Se seguite abitualmente il pasto nudo avrete notato che è tanto, ma tanto tanto, che non posto ricette di lieviti, fatta eccezione di un po’ di modi per riciclare gli scarti della pasta madre. Il motivo è che quando sono andata a studiarmi grani e farine ho scoperchiato il vaso di Pandora e ho scoperto talmente tante cose che non andavano che ho dovuto rivedere completamente i miei comportamenti alimentari (e culinari) in merito.
Ho iniziato eliminando le farine troppo raffinate, come la 00 e la 0, primo perché prive di nutrienti (vengono scartati attraverso la setacciatura, e rimangono solo amidi e zuccheri), e secondo perché possono venire fuori solo dai molini a cilindri, che “cuociono” la farina e la rendono un cibo “morto”, un non cibo, diciamo.
Quindi ormai il minimo da cui parto sono le macinazioni 1 e 2, cioè semintegrali, o quella integrale (o “integra” come dice Filippo Drago :-)).
Poi ho scoperto che esistono grani “moderni”, che cioè discendono da grani modificati geneticamente a forza di bombardamenti radioattivi (non ogm; ricordate? Ne abbiamo parlato recentemente anche qui), e che nella distribuzione tradizionale si trovavano solo quelli, quindi adesso uso solo grani antichi, non modificati e più simili possibile a come la mamma li ha fatti.
Ultimamente ho capito che i molini a pietra non sono tutti uguali, e che la farina molìta con la pietra “moderna” è quasi (a quanto dice sempre il Filippo di cui sopra) equivalente a quella macinata a cilindri metallici, e quindi mi sono orientata verso la macinatura a pietra antica.
E poi ci sono mille altre variabili da considerare: se il grano è cresciuto in pieno sole e quindi non ha sviluppato micotossine (che sono molto perciolose), se è stato pulito bene e selezionato nel modo giusto, se è stato conservato bene, se il fantomatico molino a pietra *antica* è stato usato bene, e la pietra rabbigliata nel modo giusto… e subodoro che ci siano ancora svariate altre cose che mi sfuggono.
Ecco. il fatto è che quelli che adesso sono considerati i lievitati “tradizionali” (che tradizionali sono fino ad un certo punto, perché appartengono comunque agli ultimi cinquant’anni della nostra storia), con le farine di grani antichi sono *impossibili* da realizzare, perché si ha a disposizione poco glutine, e quel poco che c’è è fragile e non facile da gestire.
Cosa ottima per la salute, ma che rende complicato fare alcune cose e impensabile farne altre, se non si vogliono ottenere delle pallide e deludenti imitazioni, un po’ gnucche e pure tristi. Almeno per me! Se per caso tra voi c’è chi realizza questo tipo di lievitati con farine antiche e integrali parli ora o taccia per sempre!! :-)
Insomma, dimenticate dolci molto lievitati come babà (ricordate la mia dèbâcle di qualche tempo fa?), panettoni, pandori, colombe, brioche di quelle aeree, cornetti sfogliati e un sacco di altre cose buone. E le ciabatte con le cavità giganti, e le rosette soffiate, e in generale tutto ciò che abbisogna di incorporare tanta aria e trattenerla dentro, gonfiandosi come un palloncino.
Questi impasti hanno bisogno di un glutine molto estensibile ed elastico, quello, per intenderci, che forma la famosa pellicola trasparente quando incorda elasticamente attorno al gancio, staccandosi dalle pareti dell’impastatrice e pulendo perfettamente la ciotola (chi si diletta a panificare sa bene di cosa sto parlando). Le farine che frequentano questa casa se vedono un gancio scappano dall’altra parte poverine, o le impasti con la foglia o, molto meglio, a mano, facendo anche molta attenzione a non stressarle. Ti pareva che nella mia vita non dovevo avere a che fare con la sensibilità pure nelle farine.
Posso dirvi addirittura che i consigli per fare un pane perfetto (con le farine raffinate e convenzionali), che potete leggere in giro sul web, sono *esattamente il contrario* di quello che dovete fare con questo tipo di farine. È straimportante adeguare la lavorazione alla materia con la quale si ha a che fare, non finirò mai di ripeterlo! :-P
Metteteci poi che negli ultimi tempi ho ridotto decisamente la quantità di grano e frumento nella nostra alimentazione (e piano piano lo farò ulteriormente), cercando per quanto possibile di variare i cereali quanto più possibile e di alternarli con tutto il resto del cibo a disposizione, ed ecco che i post sul lievito naturale si riducono al lumicino, come avete potuto vedere. Non che abbia dismesso la mia bianca (=pasta madre liquida), per carità, ho continuato a panificare più o meno una volta a settimana, ma uso sempre la ricetta che che conoscete (pubblicata a maggio del 2011 o.O!!!) del pane con le farine antiche (che è già un piccolo miracolo per quel che mi riguarda), con qualche piccola variazione, tipo il salto di uno dei passaggi e la variazione randomica di alcuni tempi tra un passaggio e l’altro, insomma niente di particolarmente interessante da raccontare.
Beh, questo post segna un passo ulteriore verso la… santità! No scherzo, volevo dire verso la salute e la consapevolezza, direi. Galeotto è stato uno dei miei incontri con Filippo Drago, in una cucina di cui vi parlerò, nella quale ho potuto osservarlo mentre faceva il pane con le sue ottime farine, rigorosamente a mano e idratandolo all’80% (avete capito bene, 800 grammi d’acqua per 1 chilo di farina)!. Ovviamente appena tornata a casa ho voluto provare anch’io, e dopo due o tre tentativi per aggiustare il tiro sono riuscita a produrre la bellezza che vedete nelle foto (pusillanimamente la prima volta ho idratato meno, circa al 70%, e ho ottenuto un pane “chiuso”, come nella foto che vedete più sopra).
Grandi cambiamenti insomma, e una lavorazione particolare che on avevo mai provato, perché si lascia riposare il primo impasto in una sorta di autolisi, e solo dopo si aggiunge il lievito, insieme ad altra acqua.
Provo a spiegarvi meglio che posso il procedimento, che alla fine è molto semplice, c’è bisogno solo di un po’ di manualità, e spero di essere sommersa da commenti di pastonudisti felici con una fetta di pane integrale in mano e un sacco di farina sulla maglietta (ehm.. sul grembiule, se non siete come me). Da adesso in poi per qualsiasi ricetta nella quale userò farina indicherò esattamente che tipo di grano avrò usato (compreso il nome proprio del grano) e il grado di macinazione. Mi sembra giusto e sano, dopo tutte le chiacchiere che vi faccio sui grani. Il grano non è tutto uguale, come il latte non è tutto uguale, cominciamo a pensare a grani e latti, al plurale, anche e soprattutto questa è consapevolezza. Adesso bando alle chiacchiere, e via con la ricetta :-)
Ingredienti:
1 chilo di farina “integra” di grano duro, nel mio caso Russello
200 grammi di poolish di pasta madre liquida*
800 grammi di acqua pura (la mia filtrata con l’osmosi inversa)
4 cucchiaini di sale marino integrale
*trovate il procedimento per fare il poolish nella pagina della pasta madre liquida, qui!
Mettete tutta la farina su un piano di legno, formando una montagnella e praticate un buco con le dita sulla punta della montagnella largo cinque o sei centimetri, e che arrivi fino in fondo.
Togliete 100 grammi all’acqua, e cominciatene a versare un pochino (dai 700 grammi che rimangono) nel buco, diciamo un bicchiere scarso. Facendo attenzione a non farla uscire dai lati, amalgamate la farina con l’acqua con la punta delle dita fino a quando la farina la assorbe tutta, poi rifate il buco e ricominciate fino a quando non avrete incorporato tutti i 700 grammi.
Fate una bella palla con l’impasto e copritelo a campana, cioè posizionateci sopra una ciotola bella alta, rovesciata, coprite ulteriormente con uno strofinaccio per fare il buio, e lasciate riposare il tutto per un’oretta (va bene anche mezz’ora), facendo attenzione che non ci siano correnti di aria fredda; cercate sempre di fare in modo che gli impasti abbiano attorno a loro un ambiente tiepido.
Trascorso questo tempo, riprendete l’impasto, allargatelo un po’ e aggiungete il vostro lievito. Potete usare il solito poolish liquido (come nella foto di sopra, che si riferisce a uno dei miei tentativi precedenti); io l’ultima volta ho provato a fare l’ultimo impasto del poolish, quello della sera, usando 50 grammi d’acqua invece di 100, e ho ottenuto un poolish solido, che ho strappato a pezzettini e amalgamato all’impasto (come nella foto sotto).
A questo punto dovete amalgamare all’impasto altri 100 grammi di acqua (se usate il poolish liquido vanno bene anche 50/70 grammi). Fate un buco nell’impasto e versatene un po’ dentro; all’inizio l’impasto sembrerà ingestibile, ma dopo due minuti assorbirà benissimo l’acqua. Quando lo avrà fatto smettete subito di impastare, formate la palla e mettetela a lievitare in una ciotola grande di vetro (se la temperatura è fredda mettete prima la ciotola su un termosifone per qualche minuto, è meglio che l’impasto senta un leggero tepore), che avrete spolverato con un po’ di farina.
Coprite con uno strofinaccio umido o con la pellicola (avete provato con la cuffia da doccia per evitare di gettare ogni volta la pellicola?), mettete nel forno spento e lasciate riposare l’impasto per qualche ora. Se volete potete fare un paio di pieghe dopo un paio d’ore o comunque quando vedete che l’impasto è un po’ cresciuto.
Quando vedete che l’impasto è raddoppiato (ci vorranno cinque o sei ore, o anche di più, a seconda di temperatura, umidità e via dicendo), toglietelo dal forno, mettetelo in un luogo riparato e tiepido e preriscaldatelo a 250°C (il forno, non l’impasto), con la pietra refrattaria poggiata sulla griglia, posizionata sul secondo ripiano dal basso), e con la leccarda sul fondo.
Quando il forno ha raggiunto la temperatura, formate il pane come al solito arrotolandolo su se stesso (guardate la ricetta del pane con le farine antiche) o come preferite, mettetelo sulla pala ben infarinata, praticate i tagli e versate un bicchiere colmo di acqua fredda sulla leccarda rovente, in modo da creare il vapore.
Infornate immediatamente, abbassate la temperatura a 220 gradi e lasciate cuocere il pane per 35/40 minuti. Trascorso questo tempo, aprite velocemente il forno e girate il pane sottosopra (il mio cuoce meglio in questo modo). Lasciate cuocere ancora un quarto d’ora o venti minuti, poi fate la prova di cottura bussando sul fondo del pane. Se suona vuoto spegnete il forno, verticalizzate il pane (come dice zac), cioè appoggiatelo in verticale o sul fianco a una delle pareti del forno e lasciatelo raffreddare dentro il forno con la porta socchiusa, infilandoci dentro un cucchiaio di legno.
Aspettate che sia completamente freddo prima di tirarlo fuori e tagliarlo (ripassate il post del prof!) :-)
Leggo spesso il pasto nudo, trovo il blog ben curato e ricco di spunti…
Questa volta voglio offrirvi io uno spunto per una riflessione (spero del tutto costruttiva) a proposito di “grani antichi” e delle bugie che si celano dietro.
Vi invito a leggere questi post di Bressanini, qui, qui, qui e qui.
@Tommaso: grazie Tommaso, conosco bene il blog di Dario, e spesso ci scambiamo opinioni (quasi sempre discordanti) qui sul blog. Se per te va bene fammi qualche domanda precisa, e ti risponderò più precisamente possibile… rispondere a tutti i post che hai segnalato è un’impresa impossibile! :-D
Ma prego!! Il mio è solamente uno spunto… neanche io condivido a pieno tutte le idee di Bressanini, ad esempio trovo la sua posizione sulle uova molto discordante (preferisco uova bio), non solo perché (si spera) più controllate, ma anche per le migliori condizioni di vita delle galline. Comunque, in sintesi, secondo quanto riportato dalle sue ricerche, i grani antichi non esistono, sono tutti frutto di manipolazioni (ibridazione, irradiazione etc.).
Vedi l’esempio della farina di Kamut, una pura trovata commerciale (come è pensabile che dei semi trovati in una tomba di un faraone siano germinati?!?!?!).
Detto questo, ho appena comprato 10 kg di farina bio macinata a pietra (vecchia pietra, così garantiscono)… un caro saluto!
@Tommaso: per “grani antichi” si intendono i grani che non discendono da quelli che sono stati sottoposti a nanizzazione tramite radiazioni. Esistono e sono vivi e vegeti. Non so cosa abbia scritto esattamente, ma l’affermazione che mi riporti mi sembra un gioco dialettico e basta, oltre a un “facimm ammuina” nel quale rientra tutto. Ho parlato di questa “tecnica della confusione” varie volte qui sul blog, ad esempio qui, qui e qui.
Ad esempio, è vero che il “Kamut” è un grano registrato, ma dello stesso genere (Turgidum) esistono molte varietà in Italia, come il Saragolla, il Perciasacchi e vari altri, che sono assolutamente “grani antichi”, alti a volte anche due metri, e che hanno un glutine molto diverso, oltre a un sacco di altre caratteristiche interessanti e tutte da (ri)scoprire.
Io ho una sola domanda: i grandi lievitati, tipo panettone o brioche, sono ricette del ‘700,quando le farine sicuramente erano antiche, non irradiate nè tantomeno modificate… Come facevano?
@Simo: Simo, credo che fossero molto diversi da come li conosciamo noi. Ad esempio ho sentito parlare di un panettone basso, ma non ho mai trovato nessuna ricetta a cui riferirmi. Vorrei tanto averli assaggiati per sapere di cosa si trattasse.
Quando ho provato a panificare con le farine di grani antichi, il pane mi è sempre passato di lievitazione… ma siccome ne ho ancora diversi kili (di Pereto) di scorta… voglio proprio sperimentare le tue indicazioni!
Speriamo sia la volta buona, anche perchè ultimamente faccio un po’ la furbetta e le mescolo con quelle 0, ma mi sembra di far loro un dispetto…
:-)
Ciao!
Guarda….ho letto con molto interesse il tuo post! Sono anni che faccio esperimenti in cucina…con la panificazione. E’ divertente perchè leggende le “varie fasi” a cui sei passata attraverso tu, rivedo la “mia storia”. Per esempio ora sono allo stadio -che forse tu hai già passato- di usare farina tumminia -comprata da Filippo tempo addietro- che mi macino a casa -con un mini mulino a pietra- a cui do una veloce setacciata -per levare la crusca più grossolana- e poi panificare -a mano!- Vari esperimenti si sono succeduti, con varie quantità di acqua, etc… A volte pubblico delle foto su fb…se vuoi te le spedisco anche. Magari ci possiamo scambiare qualche info. In ogni caso, per quanto riguarda il pane: conosci Davide Longoni? Penso sia pure un amico di Filippo. Per quanto riguarda i “vecchi dolci” o panettoni “bassi”. Beh, per esempio il pandolce genovese è appunto basso e “non lievitato”. E’ fatto con uvetta ed è buonissimo…. Se passi da Genova provalo :) Luca
Ciao a tutti. scusate se intervengo visto che pur leggiucchiando il blog di tanto in tanto non posso ritenermi un frequentatore abituale.
Sono l’autore dell’articolo di agrodolce.it segnalato come “esatto contrario” di ciò che è da fare.
Panificare con grani antichi è una cosa che qualche volta faccio anche io, seppur la maggior parte di ciò che produco è fatta con grani moderni, macinati a cilindri.
Vorrei solo segnalare che su 8 errori che riporto, 6 sono applicabili anche al campo “grani antichi”. In pratica tutti tranne la scelta della farina e l’impastamento insufficiente.
Sul modo di trattare i grani antichi, la tecnica qui suggerita mi pare quella corretta da seguire, sono solo un poco in dubbio per la totale assenza di seconda lievitazione dopo la formatura.
Un appretto, seppur necessariamente molto breve vista la bassa forza della farina impiegata, non sarebbe auspicabile? Che differenze avete notato tra farne uno breve e non farlo del tutto?
@Gaia: Gaia prova, questo procedimento è testato con le farine antiche integrali di Molini del Ponte però dovrebbe funzionare anche con un altra farina dello stesso tipo. Se non ti funziona così prova con un po’ meno acqua, perché io ho usato grano duro che ne prende un po’ di più :-P
@Luca: Non ho ancora provato con la Tumminia in purezza, perché Filippo mi ha consigliato di mischiarla con altre farine (hai sentito che profumo di cannella che ha però!!!?). Ma il mulino a pietra casalingo non ti scalda troppo la farina? A che temperatura esce? Sì sì mi interessano le foto, ma siamo già in contatto su fb? La ricetta del pandolce l’hai provata? Mi piacerebbe molto provarla!!
@Gabriele Baldi: Gabriele perdonami il tuo articolo è molto interessante, non volevo assolutamente sminuirlo, sono il solito panzer!! Sì, scelta della farina e impastamento sono fuori; per quanto riguarda l’acqua sono assolutamente d’accordo con te che è diventata una specie di gara a chi affoga di più il pane, però questo pane è idratato all’80%, e quando l’ho idratato al 70 si è chiuso come vedi nella foto (sarà il grano duro?).
Per la fermentazione insufficiente il discorso è molto complicato, perché se allunghi troppo i tempi l’impasto si strappa, e lo fa all’improvviso, come sai… e la cosa cambia tantissimo a seconda di temperatura, umidità etc. Bisogna conoscere benissimo ogni singola farina e non è facile perché poi per sperimentare le cambi spesso, e le stesse farine, anche dello stesso tipo, cambiano continuamente comportamento da un raccolto all’altro, da una macinazione all’altra etc :-P
Anche quello che scrivi riguardo la formatura non è applicabile a questi impasti perché non è possibile dare tensione, l’impasto si strappa subito. Bisogna fare una formatura velocissima, sigillare il bordo e chiuderlo subito, e pure lì non è facile perché essendo l’impasto molto molle bisogna lavorare su un letto di farina (poca) e quella come puoi immaginare entra nella chiusura con tutte le complicazioni del caso.
Per la scelta errata del momento di infornare, che possiamo fondere se sei d’accordo con la tua ultima domanda sull’appretto, è un altro casino: se io formo e lascio lì il pane si spiattella completamente e diventa una ciabatta. Ho provato con il cestino, ma si attacca al fondo e anche se riesci a non farlo attaccare quando lo giri sulla pietra il pane si spatascia. Ho provato a cuocerlo con il metodo senza impasto, ma si attacca al fondo della pentola di coccio e comunque non sviluppa una bella alveolatura (se vuoi vedere il risultato ti invio le foto). L’unica è scaldare il forno, formare il pane quando è già molto lievitato e infornare immediatamente prima dello spiattellamento.
Devo confessarti che se tu riesci a fare diversamente ti sarei molto grata di avere delle dritte, perché anch’io vorrei tanto riuscire a fare un po’ di appretto.
Per la cottura sono d’accordo con te su pietra e vapore, anche se non lo faccio con lo spruzzino ma verso l’acqua sulla leccarda rovente; purtroppo io sono costretta a girare il pane gli ultimi venti minuti perché con la pietra non cuoce bene sotto, o meglio cuoce troppo lentamente rispetto al sopra. Non so se tu hai esperienza diversa, io ho provato con due forni e tutti e due mi danno lo stesso problema.
Per la crosta molliccia e il raffreddamento, che raggrupperei in un unico punto, l’unico modo per mantenere una crosta croccante per me è lasciar raffreddare il pane nel forno spento aperto a fessura. Viene perfetto e con queste farine è un mezzo miracolo. Certo non ottengo la crosta del forno a legna, ma quella è un’utopia nei forni casalinghi :-)
Io come quantitá di acqua, etc… da un pó di tempo provo a seguire le proporzioni fornite da Davide Longoni In generale, data X – di solito una zazzina-quantitá di lievito madre metto 2X.5 di farina, e X.5 di acqua. L´impasto viene all´inizio un pó “liquido” e appiccicoso, ma con un pó di impasto prende consistenza. Quando non si attacca piú troppo alle mani, lo lascio riposare per 2 o 3 ore. Poi lo riprendo, gli do una reimpastata veloce -tanto da togliere l´aria dentro – e faccio le formine. Di solito, nel secondo impasto, l´impasto si attacca molto meno alle mani, ed é piú gommoso. Comunque, se serve, ho sperimentato che, con un cucchino di olio, l´impasto diventa molto piú ,maneggevole. Un problema che ho incontrato é che, dopo che ho fatto la formina, questa tende a “spiattellarsi”, ed allargarsi un pó troppo…. Credo perché l´impasto é troppo bagnato. Proveró a bagnare un pó meno l´impasto. Si é vero, ho notato anche io che la farina che esce dal mulino tende a scaldarsi velocemente, ma non ho la minima idea della temperatura con cui esce! Che termometro bisogna usare? Comunque si, sapevo che se la farina si riscalda, questo é un problema, infatti a breve vorrei orientarmi verso un mulino “manuale”, in modo da gestire io la velocitá di macinazione – Avete qualche consiglio su possibili mulini manuali di buona qualitá? – Infine, ho notato che, la farina che macino se poi la setaccio un minimo, diventa molto ma molto piú lavorabile. Di crusca, dalla prima setacciata, ne viene via parecchia, e la differenza quando impasti é veramente enorme. La farina setacciata tende ad “amalgamarsi” prima, e a divenzare elastica molto facilmente. In ogni caso, ho usato anche io la farina “Per il pane nero di Castelvetrano” di Filippo Drago – Tumminia e Russello – e come mi hanno detto loro direttamente, a quella farina viene data una prima setacciata subito dopo la molitura – che a naso, viene molto piú raffinata di quel che riesco a fare io con il mio mio setaccio manuale, che ha una maglia di circa 0.5,mm – A presto e comunque complimenti per il sito veramente!!! PS. Su facebook mi trovi sotto Luca Chiarabini.
Non h mai usato farine di grani antichi per panificare. Proverò a seguire le tue indicazioni. Ho, comunque, provato un pane di sola farina Verna ( con lievito madre) buonissimo fatto dal panificio Menchetti di Cesa. Ha un profumo ed un sapore staordinario. Ho provato ad usare la farina Verna per la pizza e, ti assicuro, che non è facile da lavorare, chissà il pane!!! Proverò . Nadia
Ciao Sonia, un po’ di tempo fa sul venerdi di repubblica lessi un articolo dedicato al bio, era scritto che le farine biologiche erano piu facilmente attaccabili dalle muffe, secondo te per l’esperienza e le conoscenze con i produttori ti risulta che sia cosi? Baci.
@Valentina: mia cara, non capisco per quale motivo una farina biologica dovrebbe essere attaccata dalla muffe più di una non biologica. Le micotossine purtroppo sono un grosso problema del grano in genere, perché si sviluppano molto facilmente in condizioni di umidità, soprattutto quando il grano cresce in posti non abbastanza caldi e soleggiati (ecco perché i grani siciliani di solito sono tra i migliori). Poi dipende anche da come sono conservati i chicchi una volta raccolti, e ci sono molti altri fattori da tener presente. Io credo che nel bio come dappertutto ci siano aziende serie e meno serie. Spesso ho riscontrato che le piccole aziende sono quelle più serie e coscienziose, ma non è detto sia sempre così.
Se mi linki l’articolo di cui mi parli me lo vado a leggere e ti saprò dire qualcosa di più preciso, intanto ti ringrazio di aver sollevato un argomento così importante :-)
Ciao Sonia,
Ieri ho utilizzato questo metodo con un mix di farina di segale, farina 0 (dalla granulometria molto grossa) di grani antichi e farina integra e integrale di grani antichi (le ultime 2 sono biologiche, a km zero e macinate a pietra, non so se antica o moderna, del Molino Pransani di Bivio Montegelli – Forlì-Cesena).
L’impasto a mano l’ho sempre fatto perché non ho planetarie et similia, ma con questo livello di idratazione tu usi la spatola (che fa capolino in qualche foto)? Se sì mi consolo, se no com’è possibile impastare? Questo metodo mi piace molto perché semplice e lineare. Speriamo bene… Ieri andavo di fretta e ho fatto lievitare poco con il risultato di un mattone con buchi enormi molto umido.
Bellissimo post, chiaro, interessante e originale!
@Federico P: Sì sì la uso la spatola!! E poi questa idratazione che ho descritto vale per i grani duri, se hai usato grano tenero meglio diminuire l’acqua di un 100 grammi! E poi seguire la lievitazione per bene, solo le prime volte, poi quando ci prendi la mano ti puoi tranquillamente rilassare :-)
Sonia carissima, oggi ho provato questa tua versione 2.0 ed è stato un successone! Unica variante: non uso la bianca (non ho ancora fatto il salto), ma ho rinfrescato la PM stamattina e fatto una pastellina che ho lasciato lievitare fino alle 17.00. Poi ho impastato e tutto è filato alla grande. Ho usato farina di grani duri di Floriddia, profumatissima! Mai avrei immaginato un risultato così con questo livello di idratazione! Grazie grazie e ancora grazie! Un abbraccio a te, a Zac e alla pulcina.
Ricollegandomi a quanto dice Claudia, con la PM solida come ci si può regolare? Basta metterla dentro in cubetti come fatto da te o bisogna fare una pastellina?
Acqua 900/1100 di farina sono idratazioni da funamboli. Ma… perché?
@Andrea: Andrea lo dico nell’articolo. Guarda la quinta foto, del pane idratato al 70%, spiego tutto nel paragrafo sotto.
Mi è sfuggito chiedo venia.
Ciao,
se al posto del poolish di pasta madre liquida* usassi la pasta madre solida rinfrescata, le dosi sarebbero identiche?
@Francesco: sì Francesco, o quasi… dovrai aggiungere più acqua, a seconda di quanta pasta madre solida utilizzerai! :-)
Pensavo di utilizzarne 200g. come da tua ricetta per 1 kg. di farina. Le proporzioni con l’acqua reggono? Ti ringrazio per i consigli
Salve a tutti,
mio malgrado sono arrivata troppo tardi a scoprire questo interessantissimo post, scoprendo di avere avuto un approccio totalmente sbagliato con la farina “integra”. In particolare parlo di una miscela con 70% di grano rosso siciliano e 30% di farina integrale di tumminia. Lavorando in planetaria l’impasto in maniera (ora so) troppo violenta, ho ottenuto una massa dal colore e dai profumi eccezionali ma, ahimè del tutto stracciata. L’ho lasciata comunque lievitare ma solo per constatare tristemente di avere un impasto che non so più come gestire, molto appiccicoso e che non regge neanche delle pieghe di base. Accettata la disfatta l’ho quindi “abbandonato”. La lievitazione è stata in tutto di quasi 24 ore e ora chiedo aiuto a voi. Piano B? Grazie a tutti.
@Valeria: Valeria ma quel pane “stracciato” l’hai già cotto? Il consiglio ti serve per il prossimo tentativo?
Grazie per la risposta velocissima! Non ho ancora cotto l’impasto, è sempre lì, coperto con pellicola, in attesa che io decida il suo destino. Il consiglio mi serve su un possibile uso di questa massa ormai stracciata. Non so, magari facendone delle focaccine cotte su una piastra o se usarlo in parte come massa di riporto per un altro pane, oppure provare a cuocerlo così com’è è vedere cosa succede. Insomma, secondo te cosa devo farne? Grazie mille!!
@Valeria: Uhm… visti i tempi di lievitazione e le temperature di questi giorni temo non si possa salvare :-( Prova ad assaggiarlo, dovrebbe essere molto acido a questo punto. Se per caso non lo fosse, prova a ungere bene una teglia piatta, di quelle da forno, tipo leccarda, versacela dentro, cospargila con sale grosso e un po’ d’olio, preriscalda il forno a 230 gradi e sbatticela dentro per una mezz’oretta (controlla la cottura dopo un po’).
Purtroppo la disfatta è stata totale, un impasto troppo acido, proprio per i tempi lunghi di abbandono e per la temperatura. Pazienza, un incidente di percorso dal quale imparerò tanto. Grazie per il pronto intervento e per i preziosi consigli! Alla prossima!
@Valeria: mannaggia mi dispiace ma lo sospettavo sigh :-( Ricordati di accorciare molto i tempi di lievitazione (anche della metà) adesso che le temperature sono così alte! In bocca al lupo per il prossimo tentativo :-P
Carissima, ho una farina tumminia del mulino drago, posso procedere con le indicazioni dii questo post?
Assolutamente sì! È proprio la farina adatta a questo tipo di pane! :-)
esperimento non riuscito