Del feng shui non ci ho mai capito niente; mi sembra sempre che quelli che lo spiegano non non si parlino tra loro, ognuno dice l’opposto dell’altro, e insomma ma come si fa a capire cosa fare e cosa no? Claudiaaaaa!!!
Mo’ l’altro giorno ho scoperto il Vastu, lo yoga della casa, e ho capìto che ho sbagliato tutto nell’arredamento della camera da letto. E sì che avevo avuto sempre dei dubbi sullo specchio accanto al letto, ma solo perché dalla parte opposta c’è una porta finestra a est, vale a dire che la luce dell’alba (che è molto più intensa di quanto avrei pensato prima di avere una casa che ha tutte le esposizioni) si riflette esattamente sul letto, quindi è come avere due finestre con il sole a est e a ovest. Pure un po’ onirico, se vogliamo. Se non fosse che è impossibile dormire quando sorge il sole.
Intanto pare che gli specchi siano potenti amplificatori di energia, e quindi in una camera da letto disturbino il sonno; poi l’altezza non dovrebbe mai essere lunga più del doppio della base (o viceversa), e meglio rettangolari o quadrati che tondi, perché questi ultimi sono troppo energetici.
Ma il problema serio, quello super preoccupante, è che non bisognerebbe mai e poi mai appendere uno specchio sulla parete esterna di un bagno, “pena ritrovarti la stanza in cui c’è lo specchio piena dell’energia *sporca* del bagno.” E io là lo tengo!!!!! AAAARGHHHH!! Proprio sulla parete esterna del bagno, *e* in camera da letto accanto al letto. Ed è ENORME!!
Ho mobilitato lo zac che ‘sto specchio ha da essere spostato, ma non so perché il ragazzo mi è reticente. Mo’ perché lo specchio in questione era la porta di un armadio e pesa tipo due quintali uno si deve mettere a sindacare sulle difficoltà del trasloco? Non sarà più importante che le energie rimangano dove devono stare e non girino per la casa mentre uno dorme?
Vabbeh queste erano le cose importanti, adesso vi ammollo una ricetta che mancava all’appello qui sul blog alla voce “cucina tradizionale”, perché in quanto napoletana devo ammettere di non averla mai fatta né vista fare, e tantomeno assaggiata. Questo è un piatto tipico di chi ha un orto o un pusher ortifero (come per noi Le Spinose o Casale Vecchio), oppure un meraviglioso mercatino bio della scuola come quello che vi ho raccontato il mese scorso, che si è ripetuto ieri e che se tutto va secondo le mie speranze si ripeterà il 21 giugno.
Come tutte le ricette antiche ne esistono tante versioni, con il comune denominatore dell’uso contemporaneo degli ortaggi che definiscono la nostra primavera, vale a dire carciofi, piselli, fave e cipolline novelle, tanto amati quanto caduchi. Fino a due anni fa noi, che mangiamo solo consapevole, spesso i piselli non li vedevamo nemmeno passare, tanto duravano poco sui banchi della vendita diretta. Cominciavamo a pensare che fossero un po’ come le albicocche, una leggenda bella e improbabile. E invece quest’anno pioggia di piselli e fave.
Le ipotesi per il nome della ricetta sono varie; c’è chi afferma che vignaroli fossero chiamati i venditori di verdure negli antichi mercati romani; altri invece fanno risalire il nome al fatto che questo piatto veniva preparato con le verdure coltivate tra i filari delle vigne.
Dove per “vigne” si intende molto di più della coltivazione della vite, come potete arguire dalle parole di Arcangelo Dandini:
“La vignarola della mia infanzia era un piatto che si preparava con quello che si poteva portare facilmente nella giornata di lavoro nei campi, e con quello che si raccoglieva sul posto e sulla via. La vigna, in senso lato, era la campagna, il terreno fuori dal paese in cui si coltivavano le verdure, si allevavano i maiali e le galline, dove c’era un piccolo rustico con il camino e una cucina di fortuna. La mia vignarola non era un vero e proprio pasto, piuttosto uno spezzafame, una merenda ricca. Si portava da casa il pane e il guanciale, mentre l’acqua era quella del pozzo.
La sostanza del piatto era data dal battuto di base che era fatto con il guanciale o con il grasso e magro di prosciutto, mentre alle fave, ai piselli, alla lattuga, ai carciofi, si aggiungevano anche le cicorie e le altre erbe spontanee che si raccoglievano lungo la strada. Così si adagiavano le fette di pane nella scodella, e si coprivano con il guanciale e le verdure stufate, terminando con un goccio d’olio e del pecorino fresco a scaglie”.
Io sono ovviamente attratta da quest’ultima versione, perché testimonia di un tempo nel quale sversare pesticidi tra un filare e l’altro era impensabile (questa foto orribile non risale a più di tre mesi fa, per dire).
Il piatto è semplicissimo da preparare, veramente for dummies; potete usarlo come contorno, condimento per la pasta, farcitura per una torta salata (tipo in questa, al posto delle zucchine), o come piatto principale insieme a una bella fetta di pane fatto in casa. In queste foto la vedete fatta con la pancetta, ma andrebbe fatta con il prosciutto crudo.
Inutile dire che potete tranquillamente prepararlo in versione vegana (questa di Labna mi sembra splendida).
Mi sono affidata a questa ricetta del ristorante Paris a Trastevere; ho omesso il burro infarinato finale, perché non volevo mischiare due animali diversi, come da direttive bionutrizionali.
Come vedete nelle foto del post che ho linkato sopra, il risultato dovrebbe essere molto più “umido”; io sono geneticamente incapace di fare piatti brodosi (come zac ben sa), ma la prossima volta giuro che ci provo, perché dall’aspetto la vignarola di questa bravissima chef è super appetitosa. Voi cercate, dna permettendo, di mantenere il tutto più lento se volete un risultato tradizionale.
Ho letto che alcuni cuociono tutte le verdure a parte e poi le mettono insieme; non sono d’accordo con questa versione, preferisco l’idea del piatto corale, dove tutte le verdure chiacchierano tra loro; però se volete semplificare provate (ma sporcherete una marea di padelle!).
Ingredienti:
500 grammi di piselli sgranati
500 grammi di fave sgranate (se sono tenere potete lasciare le buccette)
500 grammi di carciofi
250 grammi di cipollotti
100 grammi di gambuccio (o di scarti di prosciutto crudo, o di pancetta)
mezzo bicchiere di vino bianco
olio extravergine d’oliva
sale marino integrale
un pezzetto di pecorino (facoltativo)
qualche foglia di menta romana
Lavate la lattuga e tagliatela a striscioline, sgranate i piselli e le fave, tagliate i cipollotti a fette non troppo sottili (scartate la parte verde ma non gettatela) e pulite i carciofi e tagliateli mettendoli a bagno in una ciotola di acqua fredda acidulata con un pochino di limone.
Con i baccelli, la parte verde dei cipollotti e i gambi e le foglie scartate dei carciofi preparate a parte un brodo di verdure (io avevo un po’ di passata di baccelli avanzata da qui e ho aggiunto anche quella al brodo), facendoli partire in acqua fredda a fuoco basso. Quando il brodo è pronto, togliete tutti gli scarti, salatelo leggermente e rimettetelo sul fornello a fuoco basso basso per tenerlo caldo.
Coprite il fondo di una padella larga con un velo d’olio, aggiungete la pancetta o il gambuccio e lasciate soffriggere per un minuto; poi aggiungete i cipollotti a fettine e lasciateli cuocere a fuoco medio-basso fino a quando prenderanno un colore dorato. Unite i carciofi. Alzate un pochino la fiamma e fateli cuocere fino a quando non si sarà asciugata l’acqua che rilasceranno, e si coloreranno un po’, poi sfumate con il vino (cioè versate in padella il vino alzando bene la fiamma e aspettate che evapori); a questo punto aggiungete un mestolo di brodo e fate cuocere 5 minuti. Aggiungete le fave e i piselli, mescolate, versate un altro mestolo di brodo e fate cuocere ancora 10 minuti.
Infine aggiungete la lattuga e qualche fogliolina di menta romana (io non ce l’ho messa perché non la amo), mescolate, aggiustate di sale e pepe, cuocete ancora qualche minuto e poi servite il tutto tiepido, con un’ultima spolverata di pepe appena macinato, un filo d’olio, e qualche scaglia di un ottimo pecorino.
Si si confermo, a Roma i vignaroli erano (e sono) i contadini che ti vendono le cose della loro terra, perché per l’appunto la vigna era la terra fuori città :-)
Io nella vignarola non sapevo ci andasse la lattuga e neanche pensavo che ci andasse il prosciutto. Sempre usato guanciale o pancetta (anche perché il prosciutto crudo quando lo si cuoce diventa una schifezza, diciamocelo…). Certo però, la versione col burro mi sembra poco ortodossa…
L’ho fatta di recente, ma senza lattuga, che forse inconsciamente elimineresti pure tu, visto che nell’elenco degli ingredienti manca :oP
Nella ricetta che ho seguito io c’erano anche gli asparagi, i cui gambi si mettono nel brodetto da usare per inumidire lo stufato, e che forse però hanno dato al gusto finale del piatto – che avevo già fatto senza – una nota un po’ amaragnola che non mi è piaciuta.
Rifarò tutto seguendo la tua versione.
P.s. ma che è il filo d’olio Dandiniano? una citazione della Dandini?
ahh…semel in anno licet insanire l’ho appena scritto io su fb! (si, perchè davvero sono impazzita ultimamente) e me lo ha insegnato il mio anziano papà di 94 anni! ;)
cmq ricettina semplice da provare subito, proprio oggi ho il mercato contadino biologico e sono sicura di trovare tutto!