Nuovo produttore, nuovo interessantissimo formaggio, pieno di verve e personalità, che appartiene alla tipologia dei conciati, dei quali, se ben ricordate (vi interrogo, eh!!), vi ho raccontato ampiamente nel post del Caso Peruto di Loreto Pacitti.

le campestre conciato romano01

Stavolta parliamo di un posto molto particolare che si chiama Le Campestre. Immaginatevi una famiglia un po’ allargata, composta da mamma, papà, due cuccioli, e vari nonni. E un casale immerso in quel di Castel di Sasso, nel verde dell’alto casertano, allietato dalla presenza di duecento pecore di razza meticcia, tre mucche, un numero imprecisato di galline, e contornato da olivi e vigneti.

Nel 1997 Manuel Lombardi e i suoi cari, dopo aver cercato fortuna in Germania, sono tornati nel luogo dove avevano lasciato il cuore e hanno creato un agriturismo che può accogliere a tavola fino a ottanta persone curiose.

E magari bambinate, visto che tra i primi e i secondi piatti ci si può, anzi, ci si deve alzare a portare i piccoli a conoscere i tre asinelli di casa. E per chi ha proprio tanto ma tanto bisogno di relax ci sono anche un paio di camere per dormire. Il loro conciato romano, presidio Slow Food, nasce qui, ed ha esattamente lo stesso carattere di queste persone: semplice ma intenso, grande personalità, sempre diversa e spesso sorprendente.

Per prepararlo si parte dal latte crudo e filtrato ovino e vaccino (la percentuale è circa un’80% di pecora e un 20% di vacca). Al latte, a temperatura ambiente, viene aggiunto caglio animale (di capretto). Dopo un paio d’ore la cagliata viene rotta a mano fino ad ottenere tanti piccoli coaguli della dimensione di chicchi di riso; ancora dieci minuti di riposo e poi la cagliata viene raccolta (sempre a mano) messa nelle fuscelle di vimini (il cui uso è stato nuovamente ammesso dalla legge nel giugno 2009) e pressata per bene. Le forme vengono girate due o tre volte per far colare bene il siero, dopo di che si salano, sempre a mano, prima da un lato e dopo dodici ore dall’altro.

Dopo altre dodici ore le forme vengono tolte dalle fuscelle e messe in una struttura di legno (che si chiama casale), posizionata all’aperto, all’ombra, ben aerata e protetta da una zanzariera; rimangono lì fino a quando non si asciugano.

Una volta asciutti i formaggi vengono “conciati”. Per prima cosa vengono lavati con l’acqua di cottura di una pasta fatta in casa tipica del posto, le “pettole”; procedimento che lascia sul formaggio un sottilissimo velo di amido. Vengono poi trattate con una miscela fatta con l’olio delle loro olive Caiazzane, aceto del (sempre loro) vino Casavecchia, il timo serpillo che cresce sulle montagne nei dintorni e il peperoncino di loro produzione.

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Vengono poi sistemati in orci di terracotta (fatti a mano da un artigiano di Calvi Risorta, l’antica colonia romana Cales) e lì dentro, in un ambiente anaerobico, stagionano da un minimo di sei mesi ad un massimo di due anni. È capitato che alcune persone si sono portate a casa l’orcetto con il formaggio e lo hanno lasciato stagionare ancora un altro anno; in queste condizioni il formaggio cambia moltissimo: fermenta di più e pur conservandosi (alcune volte) compatto all’esterno diventa morbidissimo all’interno.

Per la ricetta ho di nuovo attinto a quella meraviglia di Saison.ch, apportando le consuete sostituzioni pastonudiste. Ho preparato queste frittelle che mi avevano molto incuriosita per via dei fiocchi d’avena all’interno, e anche perché sono sempre alla ricerca di modi appetitosi di cucinare le carote, visto che non le amo molto da crude e le odio bollite e condite all’insalata.

frittelle di carote con cuore di formaggio

Come al solito il formaggio brado rende giustizia anche ai sapori più piatti; nonostante la sua forte presenza scenica però le carote non scompaiono, anzi ne risultano impreziosite.

Ingredienti:
250 grammi tra carote e rape mondate
2 spicchi d’aglio
100 grammi di fiocchi d’avena
3 uova
70 grammi di latte (anche meno)
50 grammi di farina di riso
sale marino integrale
pepe in grani
olio extravergine d’oliva
100 grammi di Conciato romano
un limone

Per prima cosa grattugiate le carote e le rape; usate i buchi più piccoli della grattugia, non quelli grossi e soprattutto non quelli per il parmigiano!. Salate leggermente, mettete tutto in uno scolapasta e lasciate scolare una decina di minuti. Passate poi il tutto in una ciotola di vetro, aggiungete l’aglio grattugiato (io ho usato la microplane), i fiocchi d’avena, poi le uova, la farina di riso e il latte; l’impasto dev’essere morbido ma non liquido.

Mescolate bene e lasciate riposare il tutto per un’oretta; intanto tagliate a fettine di due o tre millimetri di spessore il Conciato romano.

Trascorso il tempo di riposo fate scaldare molto bene una padella antiaderente (senza teflon) a fuoco medio. Assaggiate l’impasto per controllare se è abbastanza salato, tenendo conto che il formaggio lo insaporirà molto; se avete problemi ad assaggiare le uova crude provate a friggere un cucchiaino di impasto e assaggiatelo, aggiustando la quantità di sale come più vi piace.

Se volete saltare questo passaggio potete salare le frittelle alla fine, ma in quel caso usate se possibile sale in fiocchi, tipo il meraviglioso (e costoso!) sale di Maldon. Quando la padella sarà molto calda, versateci un cucchiaio d’olio (uno per ogni frittella) e immediatamente, in modo che l’olio non fumi, adagiateci sopra una cucchiaiata di impasto, lasciate cuocere pochi secondi, poi metteteci sopra una fettina di conciato e ricoprite con un’altra cucchiaiata di impasto.

Lasciate friggere un po’ fino a quando la frittella non sarà leggermente dorata sotto, poi giratela e lasciatela cuocere ancora un paio di minuti o comunque fino a quando non avrà un aspetto (e un profumo) delizioso.

Servite immediatamente, con qualche foglia di insalata fresca e una spruzzata di succo di limone sulla frittella (senza non è la stessa cosa!).