Ma buongiorno a voi :-) C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria; a parte l’esplosione della natura (finalmenteeee!!!) abbiamo trascorso l’ultima settimana in un posto che descriverlo sarebbe fargli un torto. Colline a perdita d’occhio, di ogni possibile tonalità di verde, campi e casette in lontananza, un sottofondo incessante di voci pennute (ghiandaie, tortore, fagiani in piena stagione dell’amore), e cipressi un po’ dappertutto.

pane con farine antiche

Ma ve ne parlerò molto presto. Adesso mi urge raccontarvi tutto ciò che c’è di nuovo sull’argomento pane, e il fatto che negli ultimi giorni sia stata circondata da campi di Senatore Cappelli, Verna, Frassineto, Taganròg, Timilìa, Gentilrosso, Inallettabile, Farro e insomma grani antichi come se piovesse, mi rende la cosa ancora più facile.

Dall’ultima ricetta di pane (e da quella ufficiale con la bianca) sono cambiate tantissime cose, e ovviamente metodi e impasti si sono decisamente evoluti.

So che per chi si è avvicinato da poco al pasto nudo e vuole panificare è abbastanza complicato decidere quale ricetta seguire per prima, e in genere consiglio sempre come regola generale di guardare la data del post e scegliere la più recente, perché tre anni fa ovviamente sapevo il dieci per cento di ciò che so adesso.

Le differenze principali sono il fatto che non utilizzo più farina 0 (che anche se bio è comunque macinata a cilindri e non a pietra, ed è poco sana per vari motivi che vi spiegherò nel famoso post delle farine — giuro, finisco di scriverlo tra pochi giorni!). Inoltre non utilizzo più farine proveniente da grani convenzionali (che nel tempo hanno subìto trasformazioni poco simpatiche) grazie ai Floriddia e alle loro farine pazzesche (ma che vanno gestite in modo molto diverso rispetto a quelle alle quali ero abituata).

pane con farine antiche

Poi ho scoperto che meno bianca si riesce ad utilizzare più il pane lievita lentamente, e più tempo rimane morbido e fragrante, e molte altre cose, che ho cercato di trasmettere durante i laboratori che si sono svolti questa primavera.

pane di grani antichi

La cosa migliore che posso fare adesso è mostrarvi il nuovo procedimento che uso per fare il pane, adatto a gestire farine che provengono da grani antichi – non nanizzati, non incrociati in modo selvaggio per conformarsi alle nostre esigenze (a questo proposito vi rimando al bellissimo post che Sara ha scritto qualche giorno fa).

Chissà che qualcuno non si faccia venire in mente che magari sarebbe il caso di sviluppare una certa umiltà e adattare noi a ciò che ci offre la natura invece che la natura a noi. Allo stato dell’arte attuale del pasto nudo *questo* è il pane che consiglierei se qualcuno volesse provare a panificare, a chi capitasse da queste parti – ovviamente fino alla prossima evoluzione.

procedimento per fare il pane di grani antichi

L’unico problema è che questo impasto di cui sto per parlarvi è molto idratato (per una farina con poco glutine); su un chilo di farina ci sono quasi 700 grammi d’acqua, vale a dire l’idratazione è quasi del 70%. Risulta quindi decisamente poco maneggevole, e se siete proprio alle prime armi vi suggerisco di diminuire le dosi di acqua (toglietene almeno 50 grammi da ogni passaggio), e aumentarle quando vi sentirete più sicuri di voi.

bollicine della fermentazione

Un impasto meno idratato vi restituirà un pane meno alveolato, ma sempre ottimo; in più ho notato che più il pane è alveolato, più velocemente invecchia, forse perché entra dentro più ossigeno (ma questa è solo una mia ipotesi). Tutti e due i tipi di pane sono ottimi, e piano piano che vi impratichirete potrete divertirvi a variare la quantità di acqua come vi pare, ottenendo pani sempre diversi.

le pieghe del pane

Noterete inoltre che rispetto alle altre ricette che ci sono qui sul pasto nudo le dosi sono molto più elevate; questo perché per prima cosa ho capìto che se il pane è più grande riesce molto meglio; inoltre fatto in questo modo si mantiene perfettamente per una settimana, e farne due a distanza di pochi giorni sarebbe uno spreco inutile di tempo, oltre che di elettricità.

formatura del pane

Prima di partire devo un doveroso ringraziamento alla stramitica Cleofe (e alle insostituibili dritte di Roby), che sperimenta qua, sperimenta là, hanno tirato fuori il procedimento dal quale sono partita per fare questo pane, e senza le quali il suddetto non avrebbe mai visto la luce :-)

Per qualsiasi dubbio non esitate a chiedere, ché io ho ancora la testa tra i filari di cipressi della settimana scorsa e sono poco concentrata :-)

Ingredienti:
150 grammi di poolish di pasta madre liquida*
1040 grammi di farina 1 verna frassineto
680 grammi d’acqua a temperatura ambiente
4 cucchiaini di sale (circa 20 grammi)

*trovate il procedimento per fare il poolish nella pagina della pasta madre liquida, qui!

Preparate il primo impasto, mescolando tutto il poolish con 440 grammi di acqua (senza cloro – io come sapete uso quella osmotica) e aggiungendo poi 500 grammi di farina. Io metto tutto nell’impastatrice con la foglia, faccio andare a bassa velocità per un paio di minuti (solo fino a quando non si vede più farina asciutta – quello che si ottiene è una specie di pastella) e spengo. Poi copro la scodella dell’impastatrice con il solito strofinaccio umido ben strizzato (lavato senza ammorbidente mi raccomando), tolgo la foglia e lascio riposare così, direttamente nell’impastatrice.

Lasciate lievitare per qualche ora. Ci vuole un po’ d’occhio, a seconda di quanto fa caldo e tutte le altre variabili che sapete; io con queste temperature (in media 24°C) ho fatto il primo impasto alle 10 e mezza del mattino e il secondo all’una e mezza.

Dopo diciamo un due o tre ore circa l’impasto sarà leggermente gonfio (molto leggermente) e con qualche bollicina. A questo punto aggiungete altri 200 grammi di farina e altri 100 grammi d’acqua, avviate di nuovo l’impastatrice con la foglia per un minuto o più di nuovo, togliete la foglia e coprite come sopra.

Lasciate riposare nello stesso modo un’altra oretta circa (io l’ho lasciato dall’una e mezza alle tre del pomeriggio), poi fate l’impasto finale: montate il gancio, aggiungete gli ultimi 340 grammi di farina (attenzione che sbuffa dappertutto), poi mettete in una brocca i 140 grammi d’acqua rimanenti e versateli piano piano, fino a quando la farina “se li prende”. Questo vuol dire che non dovete mettere necessariamente tutta l’acqua; l’impasto deve rimanere molto colloso e nervoso e *tendere* ad attaccarsi al gancio (non si aggrapperà al gancio completamente come succede con la farina 0).

Se utilizzate farine da grani antichi è molto importante regolare l’impastatrice su una velocità bassa (io il kitchen aid lo regolo sulla velocità 2) e lasciarla andare al massimo per dieci minuti.

Il problema è che queste farine hanno pochissimo glutine (e quando dico pochissimo intendo una W di 70-100!!!), e se le strapazzate troppo, raggiunto l’apice della resistenza si smollano totalmente e non si riprendono più. E poi potete aggiungere farina quanta ne avete, ma non si riprendono più. A me la prima volta è successo, e ho dovuto *versare* tutto in una teglia e infornare così. Ho inventato il pane-torta, bruttarello, ma mangiabile.

Verso la fine aggiungete il sale, che dovrebbe fare l’effetto di asciugare ancora un po’ l’impasto. Poi prendete il tutto, così com’è, e con un leccapentola o una spatola di silicone (o alla meno peggio un cucchiaio di legno) cercate di riversarlo sulla spianatoia, molto infarinata.

Aiutandovi con la spatola rettangolare ben infarinata prendete i quattro lembi (nord, sud, ovest, est) dell’impasto (che si allargherà sul piano spiattellandosi un po’) e ripiegateli su se stessi. Poi lasciate riposare sul piano una ventina di minuti, e intanto preparate un grosso ciotolone di vetro spolverandolo molto bene di farina sul fondo.

Trascorso questo tempo fate ancora un paio di pieghe e adagiate il tutto nella ciotola, che coprirete con il solito strofinaccio e posizionerete nel forno spento senza luce (in questa stagione e con temperature sopra i 22 gradi; in inverno o comunque con temperature sotto i 22 gradi accendete la luce del forno e aumentate il poolish di 50 grammi; in piena estate o con temperature sopra i 30 gradi il procedimento deve essere diverso, il poolish ulteriormente diminuito, e ve lo spiegherò in un post appena lo proverò). Lasciate riposare il tutto senza disturbarlo (non controllate ogni dieci minuti).

Dopo un’oretta provate a fare qualche altra piega sempre con la stessa tecnica, e rimettete in forno. Quando vedrete che l’impasto sarà… come dire… volenteroso, vale a dire avrà ricominciato a crescere decisamente, accendete il forno (corredato con pietra refrattaria posizionata sul ripiano più basso (a una decina di centimetri dalla base, per capirci) al massimo della temperatura (il mio arriva a circa 300°C).

A me ci mette circa un’oretta per arrivare bene a temperatura – se i vostri hanno tempi simili con l’esperienza dovrete cercare di calcolare a occhio i tempi in modo che l’impasto non passi il punto massimo di lievitazione e si spatasci intanto che il forno si scalda.

La formatura per questo tipo di pane va fatta subito prima di infornare. Rovesciate molto ma molto delicatamente sulla spianatoia ben infarinata il vostro impasto, con tutto il suo prezioso carico di bolle (che devono rimanere *dentro*); schiacciate leggermente a disco l’impasto, mettetelo davanti a voi e arrotolatelo su se stesso (guardate la sequenza di foto per capire questa fase, che è molto delicata e importante).

Posizionate il tutto sulla pala per infornare (guardate che bella questa), versate mezzo bicchier d’acqua sulla leccarda rovente e infornate immediatamente (attenzione al vapore bollente!!!).

Appena infornate abbassate la temperatura a 250°C, poi dopo circa un quarto d’ora abbassate ancora di una ventina di gradi, e lasciate cuocere per una cinquantina di minuti circa così.

Trascorso questo tempo armatevi di guanti da forno e girate il pane a testa in giù, richiudete il forno subito e lasciate ancora cuocere per un’altra ventina di minuti.

Quando il vostro bambino (il peso è quello) avrà un bell’aspetto cotto spegnete il forno, aprite velocemente, appoggiate il pane in verticale a una delle pareti, e lasciate lo sportello aperto a fessura (infilateci un cucchiaio di legno o qualcosa del genere).

Il pane deve raffreddarsi in questo modo; solo così la crosta non si ammollerà, perché il vapore che c’è all’interno non fuoriuscirà troppo velocemente. Se riuscite ad attendere senza affettarlo prima che sia freddo il pane durerà sei o sette giorni.