. Come possono essere il latte che ne deriva e i vari prodotti che con questo vengono fatti? All’inizio del mese, come vi avevo anticipato in questo post, abbiamo dedicato una giornata a questo argomento per capire come distinguere il vero latte, quello che proviene da vacche felici che pascolano sui prati, dalle sue pallide e malate imitazioni.
Il primo sabato di ottobre ci siamo così alzati di buon’ora e ci siamo recati bel belli in un’azienda agricola che si chiama La Mucca Ballerina, per incontrarci con i vari esperti di cui vi ho parlato la volta scorsa, ascoltare cosa avevano da dirci, fare una degustazione alla cieca di vari tipi di latte e, dulcis in fundo, imparare pure a fare il formaggio spalmabile in casa, ché può sempre rimanere utile, alla bisogna (mica vorrete andare al supermercato a comprare quella schifezza incomprensibile, no?).
Oltre a essere ballerina la mucca era pure curiosona, visto che ha cercato di mettere il suo nasone umido nella telecamera del mio iphone, come vedete qua sotto ]:8)
Per prima cosa abbiamo ascoltato Stefano Mariotti che ha raccontato come e perché è nata l’idea di organizzare questa giornata in collaborazione, e ha anticipato ai partecipanti che abbiamo preso in esame 4 tipi di latte in particolare, due di vacche al pascolo e due di una grande azienda italiana da vacche stabulate (tra poco vi spiego la differenza), che le abbiamo portate in un laboratorio per analizzarle, e che potremo vedere i risultati all’inizio di novembre.
Stefano ci ha spiegato che in Italia nel migliore dei casi abbiamo sulle confezioni del latte l’indicazione della provenienza del prodotto (ad esempio nel caso del latte Piemunto i compratori sanno che proviene dal Piemonte), ma quello che non viene mai indicato è *come* quel latte sia stato fatto, l’informazione che per chi compra dovrebbe essere la più importante in assoluto.
A ruota Fabio Brigliadori ci ha spiegato quanto sia diverso il latte prodotto da vacche che mangiano erba e fieno rispetto a quello proveniente da vacche che sono state alimentate con cereali, spesso insilati e addirittura “unifeed”, un pappone composto da cereali e altro, sempre uguale, inadatto alla digestione dei poveri animali che sono costretti a mangiarlo senza avere scelta, e quindi poco salutare sia per loro che per chi consuma il loro latte e i prodotti che ne derivano. Un latte che ammala, per come la penso io.
Stefano ci ha poi raccontato della splendida realtà del Latte Nobile, un particolare disciplinare al quale lui si è interessato già da molti anni, e di cui ha parlato spesso sul suo sito. Non si tratta di un marchio come potrebbe sembrare, ma di un disciplinare di produzione che (copio incollo dal loro sito) “prevede che la razione alimentare sia composta per almeno il 70% da erba e fieno, che il numero di essenze sia almeno di cinque; sono proibiti gli insilati, gli OGM e gli integratori. Questo tipo di alimentazione permette di ottenere un latte non solo più gustoso ma anche più ricco di tutte le componenti nutrizionali e, soprattutto, un miglior rapporto omega-6/omega-3, che deve essere ed è sempre al di sotto di 5. Il tutto senza alcun additivo e nel rispetto dell’ambiente e del benessere animale.”
Stiamo parlando di “pascolo polifita”, cioè di prati misti di trifoglio, avena, loiessa, veccia e fava, e altre ancora (un pascolo di montagna ne può contare oltre cento) pieni di fibre molto salutari per il sistema digestivo delle fortunate vacche che possono nutrirsene (e anche per il nostro!).
Subito dopo ci siamo spostati in una saletta di legno molto luminosa, dove Donato Nicastro, il nostro tecnico caseario, docente dell’Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo, e autore di uno splendido libro su come fare il formaggio in casa, aveva preparato tutto per la degustazione alla cieca dei latti che avevamo deciso di mettere a confronto e per il mini corso su come fare in casa il formaggio spalmabile.
Questo è stato un po’ il cuore della giornata; anche chi nelle prime ore era un po’ addormentato e a fatica seguiva l’introduzione e le spiegazioni sul latte, in questa fase, come potete arguire dalle foto, ha visto aumentare la sua attenzione a livello esponenziale, e adesso vi spiego perché.
Davanti a noi abbiamo trovato 5 bicchieri, quattro dei quali riempiti ognuno con un diverso tipo di latte. Due latti provenivano da vacche nutrite con erba e fieno e non erano omogeneizzati, gli altri due provenivano da una nota industria del latte, quindi da vacche stabulate con annessi e connessi (antibiotici, unifeed, niente luce del sole etc), erano omogeneizzati e (molto) pastorizzati. Di omogeneizzazione e pastorizzazione vi dirò tra poco, intanto concentriamoci sull’alimentazione della vacche.
Se guardate la foto di apertura e avete un po’ di occhio per i colori, vi renderete sicuramente conto della differenza di tonalità tra i due bicchieri di latte. Quello a sinistra è bianco bianco, quasi con delle sfumature bluastre, l’altro invece ha un colore più caldo, più cremoso, quasi giallastro. Ebbene, proprio il colore è il primo indizio che deve farci drizzare le antenne: il colore giallo è dovuto al betacarotene dell’erba, che manca completamente nel latte industriale.
Seconda considerazione, la texture: guardate anche i bicchieri qui sopra: i primi due latti (abituiamoci a chiamarli al plurale, il latte non è uno solo) oltre al colore hanno anche una consistenza diversa; ci sono dei pezzi di panna che galleggiano in superficie. Il latte d’erba, come potete vedere nella foto qui sotto, sporca molto il bicchiere, a differenza di quello industriale che ha un comportamento (e pure un sapore) “acquoso”.
Qual’è la differenza in questo caso? I latti d’erba non sono omogeneizzati, quelli industriali sì. L’omogeneizzazione è il processo che rompe i globuli di grasso e li mescola con la parte liquida; è universalmente adottata dall’industria, che sostiene che rende il latte più digeribile; secondo noi questo non è assolutamente vero (e io ne ho anche esperienza personale, come vi ho raccontato anni fa qui sul blog), anzi ne peggiora significativamente la qualità e lo rende invece più difficile da digerire, e oltretutto comporta anche l’ossidazione e la perdita di alcuni valori nutrizionali.
Ultima differenza (ma troppe ce ne sarebbero!!! Purtroppo il sapore e il profumo non posso trasmettervelo con le foto o i video), la pastorizzazione. Come avrete capito nessuno dei latti che abbiamo degustato era crudo; tutti erano pastorizzati, chi più chi meno. Ovviamente è proprio questo “più e meno” a fare la differenza, perché per pastorizzare bisogna portare il latte ad una certa temperatura per un certo tempo, e a seconda di quanto cambiano queste due variabili si possono avere infinite differenze nella qualità e nei nutrienti che rimangono nel latte.
Il quinto bicchiere è servito proprio a questo; Donato lo ha riempito con un latte a lunga conservazione, che in commercio si chiama anche UHT, che sta per Ultra High Temperature e prevede il riscaldamento a 135°C per non meno di un secondo, con vapore acqueo diretto oppure tramite scambiatori di calore. Qui sotto vedete una fase della prova di degustazione (Donato era severissimo!) :-)
Per farvela breve (troppo tardi mi sa :-D) tutti hanno adorato i due latti d’erba e scartato i due latti industriali; alla fine Donato ha scoperto le carte e abbiamo saputo quali latti avevamo assaggiato. Le due meraviglie d’erba e fieno erano il latte nobile piemontese della stupenda Cascina Roseleto (ovviamente sto cercando di circuire Claudia Masera, la proprietaria, per farla entrare tra le aziende convenzionate del pasto nudo) e il favoloso latte biodinamico della Latteria tedesca Berchtesgadener Land che il nostro prof ci ha sempre consigliato e che si trova anche da noi nelle catene della grande distribuzione biologica: grazie di cuore a Gianluca e Valentina del Naturasì di via Trionfale a Roma per avercelo offerto senza nemmeno doverglielo chiedere <3
I due latti industriali erano entrambi della Granarolo, e precisamente il Granarolo Alta qualità e il Granarolo biologico, che sorprendentemente ha ottenuto da tutti il giudizio peggiore!!! Quest’ultimo stranamente aveva un sapore di latte cotto, probabilmente perché viene pastorizzato a temperatura più alta per farlo durare di più sugli scaffali; ad ogni modo niente a che vedere con i due latti d’erba. La cosa che mi ha fatto sorridere è che il latte industriale pubblicizzava in bella vista sull’etichetta la raccolta punti di non so cosa, un espediente che non ho mai capito pur essendo nel campo della comunicazione.
Voglio dire, ma possibile che per comprare qualcosa devo essere incentivato da un premio invece che dal sapore o dalla qualità? Questa operazione per me ha senso solo quando un prodotto è talmente uguale a quello di un’altra azienda che non hai altro motivo per sceglierlo che un regalino extra :-D Stesso discorso per il latte a lunga conservazione, della Parmalat stavolta, dall’inconfondibile sapore… UHT. Pure quello con il sostegno alla fondazione Veronesi, che tra l’altro se non sbaglio è pure vegano quindi boh, veramente non capisco.
La coerenza, questa sconosciuta. Poi tutti in etichetta con questa informazione sul latte “100% italiano” che fa piacere perché sai la provenienza, quindi il dove, ma il come, che è fondamentale, perché non c’è? Di questo problema ne ha parlato anche Stefano introducendo l’argomento all’inizio della giornata, come potete vedere nel video qui sotto.
Bene, per adesso mi fermo qui, altrimenti diventano veramente troppe informazioni in una volta sola. Ve le lascio digerire e intanto preparo la seconda parte del post, nella quale vi racconterò del corso di formaggio spalmabile, del pranzo organizzato dalla Mucca Ballerina, della degustazione dei formaggi di Loreto Pacitti, di Gregorio Rotolo, dell’azienda Ferrari (che presto vedrete su Ammuìna!), e della preziosa lezione di Loreto Nemi, con altri video e un sacco di altre foto, così sarà come se foste stati con noi.
oh, meno male che hai fatto questo resoconto, perché io pur volendo non ho potuto essere presente. Aspetto il prosieguo e l’arrivo delle nuove aziende su Ammuina!
@Valeria: sì sì sto già scrivendo il seguito! Le aziende arrivano e anche le novità, vista la newsletter? :-)
si!! infatti non vedo l’ora di conoscere i nuovi produttori di parmigiano: avevo una mezza idea di proporre al gas a cui sono iscritta il caseificio santa rita, visto che non c’è un fornitore, o di fare un gruppo di acquisto tra chi del Gas è interessato, ma magari se non passa troppo tempo aspetto e confronto. Il parmigiano di santa rita mi è piaciuto moltissimo, ma da soli facciamo fatica a comprarlo, col gas sarebbe tutto più semplice.
Bellissimo articolo… per chi come me non è potuto venire è un gran bel regalo. Mi piacerebbe assaggiare almeno uno dei due tipi di latte presentati ma purtroppo ho visto che a Grosseto e provincia non ci sono negozi naturasi! Credo che l’unica possibilità che ho è comprarlo la prossima volta che capito a Roma e dintorni. Ti sono grato per tutto il lavoro “consapevole” che fai
@Alberto: grazie Alberto :-) Prova anche a contattare proprio l’azienda, magari c’è qualcuno che lo distribuisce dalle parti tue?
Grazie Izn, finalmente un posto vicino a casa (abito a Torino) e solitamente mi trovo molto fuori area… Non sai che favore immenso mi hai fatto,,,
Grazie infinite per il lavoro che svolgi e per il dettagliato resoconto che hai fatto… avrei partecipato ma sono piuttosto distante.