La mia evoluzione personale (come la mia curva di apprendimento) è sempre stata apparentemente leeeenta, molto simile a un’interminabile stasi mortale; poi quando meno me lo aspetto, trac!!! la svolta decisiva. All’improvviso un numero imprecisato di cose e avvenimenti si combinano insieme a formare un quadro precisissimo, e scatta il cambio di pelle, immancabilmente preceduto da sogni ancora più strani dei sogni strani che faccio di solito.

Premetto che se siete riduzionisti, illuministi o insomma disposti a credere solo a ció che è tangibile e provato, vi conviene smettere immediatamente di leggere, a meno che non vogliate farvi quattro risate scomposte davanti al monitor.

E insomma sempre più spesso ultimamente testa e stomaco mi sorvolavano concetti come memoria dell’acqua, animali felici, piante rigogliose che ascoltano musica classica alla luce del giorno e ortaggi tristi e senza sapore cresciuti asetticamente senza il calore del sole e senza terra (o dentro una terra poco accogliente); persone piene di energia, forti e sane, e persone scariche, stanche e malate; e poi un sacco di altre cose che apparentemente non c’entrano ma che sono collegate tra loro sotterraneamente come tutto è collegato, come noi stessi – grazie al cielo – lo siamo.

Energia. Qualcosa che si trova nell’acqua, negli animali, nelle piante, nell’aria. E ovviamente nel cibo che mangiamo. Quando è vivo, quando non è stremato, mummificato, triste, distrutto, sconvolto, stanco morto.

Qualcosa che oltretutto pare possa essere, almeno in parte, ricaricata (e il tassello preghiera prima dei pasti acquisisce improvvisamente un significato che non avevo mai trovato), e che quindi pone la parte animistica del cibo sullo stesso piano di quella fisica, e anzi ai miei occhi interseca i due piani tra di loro in un’illustrazione colorata e complessa (gli acidi ce li ho da sempre in dotazione naturale).

I vari pesticidi e concimi e ormoni e tutti gli espedienti per far crescere cose e animali più in fretta, più semplicemente (per noi), più gonfi, più tutto quello che fa comodo a noi, e però violentano la terra e i suoi abitanti quelli innocenti, tutte queste cose ci nuocciono a doppio binario: sul piano fisico, perché si concentrano nel nostro organismo che fa una fatica boia a buttarle fuori (quando ci riesce) o le accumula in attesa di smaltirle in tempi migliori (se mai ce ne saranno), e sul piano energetico, perché invece di assorbire il sole, la forza, i colori, la terra grassa e umida, il vento e il lavorio – a volte molesto, ma sempre sensato – degli insetti, assumiamo le luci al neon dei capannoni, il dolore degli animali trattati come oggetti, lo stress delle piante costrette ai lavori forzati.

Cosa possiamo assorbire da tutto questo? Rabbia, immagino. Fastidio, incredulità, sterilità, debolezza, malattia.

A prescindere dall’etica, come facciamo a sapere che mangiando la carne di un pollo che ha sofferto tutta la vita atrocemente non assorbiremo la sua sofferenza, che una piccola parte di lui non passerà a noi e non indebolirà la nostra energia, già provata da arrabbiature, delusioni, difficoltà contingenti nostre e di chi ci sta accanto?

Nutrirmi con alimenti coltivati senza pesticidi (e quindi circondati da insetti e da tutti gli altri amici loro), senza ormoni (e quindi lasciati crescere al loro ritmo normale), senza concimi (e quindi cresciuti in una terra fertile, morbida e piena di humus) non serve soltanto a non assorbire noi stessi queste sostanze, ma soprattutto a nutrirmi di amore, tranquillità, rispetto, del normale e sereno fluire delle cose, e a diventare così io stessa un essere equilibrato e calmo.

E per forza la gente è arrabbiata, stanca, triste, e per forza spesso dalla gente traspare un’energia vitale flebile e incerta, quando mangia cibo non vitale, cibo senza vita. Abbiamo un bisogno immediato – e ormai improrogabile – di piante colte da poco, pochissimo, magari appena colte, e di animali felici, rispettati, vitali. Ooooohhh. L’ho detto. E adesso lapidatemi.

A (casuale) corollario di tutto ciò vi trascrivo una ricetta che mi ha insegnato la mia amichetta del cuore, che ogni tanto passa come per caso da lui, e ogni volta esce con un cartoccio *molto* interessante, e molto più economico di quanto possiate immaginare.

La milza può far storcere il naso, se non la si conosce. Fortunatamente invece anche i grandi chef la stanno riscoprendo: l’ho vista su Luciano Pignataro in un gelato salato (!) e in versione imbottita, e non dimentichiamo che in Sicilia si usa da sempre nel pani ca’ meusa (che non ho mai assaggiato purtroppo) e che i Toscani, che in quanto a cibo hanno molto da insegnare, la spalmano anche loro sul pane da secoli (guardate da Giulia, no?).

Insomma, vale veramente la pena di provarla. Comincerete guardandola con sufficienza e finirete tirando su dal piattino le ultime briciole con il dito. E pensare che la milza di solito finisce nella spazzatura. Chi è che aveva detto che al mondo non c’è abbastanza cibo per tutti?

Ingredienti:
una milza di vitellone felice
uno spicchio d’aglio
olio extravergine d’oliva
due filetti di acciuga
due foglie fresche di alloro
sale marino integrale
pepe in grani (facoltativo)
peperoncino piccante (facoltativo)
pane fatto in casa come se piovesse

Per prima cosa stendete davanti a voi la milza, ben appoggiata al tagliere, non come nella foto qui sopra dove l’ho messa “in posa” (munitevi di grembiule perché è facile sporcarsi); prendete un coltello ben affilato e tagliatela a metà in senso orizzontale, in modo da aprirla a libro.

Prendete un cucchiaio, o una lama piatta poco affilata (o il retro di un coltello), e grattate via la polpa dalla pelle; mettetela da parte in un piatto.

Fate dorare leggermente lo spicchio d’aglio schiacciato in una padella con il fondo coperto d’olio (abbondate, ce ne vuole un po’). Sciogliete i filetti di acciuga nell’olio caldo fino a quando non saranno completamente disfatti; a questo punto aggiungete la milza e l’alloro, e mescolate continuamente fino a quando non si formeranno dei grumetti.

Ci vorranno pochi minuti. Appena la milza avrà un sapore e un profumo strepitosi salate, pepate e aggiungete se vi va un po’ di peperoncino.

Spalmate abbondantemente sul pane tostato. È molto (molto) buona anche tiepida.