Come sempre il cibo che mi appassiona di più è quello atavico, basilare, la pura materia prima dalla quale si parte per realizzare altri alimenti, spesso anche quelli di base; ecco perché nonostante tutto ciò che si dice sulle allergie e le intolleranze, il pasto nudo è un blog pro-latte, di mucca, di pecora, di capra, e ovviamente di… mamma!

Anche perché sono convinta che se se ne fa un uso moderato, e soprattutto se si riesce a bere un latte degno di questo nome (lo so, è molto raro), le intolleranze diventano molto meno intolleranti (l’ho provato sulla mia pelle e ve l’ho raccontato un sacco di tempo fa qui).
Poi ben vengano tutti i vari latti vegetali, ma senza secondo me rinunciare al latte che da sempre abbiamo bevuto. L’ha detto anche il prof, ricordate?
Il problema è che il latte che si trova in commercio normalmente è uno degli alimenti cose più inquinati che esistano. Non è cosa nuova, ma tanto per citarvene una, potete leggere questo articolo sulla Stampa di qualche giorno fa: antibiotici, antidolorifici, antinfiammatori, estrogeni. Per un totale di circa 20 sostanze “estranee”. Viene spontaneo chiedersi se tante persone che hanno problemi a digerire il latte non siano piuttosto intolleranti a questo cocktail di sostanze sintetiche che il latte comune contiene.

Per quanto mi riguarda, come sapete, compro un latte tedesco biodinamico, non omogeneizzato, che proviene da mucche di alpeggio. Con un gran senso di colpa per il fatto che venga da così lontano: se posso, a parità di qualità, mangio quello che trovo più vicino possibile, ma se è necessario sono disposta a passare sopra anche al chilometro zero.

Per chi invece preferisce comunque trovare ciò che mangia nelle proprie vicinanze, ci sono alternative anche valide; bisogna cercarle, con l’arma della consapevolezza, sapendo cioè come questo latte dovrebbe essere, come le mucche che lo producono dovrebbero vivere e cosa dovrebbero mangiare (in un mondo perfetto). Poi si parte con le domande a raffica ai produttori, e magari si diventa anche antipatici (l’avete visto questo articolo esilarante di qualche giorno fa? io quando ho letto “riso e altri alimenti non biologici” sono caduta dalla sedia), ma vi assicuro che se i produttori sono seri e hanno la coscienza a posto non se ne sentono infastiditi e anzi vi spiegano tutto quello che volete più che volentieri.
Una delle realtà che consiglio di solito a chi abita da Roma in giù è quella del Latte Nobile. Me l’ha fatta conoscere Stefano, che su queste cose sa più di chiunque io conosca, e che ormai sono secoli che si batte per un latte serio (e relativi formaggi, ovviamente), e anche se non ho mai provato questo tipo di latte personalmente mi è sembrato un progetto convincente.
Il latte proviene da alcuni piccoli allevatori dell’Appennino Campano nella provincia di Benevento; *non* è prodotto da mucche che pascolano (se ho ben capito quando pascolano le mucche producono latte solo sei mesi all’anno, ma non capisco perché non farle pascolare quando possono: chiederò lumi e vi dirò), e gli animali mangiano solo alimenti prodotti nell’azienda dove vivono (sono vietati alimenti geneticamente modificati e insilati, e addirittura anche ortaggi come peperoni, colza, cavoli, o rape che potrebbero dare al latte un sapore sgradevole). Subisce una pastorizzazione molto leggera (viene portato a 72 gradi per pochi secondi), ed è molto più ricco di sostanze benefiche rispetto al latte tradizionale (nel quale come sapete spesso gli Omega 3 vengono aggiunti inserendo olio di pesce!). Da settembre 2011 è diventato anche un presidio slow food, c’è anche un video piuttosto esplicativo che potete guardare qui.
Ecco perché ci sono rimasta un po’ male quando qualche giorno fa ho letto questo articolo su kataweb, che riportava un’inchiesta del Salvagente, che tacciava il Latte Nobile addirittura di truffa.
Da un test fatto da un laboratorio dell’Università Federico II di Napoli veniva fuori che il Latte Nobile sarebbe stato annacquato. Ovviamente si è scatenato un terremoto nell’ambiente. In questo articolo Stefano contesta aspramente le conclusioni del Salvagente e dà voce a Roberto Rubino, presidente dell’Anfosc (Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo) e fautore del progetto “Latte Nobile”, che approfondisce la questione anche in un suo articolo molto lucido e onesto, proprio sul sito dell’Anfosc.
Anche su Ruralpini appare un articolo indignato per la superficialità del Salvagente, e che a un certo punto sbotta in un (giustissimo) “Che fatica fare latte buono, pulito e giusto!”.
Il problema, a detta di Rubino, è che nel latte analizzato sarebbe stato trovato il 3-4% di acqua (e che il guadagno eventuale sarebbe in questo caso di 20 euro a settimana, ma non si capisce come questo calcolo sia stato fatto). Quello che è accaduto in realtà è che per evitare che nel passaggio nell’impianto di confezionamento il Latte Nobile si contaminasse con altri latti l’impianto è stato sciacquato prima con acqua, e alcuni litri d’acqua sono finiti nel latte.
L’altra cosa parzialmente vera che l’inchiesta diceva era che il rapporto tra acidi grassi omega-3 e omega-6 era più basso di quello del latte delle mucche al pascolo, ma il fatto importante per noi è che comunque nettamente superiore a tutti i latti industriali provenienti da allevamenti intensivi che troviamo in commercio.
Alla fine il Salvagente ha ritrattato minimizzando gli errori della giornalista che aveva scritto l’articolo precedente. La cosa che più mi sconcerta dell’articolo è che non faccia alcun cenno alla differenza abissale che esiste tra latte prodotto da vacche che provengono da allevamenti intensivi piuttosto che da piccoli allevamenti sostenibili.
Tutto questo racconto solo per farvi vedere quanto lavoro c’è dietro le cose più semplici che acquistiamo, e quanto è importante essere informati sul cibo. Ma se siete arrivati fin qui lo sapete già. A volte può essere un po’ noioso, ma è importante essere consapevoli, per noi e per i nostri bambini. Ho ancora qualcosa di molto importante da dirvi sul latte, cose che stanno accadendo proprio in questi giorni, ma mi sa che vi lascio riposare un po’ prima di raccontarvi. Ché mica possiamo fare sempre i seri, il prossimo post si gioca in cucina, ok? :-)