Grazie al cielo ultimamente vedo fiorire un grande interesse per i piccoli produttori agricoli e i piccoli allevatori. Vale a dire aziende a conduzione familiare o poco più grandi, a misura d’uomo, se così si può dire, nel senso che le singole persone sono in grado di monitorare perfettamente la situazione.
La gente finalmente si sta svegliando, si sta guardando attorno, e sta cominciando a scartare le soluzioni facili, il supermercato sotto casa che ti rifila quello che gli pare, ma è tanto comodo perché puoi gettare tutto in un carrello e tra spesa e fila alla cassa ci metti una ventina di minuti in tutto.
Molti nel fine settimana invece di andare a fare una passeggiata al centro (e fare shopping consumista) si spostano verso le campagne, vanno a cercare le aziende agricole di cui hanno sentito parlare da un amico o magari in giro sulla rete, e oltre a fare la spesa e qualche chiacchierata istruttiva con gente molto… vera, hanno anche la possibilità di mostrare ai propri bambini come sono fatti polli, caprette, pecore e mucche, e spiegare loro da dove viene il cibo che mangiano, e scongiurare l’eventualità che quelli che saranno a breve gli adulti in circolazione credano che il formaggio lo costruisca il supermercato in un’enorme fabbrica che si trova nei sotterranei (che poi alla fine non è che sia una cosa così lontana dalla realtà. quando parliamo di formaggi che provengono dalla mastodontica, e ormai vetusta, diciamocelo, industria alimentare).
Sembra strano, ma se i social network (nel mio caso principalmente facebook) vengono utilizzati come strumento di lavoro invece che come megafono nel quale sparare al mondo ogni singola cosa che si sta facendo, offrono un ventaglio di possibilità infinito.
Io sono iscritta ad esempio ad un gruppo di consumo consapevole (e ti pareva) che offre moltissimi spunti per pensare (e agire), e un altro, un gruppo di pastori, dove zitta zitta (perché meglio starsene alla finestra quando l’argomento non è esattamente familiare) imparo le tecniche di allevamento all’aperto, apprendo le preoccupazioni dei pastori e vivo microscopici pezzettini della loro vita, ammirandoli da lontano.
E ogni giorno mi è più chiaro il rapporto inversamente proporzionale tra qualità di un prodotto e grandezza dell’azienda che lo produce: quanto più un’azienda è grande, tanto peggiore è la qualità (non ricordo dove ho letto che l’estensione giusta di un’azienda agricola è al massimo quella che si può abbracciare a vista d’occhio, non di più. Lo trovo geniale :-)), e non che sia questa scoperta sconvolgente, ma io proprio non ci avevo pensato in quarant’anni di vita. Mi sento così scema.
Ma mi consolo pensando che la colpa non è stata tutta mia: ero distratta da improbabili programmi televisivi detti “di intrattenimento” (ormai la odio questa parola), da grossi problemi personali dovuti alle dinamiche familiari distorte degli anni ottanta, da una fitta nebbia di str… ehm, sciocchezze che nascondeva i valori veramente importanti, e li faceva sembrare un po’ ridicoli un po’ inutili, e insomma da tutto il fumo che ci hanno soffiato negli occhi nell’ultimo trentennio, e che ci ha fatto diventare involontariamente complici del tentato omicidio del nostro pianeta.
Adesso però sono ravveduta, e felice di vedere che come me tanti stanno ricominciando a vedere la realtà, quella vera, e ad agire di conseguenza. Sarà l’epoca dell’acquario, sarà che siamo arrivati ad un punto così vicino a quello di non ritorno che non si sa neanche se sarà possibile tornare indietro, ma ci stiamo provando, e questo mi dà molta forza.
Bene. Per festeggiare vi faccio vedere un’altra ricetta stupenda di Teresa (ve ne ho già parlato qui di questa donna geniale, non ho niente da aggiungere a parte “grazie, grazie Teresa, per la ricerca che fai!”); ho seguito il procedimento letteralmente (ho cambiato giusto il tipo di aceto), perché è un piatto della tradizione, oltretutto siciliana, e che vuoi cambiare, è assolutamente perfetto nel suo equilibrio di sapori e meraviglioso nella sua candida semplicità (e povertà).
Teresa tra l’altro spiega che in Sicilia per questo piatto viene utilizzata la tuma fresca (cos’è??!!! La voglio!!) che però pare si trovi solo lì; in sostituzione però si possono usare sia caciocavallo che una scamorza ben asciutta.
Sul suo post ci sono anche degli accenni all’origine del nome: pare che un argentiere caduto in disgrazia si vergognasse della sua condizione e usasse cucinare la tuma come una fetta di carne, per far credere a chi ne sentisse l’odore passando vicino casa sua, che fosse un piatto molto più costoso :-)
Dopo attenta riflessione mi sono risolta a usare il caciocavallo di un’azienda della quale vi avevo già accennato qui; tutto come da copione pastonudista: vacche allevate all’aperto e nutrite con alimenti biologici – vi saprò dire senz’altro qualcosa di più su di loro quando andrò a trovarli, ma tutti me ne parlano come di un’azienda molto seria.
Se non l’avete mai preparato dategli una chance: ne vale veramente la pena. Se ben ricordate, nel post di presentazione alla rubrica sui formaggi vi avevo raccontato che la bioterapia nutrizionale sconsiglia l’utilizzo di questo alimento a cena, principalmente quando è stagionato, perché tende a stimolare l’irritabilità e quindi a disturbare il sonno. Ho letto però in un altro paragrafo dedicato alla scamorza, che quando viene cotta alla piastra o ai ferri può essere indicata anche per il consumo serale, perché questa modalità di cottura distrugge alcune amine responsabili dell’aggressività di cui sopra; inoltre la cottura abbatte in parte il contenuto di grassi (sempre se evitate di intingere quella fetta di pane nella padella).
Sarei molto curiosa di sapere se l’aggiunta dell’aceto, oltre a dargli un sapore delizioso, modifica qualcosa a livello nutritivo, ad esempio se lo rende ancora più digeribile. Che, per caso c’è qualche nutrizionista che passa di qui e ci può illuminare (ogni riferimento è assolutamente casuale)?
Ingredienti:
300 grammi di caciocavallo fresco del tipo che sapete
2 spicchi d’aglio
olio extravergine d’oliva
una manciata di origano
due cucchiai di aceto di mele
pepe nero
Prendete una padella, preferibilmente di ferro (o, in mancanza, di acciaio) bella larga, coprite appena il fondo con un po’ d’olio, aggiungete gli spicchi d’aglio ben schiacciati e mettete il tutto a soffriggere molto lentamente: l’aglio deve rilasciare nell’olio i suoi profumatissimi olii essenziali, e se lo mettete quando l’olio è già bollente gli olii restano belli chiusi dentro lo spicchio).
Quando l’aglio è appena imbiondito (Teresa non lo fa arrivare neanche a questo stadio) aggiungete il caciocavallo tagliato a fette di circa un centimetro di spessore e lasciatelo cuocere sempre a fiamma bassissima per due minuti. A questo punto girate le fette, spolverate con l’origano, aggiungete l’aceto e fatelo evaporare, girando ogni tanto le fette facendo attenzione a non farle sciogliere – ci vuole un grande tempismo.
Il piatto è pronto quando il caciocavallo accenna a filare. Teresa raccomanda saggiamente di adagiarlo in un piatto caldo. E buon appetito :-)
Cara Izn….peccato che i mio percorso attuale stia cercando di accantonare latticini & co.!Le tue ricette xò sono sempre favolose!!!!!
Un abbraccio e grazie x tutto ciò che fai x tutti noi ;-)
Ho letto di questa ricetta in “un filo d’olio” di Simonetta Agnello Hornby. Storia e ricette della sua infanzia, trascorsa nell’azienda agricola del papà. Nel libro però usavano la tuma :-)
Izn@ ho il provolone del monaco,tu dici che va bene lo stesso?
mi prendi proprio per papille… ottimo!
izn@ avevo un pezzo di provolone del Monaco di ottima qualità,comprato da un azienda dell’avellinese che mi hanno assicurato cura la produzione…insomma l’ho cucinato come hai indicato sopra eeeeeeeeeec’era la fila vicino al fornello,buonissimo,ho riscaldato pochi secondi il piatto nel microonde ed è stata una sorpresa eccezionale,ora ti chiedo, ho acquistato quest’estate in Salento un pecorino prodotto da una famiglia sarda che si trasferita lì(ce ne sono molte),il sapore però non è molto gradito ai ragazzi che preferiscono il parmiggiano,ho pensato di provare questa ricetta col pecorino e sostituendo l’aceto con il miele, cosa mi consigli?posso abbinare questi due prodotti?So che molte volte lo propongono nei ristoranti,ma io non l’ho mai assaggiato e non so se la combinazione è giusta dal punto di vista nutrizionale.Aspetto con ansia il tuo consiglio e ancora grazie(a casa invece dicono che sono diventata rompina quando faccio la spesa).
tirata in ballo, rispondo (anche se con ritardo).
l’aceto aumenta la secrezione dei succhi gastrici, quindi può migliorare la digeribilità del formaggio. per cui, si, in questo caso rende questo piatto sicuramente più digeribile.
come verdura ci metterei vicino una bella verdura amara, per semplificare il lavoro del fegato. la morte sua? la cicoria :-)
e come frutto? un frutto acido, come il pompelmo o il kiwi e tra un po’ anche i mandarini.
@Elena: non posso fare altro che un inchino, davanti a cotanta semplicitá e saggezza ;-)
@elena galeazzi…..ma allora il miele sul formaggio non va bene?neanche se passo la teglia al forno?
@rosanna: mica fa male il miele sul formaggio….
non esiste nulla che faccia male (escluse tutte le cose ovvie che noi pastonudisti non prendiamo neanche in considerazione); esistono accostamenti che possono rendere un dato alimento più o meno digeribile o assimilabile.
se il miele sul formaggio non ti da nessun problema, perché ti poni il problema? :-)
Poi si mi chiedi cosa ne penso da un punto di vista della Bioterapia Nutrizionale ti dico che noi il formaggio lo usiamo davvero con molta parsimonia e che arriviamo ad escludere totalmente, in alcune tipologie di persone, alcuni tipi di formaggi.
@elena galeazzi….si mi chiedevo se l’abbinamento miele-formaggio fosse corretto,a dire il vero non l’ho mai mangiato, ho letto a volte di ricette così composte e volevo provare questa ricetta con un pecorino piuttosto saporito che a casa non è stato molto gradito sostituendo l’aceto con il miele,giusto per stemperare il sapore,ma speriamo che non venga fuori un pasticcio, ti farò sapere.
Approfitto per sapere qual’è la tipologia di persona che deve escludere il formaggio, io a dire il vero non ho problemi con questo alimento, anzi vivrei felice in un caseificio.Grazie ancora
@rosanna: la risposta ad una domanda del genere non è semplice, va fatta una valutazione globale della persona.
in generale i formaggi (il particolare se stagionati) sono poco indicati negli ipertesi, negli ipercolesterolemici, negli ipotiroidei, nei diabetici.
adoro questo piatto
io lo preparo con la tuma
ah la tuma è il primo sale senza sale :-) o meglio con solo una salatura e non è stagionato