Eccovi il secondo assaggio dei formaggi della Fattoria Ma’falda, dopo il Crottino di capra stagionato 5 settimane; il gioiellino in questione questa volta è stato battezzato dai suoi creatori “La Capriola”, ed è realizzato con la tecnica del Camembert.

In effetti è sempre un formaggio a crosta fiorita come il Camembert, ma si differenzia da quest’ultimo perché non è fatto con il latte delle mucche ma delle caprette. Però gli somiglia molto e quando l’ho assaggiato (plurimamente) l’ho trovato superbuono.

Al solito adesso cerco di raccontarvi esattamente come viene fatto questo formaggio a pasta molle, perché penso che se interessa a me ci sarà qualcun altro che lo troverà interessante pure lui. O sono l’unico topo di biblioteca che sia appassiona a queste cose? Zac dice che se mi mettessero in prigione o in un monastero potrei stare benissimo lo stesso, mi basterebbe un collegamento a internet e una biblioteca da frequentare!! Ehehehe.

Come tutti i formaggi della Fattoria Ma’Falda, anche questo è preparato partendo da latte crudo, cioè non pastorizzato. A differenza dei formaggi a coagulazione lattica (che cioè acidificano da soli in circa 24 ore, con fermenti naturali estratti dallo stesso latte e una piccolissima aggiunta di caglio quando raggiungono i 20°C) questo è fatto con la tecnica della coagulazione termico-presamica (questa parola deriva dall’espressione “presa” di caglio), che avviene ad una temperatura più alta (dai 30°C ai 37°C), con un pochino di caglio in più, nell’arco di un’oretta.

Prima di tutto però Åste aggiunge nel latte una piccolissima quantità di penicillum candidum, la spora che formerà poi la fioritura sulla superficie del formaggio. In alcuni ambienti, ad esempio alcune grotte, questa spora si forma spontaneamente, ma nel caseificio è necessario “aiutarla” in modo che prevalga su tutte le altre che sono presenti dovunque nell’aria.

A questo punto il latte fa coagulare a 30°C (i 37°C di solito si usano per i formaggi che devono stagionare); e rompe la cagliata che si forma – immaginate un mega-budino – a pezzi molto grossi (diciamo quadratoni di un sette centimetri per sette) in modo che il siero e quindi l’umidità rimangano più possibile nel formaggio.

Poi mette a scolare questi pezzi di cagliata in fuscelle con pochissimi buchi e senza fondo, in modo che la pasta del formaggio si incolli alla superficie del piano e lo spurgo del siero avvenga molto lentamente; al contrario, se avesse voluto ottenere un formaggio a pasta dura avrebbe dovuto usare fuscelle con molti buchi anche sul fondo.

Dopo tutto ciò il formaggio in fieri riposa circa 24 ore, durante le quali viene girato ogni tanto; viene poi messo sulle griglie a riposare, dove a seconda dell’umidità e della temperatura rimane circa una decina di giorni, e sviluppa quella bella e saporita fioritura che lo ricopre.

Visto che siamo all’inizio di uno splendido autunno, ho pensato a un’insalata croccante, con dentro una certa cosa marinata che potrebbe sembrare che c’entri poco, ma che invece gli regala una personalità molto particolare.

Se volete scoprire l’ingrediente segreto, mutuato dal bellissimo libro di Jamie Oliver (guardate chi lo recensiva, un sacco di tempo fa?) sulla cucina naturale, non dovete fare altro che leggere gli ingredienti della ricetta, nella quale troverete anche un ottimo esercizio antistress autunnale da fare in cucina!

Ingredienti:
una lattuga fresca e croccante
una decina di noci
100 grammi di caprino a crosta fiorita
5 o 6 scalogni o una cipolla di Tropea
sale marino integrale
aceto di mele quanto basta
un melograno maturo

Per prima cosa tagliate a fettine sottilissimissime gli scalogni e metteteli in una ciotolina insieme a un po’ d’aceto – quanto basta per coprirli) – e sale; potete anche abbondare un pochino, tanto poi dovrete strizzare gli scalogni ed eliminerete l’eccesso. Mescolate bene e lasciateli riposare almeno una decina di minuti.

Togliete le foglie esterne alla lattuga e conservatele per farci una vellutata, per triturarle e rimetterle sul terreno dove l’avete colta (o sul terreno del patio, o del giardino!), oppure, come nel mio caso, per darle, insieme al torsolo, alla tartaruga da guardia.

Quelle interne, verde chiaro e croccanti, lavatele, asciugatele con la centrifuga per le verdure o con il vecchio metodo strofinaccio-che-ruota, tagliatele a pezzetti con le mani e mettetele in una ciotola media.

Schiacciate le noci cercando di non distruggerle, tostatele velocemente in forno a 160° per cinque-dieci minuti, aspettate che si freddino e distribuitele sulle foglioline di insalata; tagliate a metà il melograno, prendete una ciotola alta e capiente, posizionate il melograno con il taglio verso la ciotola, armatevi di un cucchiaio di legno e di un grembiule coprente, pensate a qualcosa che vi fa arrabbiare e cominciate a picchiare il melograno con il cucchiaio sulla parte posteriore.

I chicchi del melograno cadranno allegramente nella ciotola; vi eviterete di doverli separare uno a uno dalle pellicine interne e farete un esercizio antistress. Quando avrete finito prendete i chicchi superstiti – qui da noi per uno strano fenomeno fisico ne spariscono la metà tra l’operazione ciotola e quella piatto – e spargeteli allegramente sull’insalata.

Aggiungete gli scalogni che avrete tolti dalla marinata e strizzati bene con le mani, mescolate tutto delicatamente (sempre con le mani), distribuite artisticamente nei due piatti e infine aggiungete il caprino tagliato a fettine-o-quasi.