Se seguite abitualmente il pasto nudo avrete notato che è tanto, ma tanto tanto, che non posto ricette di lieviti, fatta eccezione di un po’ di modi per riciclare gli scarti della pasta madre. Il motivo è che quando sono andata a studiarmi grani e farine ho scoperchiato il vaso di Pandora e ho scoperto talmente tante cose che non andavano che ho dovuto rivedere completamente i miei comportamenti alimentari (e culinari) in merito.
pane di farine antiche
Ho iniziato eliminando le farine troppo raffinate, come la 00 e la 0, primo perché prive di nutrienti (vengono scartati attraverso la setacciatura, e rimangono solo amidi e zuccheri), e secondo perché possono venire fuori solo dai molini a cilindri, che “cuociono” la farina e la rendono un cibo “morto”, un non cibo, diciamo.
Quindi ormai il minimo da cui parto sono le macinazioni 1 e 2, cioè semintegrali, o quella integrale (o “integra” come dice Filippo Drago :-)).

Poi ho scoperto che esistono grani “moderni”, che cioè discendono da grani modificati geneticamente a forza di bombardamenti radioattivi (non ogm; ricordate? Ne abbiamo parlato recentemente anche qui), e che nella distribuzione tradizionale si trovavano solo quelli, quindi adesso uso solo grani antichi, non modificati e più simili possibile a come la mamma li ha fatti.

Ultimamente ho capito che i molini a pietra non sono tutti uguali, e che la farina molìta con la pietra “moderna” è quasi (a quanto dice sempre il Filippo di cui sopra) equivalente a quella macinata a cilindri metallici, e quindi mi sono orientata verso la macinatura a pietra antica.
pane con farine antiche
E poi ci sono mille altre variabili da considerare: se il grano è cresciuto in pieno sole e quindi non ha sviluppato micotossine (che sono molto perciolose), se è stato pulito bene e selezionato nel modo giusto, se è stato conservato bene, se il fantomatico molino a pietra *antica* è stato usato bene, e la pietra rabbigliata nel modo giusto… e subodoro che ci siano ancora svariate altre cose che mi sfuggono.
fetta pane grano duro
Ecco. il fatto è che quelli che adesso sono considerati i lievitati “tradizionali” (che tradizionali sono fino ad un certo punto, perché appartengono comunque agli ultimi cinquant’anni della nostra storia), con le farine di grani antichi sono *impossibili* da realizzare, perché si ha a disposizione poco glutine, e quel poco che c’è è fragile e non facile da gestire.
pane di Russello
Cosa ottima per la salute, ma che rende complicato fare alcune cose e impensabile farne altre, se non si vogliono ottenere delle pallide e deludenti imitazioni, un po’ gnucche e pure tristi. Almeno per me! Se per caso tra voi c’è chi realizza questo tipo di lievitati con farine antiche e integrali parli ora o taccia per sempre!! :-)
alveolatura insufficiente
Insomma, dimenticate dolci molto lievitati come babà (ricordate la mia dèbâcle di qualche tempo fa?), panettoni, pandori, colombe, brioche di quelle aeree, cornetti sfogliati e un sacco di altre cose buone. E le ciabatte con le cavità giganti, e le rosette soffiate, e in generale tutto ciò che abbisogna di incorporare tanta aria e trattenerla dentro, gonfiandosi come un palloncino.
pane fatto a mano
Questi impasti hanno bisogno di un glutine molto estensibile ed elastico, quello, per intenderci, che forma la famosa pellicola trasparente quando incorda elasticamente attorno al gancio, staccandosi dalle pareti dell’impastatrice e pulendo perfettamente la ciotola (chi si diletta a panificare sa bene di cosa sto parlando). Le farine che frequentano questa casa se vedono un gancio scappano dall’altra parte poverine, o le impasti con la foglia o, molto meglio, a mano, facendo anche molta attenzione a non stressarle. Ti pareva che nella mia vita non dovevo avere a che fare con la sensibilità pure nelle farine.
pane di grano duro siciliano
Posso dirvi addirittura che i consigli per fare un pane perfetto (con le farine raffinate e convenzionali), che potete leggere in giro sul web, sono *esattamente il contrario* di quello che dovete fare con questo tipo di farine. È straimportante adeguare la lavorazione alla materia con la quale si ha a che fare, non finirò mai di ripeterlo! :-P
pane con lievito naturale liquido
Metteteci poi che negli ultimi tempi ho ridotto decisamente la quantità di grano e frumento nella nostra alimentazione (e piano piano lo farò ulteriormente), cercando per quanto possibile di variare i cereali quanto più possibile e di alternarli con tutto il resto del cibo a disposizione, ed ecco che i post sul lievito naturale si riducono al lumicino, come avete potuto vedere. Non che abbia dismesso la mia bianca (=pasta madre liquida), per carità, ho continuato a panificare più o meno una volta a settimana, ma uso sempre la ricetta che che conoscete (pubblicata a maggio del 2011 o.O!!!) del pane con le farine antiche (che è già un piccolo miracolo per quel che mi riguarda), con qualche piccola variazione, tipo il salto di uno dei passaggi e la variazione randomica di alcuni tempi tra un passaggio e l’altro, insomma niente di particolarmente interessante da raccontare.
pasta madre solida di grano duro antico
Beh, questo post segna un passo ulteriore verso la… santità! No scherzo, volevo dire verso la salute e la consapevolezza, direi. Galeotto è stato uno dei miei incontri con Filippo Drago, in una cucina di cui vi parlerò, nella quale ho potuto osservarlo mentre faceva il pane con le sue ottime farine, rigorosamente a mano e idratandolo all’80% (avete capito bene, 800 grammi d’acqua per 1 chilo di farina)!. Ovviamente appena tornata a casa ho voluto provare anch’io, e dopo due o tre tentativi per aggiustare il tiro sono riuscita a produrre la bellezza che vedete nelle foto (pusillanimamente la prima volta ho idratato meno, circa al 70%, e ho ottenuto un pane “chiuso”, come nella foto che vedete più sopra).
pane lavorazione a mano
Grandi cambiamenti insomma, e una lavorazione particolare che on avevo mai provato, perché si lascia riposare il primo impasto in una sorta di autolisi, e solo dopo si aggiunge il lievito, insieme ad altra acqua.
Provo a spiegarvi meglio che posso il procedimento, che alla fine è molto semplice, c’è bisogno solo di un po’ di manualità, e spero di essere sommersa da commenti di pastonudisti felici con una fetta di pane integrale in mano e un sacco di farina sulla maglietta (ehm.. sul grembiule, se non siete come me). Da adesso in poi per qualsiasi ricetta nella quale userò farina indicherò esattamente che tipo di grano avrò usato (compreso il nome proprio del grano) e il grado di macinazione. Mi sembra giusto e sano, dopo tutte le chiacchiere che vi faccio sui grani. Il grano non è tutto uguale, come il latte non è tutto uguale, cominciamo a pensare a grani e latti, al plurale, anche e soprattutto questa è consapevolezza. Adesso bando alle chiacchiere, e via con la ricetta :-)

Ingredienti:
1 chilo di farina “integra” di grano duro, nel mio caso Russello
200 grammi di poolish di pasta madre liquida*
800 grammi di acqua pura (la mia filtrata con l’osmosi inversa)
4 cucchiaini di sale marino integrale

*trovate il procedimento per fare il poolish nella pagina della pasta madre liquida, qui!
Mettete tutta la farina su un piano di legno, formando una montagnella e praticate un buco con le dita sulla punta della montagnella largo cinque o sei centimetri, e che arrivi fino in fondo.
Togliete 100 grammi all’acqua, e cominciatene a versare un pochino (dai 700 grammi che rimangono) nel buco, diciamo un bicchiere scarso. Facendo attenzione a non farla uscire dai lati, amalgamate la farina con l’acqua con la punta delle dita fino a quando la farina la assorbe tutta, poi rifate il buco e ricominciate fino a quando non avrete incorporato tutti i 700 grammi.
Fate una bella palla con l’impasto e copritelo a campana, cioè posizionateci sopra una ciotola bella alta, rovesciata, coprite ulteriormente con uno strofinaccio per fare il buio, e lasciate riposare il tutto per un’oretta (va bene anche mezz’ora), facendo attenzione che non ci siano correnti di aria fredda; cercate sempre di fare in modo che gli impasti abbiano attorno a loro un ambiente tiepido.
Trascorso questo tempo, riprendete l’impasto, allargatelo un po’ e aggiungete il vostro lievito. Potete usare il solito poolish liquido (come nella foto di sopra, che si riferisce a uno dei miei tentativi precedenti); io l’ultima volta ho provato a fare l’ultimo impasto del poolish, quello della sera, usando 50 grammi d’acqua invece di 100, e ho ottenuto un poolish solido, che ho strappato a pezzettini e amalgamato all’impasto (come nella foto sotto).
A questo punto dovete amalgamare all’impasto altri 100 grammi di acqua (se usate il poolish liquido vanno bene anche 50/70 grammi). Fate un buco nell’impasto e versatene un po’ dentro; all’inizio l’impasto sembrerà ingestibile, ma dopo due minuti assorbirà benissimo l’acqua. Quando lo avrà fatto smettete subito di impastare, formate la palla e mettetela a lievitare in una ciotola grande di vetro (se la temperatura è fredda mettete prima la ciotola su un termosifone per qualche minuto, è meglio che l’impasto senta un leggero tepore), che avrete spolverato con un po’ di farina.
Coprite con uno strofinaccio umido o con la pellicola (avete provato con la cuffia da doccia per evitare di gettare ogni volta la pellicola?), mettete nel forno spento e lasciate riposare l’impasto per qualche ora. Se volete potete fare un paio di pieghe dopo un paio d’ore o comunque quando vedete che l’impasto è un po’ cresciuto.
Quando vedete che l’impasto è raddoppiato (ci vorranno cinque o sei ore, o anche di più, a seconda di temperatura, umidità e via dicendo), toglietelo dal forno, mettetelo in un luogo riparato e tiepido e preriscaldatelo a 250°C (il forno, non l’impasto), con la pietra refrattaria poggiata sulla griglia, posizionata sul secondo ripiano dal basso), e con la leccarda sul fondo.
Quando il forno ha raggiunto la temperatura, formate il pane come al solito arrotolandolo su se stesso (guardate la ricetta del pane con le farine antiche) o come preferite, mettetelo sulla pala ben infarinata, praticate i tagli e versate un bicchiere colmo di acqua fredda sulla leccarda rovente, in modo da creare il vapore.
Infornate immediatamente, abbassate la temperatura a 220 gradi e lasciate cuocere il pane per 35/40 minuti. Trascorso questo tempo, aprite velocemente il forno e girate il pane sottosopra (il mio cuoce meglio in questo modo). Lasciate cuocere ancora un quarto d’ora o venti minuti, poi fate la prova di cottura bussando sul fondo del pane. Se suona vuoto spegnete il forno, verticalizzate il pane (come dice zac), cioè appoggiatelo in verticale o sul fianco a una delle pareti del forno e lasciatelo raffreddare dentro il forno con la porta socchiusa, infilandoci dentro un cucchiaio di legno.
Aspettate che sia completamente freddo prima di tirarlo fuori e tagliarlo (ripassate il post del prof!) :-)