Che cosa non si fa per amore. E anche per non gettare via un cespo di verdura, per quanto mi disgusti. E anche perché il fatto di vedere una qualsiasi specie di cibo appassire lentamente e poi spegnersi nel frigo fa talmente male al mio animo randomicamente compassionevole che mi sento costretta a prelevarla, pulirla, e poi persino a cucinarla adeguatamente.
zuppa di bietola rossa
Essì, sto parlando della bietola (bleeeeeeahhhhh), che poverina non ha alcuna colpa se non quella di essere piena zeppa di ossalati, e quindi estremamente inadatta ai miei reni che non sanno averci a che fare. Mi sono sempre spiegata così il motivo per cui questa verdura, così bella poi esteticamente, mi nausea, anche solo per l’odore.

La bietola è la verdura che ha più acido ossalico in assoluto; quest’ultimo ha la caratteristica di ostacolare l’assimilazione del calcio da parte della mucosa intestinale, cosa che rende la bietola controindicata per chi soffre di calcoli renali di ossalato di calcio, di osteoporosi o ipocalcemia. Di contro, ha tantissima acqua di vegetazione, vitamine A e C, magnesio, calcio, iodio, ferro e zuccheri, ed è quindi diuretica e rinfrescante, antianemica, aumenta l’appetito e facilita la digestione, è molto adatta per i giovani in crescita.

A zac invece piace molto, e così quando ho visto questa ricetta sull’incomparabile 101 cookbooks, ho pensato che lei avrebbe saputo far uscire qualcosa di buono anche da quelle fogliacce, e che avrei fatto felice un uomo molto amato. E, signori miei, è venuta fuori una zuppa che aveva veramente un suo perché; ne ho addirittura mangiati un paio di cucchiai anch’io, e se non avessi saputo gli effetti nefasti che mi fa avrei continuato volentieri. Sarà stato l’accoppiamento con lo zenzero, saranno state le patate, boh.
Ho fatto un bel po’ di cambiamenti, e nonostante questo la ricetta ha retto splendidamente; a parte il fatto di omettere gli spinaci e il brodo vegetale e dimezzare le dosi, ho usato una varietà di bietola che avevo trovato nel cassettone di Arvalia, con le foglie di un colore verde molto scuro e i gambi di un bellissimo rosa acceso, quasi viola. Se ho ben capito dovrebbe essere una mutazione della barbabietola da zucchero.
Tutta la minestra ha assunto un’atmosfera profondo rosso, e fotografata sa un po’ di minestra dell’orrore, visto che tra l’altro la nikon i rossi li spara, però vabbeh, se vi piace la bieta provatela, ne vale veramente la pena.

Ingredienti:
1 cipolla gialla
1 patata media
1 porro medio
300 grammi di bieta
20 grammi di zenzero fresco
30 grammi di olio extravergine d’oliva
il succo di mezzo limone
sale integrale
pepe bianco in grani

Tritate la cipolla e mettetela insieme all’olio e a un pizzico di sale in una padella a fuoco molto basso mescolando ogni tanto, fino a quando non diventa molto morbida e dorata. Ci vorrà circa una mezz’oretta.
Nel frattempo pelate la patata e fatela a dadini non troppo piccoli, lavate bene il porro e affettatelo sottilmente, togliete la pellicina allo zenzero e riducetelo in pezzettini molto piccoli, mondate la bieta, strappando le foglione dai gambi, e tritatela molto grossolanamente.
Mettete tutto in una pentola grandina con mezzo litro d’acqua (possibilmente non quella clorata del rubinetto, che purtroppo cambia il sapore del cibo – lo dico con tristezza, perché sto cercando anch’io il modo per emanciparmi dalle bottiglie di acqua minerale), e portate ad ebollizione.
A questo punto abbassate la fiamma e cuocete per cinque, dieci, venti minuti o più, a seconda di quanto vi piace che la verdura sia cotta (non esagerate altrimenti vi ritrovate con un pappone – io l’ho cotta non più di dieci minuti).
Aggiungete il succo di limone, mescolate, versate nelle scodelle e servite bollente, con un cucchiaione della cipolla preparata in precedenza e una spolverata di pepe macinato al momento.
Heidi scrive anche che se preferite potete frullare la minestra all’ultimo momento con il minipimer; in questo caso naturalmente fatela cuocere un po’ di più, altrimenti rischiate che le fibre della verdura vi si arrotolino alle lame… ehm… (sguardo laterale) …sì, una volta mi è successo. E che ne sapevo io? Mica c’era scritto nelle istruzioni del minipimer, uffa.