Ieri mattina abbiamo dovuto fare un salto dall’altra parte di Roma rispetto a dove siamo noi (che equivale a tipo un’oretta di macchina tra raccordo, traffico sulla Tuscolana e tutto il contorno di casini cittadini ai quali con mia grande gioia non sono più abituata) per discutere con un mio carissimo amico di un suo nuovo progetto.

Trattasi di grafica, quindi di Interzona, che molto carinamente ho abbandonato completamente sulle spalle dello zac da svariato tempo, per occuparmi del pasto nudo e perché, come dico spesso, “sono un grafico, ma sto cercando di smettere”. I motivi sono quelli che qualsiasi grafico dislocato sulla nostra ridente penisola potrebbe dirvi.

Ad esempio che qui da noi quando dici che sei un grafico manco sanno di che stai parlando (si spazia da: “ah! quindi disegni!” a “ah! E cosa stampi?”), o che da noi la progettazione grafica in genere viene regalata dai tipografi in bundle con la stampa (ovviamente potete immaginarne il livello), oppure, se si tratta di progettazione grafica per il web, viene regalata dai provider in bundle con l’hosting e i vari servizi che vi si accodano (e ri-potete immaginare il livello, o meglio fatevi un giro sui siti italiani e poi tornate a raccontarmi).

Oltretutto la prima cosa che da noi i clienti ti raccomandano è rimanere sotto tono, e, ehm, questa decisamente *non é* la mia specialità.
In questo caso però la cosa è diversa, perché si tratta di un uomo mooooolto particolare (pure troppo, eh), del quale non faccio il nome, e nemmeno il cognome (Gabriele, Dell’Otto) che disegna da dio (giudicate voi: andate su Google, digitate “Dell’Otto” e poi navigate per immagini – io ve ne linko una, ma ce ne sono un miliardo, è stakanovista il ragazzo) e che conosco da mille mila anni, e per il quale ho progettato già il suo logo (e svariati altri), il suo sito (adesso è un po’ anacronistica come progettazione, ma, ehi, è un sito che avrà tipo dieci anni, adesso – skippate tranquillamente il messaggio di allarme malware, è falso), un libro (qui trovate un pdf con alcune pagine) e un calendario argomento fiabe(!) :-)
Quindi ci siamo allungati fino al suo studio per chiacchierare del nuovo libro in progetto (posso condividere l’elettrizzazione?? Si tratta di un libro sulla fiaba del mago di oz, curato da una piccola casa editrice molto carina, Spazio Corto Maltese, e che sarà presentato a novembre a Lucca Comics and games).

Dopo ovviamente siamo passati da Roberto Liberati (voglio dire, non posso mica andare a Roma sud e non passare a dargli un abbraccio, no? Ma vi racconterò mooolto meglio questa visita, abbiate solo un po’ di pazienza) e solo stamattina sono riuscita a rimettermi al mac, decisissima a lasciarvi una ricettina dolce per questo week end.
Queste delizie (son state apprezzate molto anche all’asilo della pulcina, e non sto parlando dei bambini!) le ho trovate qualche tempo fa sullo stupendo blog di Alessandro Guerani (lo conoscete, vero? veroooo?) e ovviamente mi hanno colpita immediatamente per la storia (provengono dall’esperienza di Artusi, mica uno qualunque), per la semplicità di esecuzione (niente lievito, pochissimo burro e semolino al posto della farina). Quando le ho preparate, senza cambiare una virgola rispetto alla ricetta di Alessandro, me ne sono innamorata immediatamente. Se volete sapere qual è il sapore della semplicità, fatele subito.
Sono ustionanti calde, consolanti tiepide, sfamanti fredde, personalizzabili quanto volete, e non so perché, ma finiscono in trenta secondi, nonostante la semplicità e l’umiltà dell’impasto. Unica regola, lo sapete, sempre valida per i piatti semplici: i pochi ingredienti dai quali sono composti devono essere ottimi. Latte e uova in primis, mi raccomando, niente robe scremate e uova tristi :-/

Ingredienti:
180 grammi di semolino (più quello per “insemolinare” gli stampini)
100 grammi di zucchero grezzo chiaro
50 grammi di pinoli
20 grammi di burro
800 grammi di latte intero fresco
2 uova felici
sale marino integrale
un limone non trattato (non trattato male, intendo :-))
un po’ di zucchero a velo

Esecuzione superfacile: preriscaldate il forno a 180°C, e imburrate e cospargete con un po’ di semolino gli stampini (a me ne vengono otto, ma dipende dalla grandezza dei vostri).
Versate il latte in una pentola non troppo piccola, scaldate a fuoco basso fino a quando non arriva quasi a bollire, poi cominciate a versare il semolino a pioggia mescolando continuamente con un cucchiaio di legno o con una frusta, in modo da non far formare grumi.
Appena il semolino comincia ad addensarsi unite il burro, lo zucchero, i pinoli e la buccia grattugiata del limone (o, come fa Alessandro, potete mettere la buccia senza la parte bianca e toglierla a fine cottura).
Quando l’impasto raggiunge la densità di una polenta morbida levatelo dal fuoco, lasciatelo raffreddare e poi aggiungete i due tuorli delle uova, mescolando bene. A parte montate a neve le chiare e aggiungetele al composto mescolando delicatamente con un cucchiaio di legno dal basso verso l’alto per non farle smontare.
Infornate per una mezz’oretta, o fino a quando non sentirete un profumino delizioso di dolcetti antichi e li vedrete leggermente dorati sulla superficie. A cottura ultimata lasciateli una decina di minuti in forno per non farli scendere troppo (scenderanno comunque un pochino, questi pasticcini rimangono umidi dentro).
Tirateli poi fuori dal forno, lasciateli raffreddare bene (sono molto meglio a temperatura ambiente che caldi), sformateli, spolverizzateli con un po’ di zucchero a velo e… buon fine settimana :-)