Ieri mattina facevo un volo radente su facebook (dopo lo sguardo veloce ai quotidiani on line) e mi sono imbattuta in un articolo molto avvincente, linkato da Elizabeth Minchilli, una splendida donna che ho conosciuto qualche mese fa, titolare di un blog molto interessante, che dovreste proprio visitare se avete un momento.
Il post, datato 12 ottobre 2011, si trova su un interessantissimo blog del New York Times, Green, ed è titolato “Deep Thinking About the Future of Food”.
Invece di linkarvelo come al solito ho pensato di tradurvelo, in modo che anche chi non conosce l’inglese o non lo conosce abbastanza per aver voglia di concentrarsi a leggere in un’altra lingua, abbia la possibilità di usufruirne, perché vale veramente la pena di dargli uno sguardo. Sono tutte cose che in realtà sappiamo già, ma personalmente vedere che anche il resto del mondo se ne sta accorgendo e sta tentando di muoversi di conseguenza mi consola un pochino.
Cercate di non fare caso alla qualità della traduzione, sono solo una povera mamma-blogger indifesa; anzi, a proposito di traduzioni se qualcuno volesse immolarsi alla causa e tradurre in inglese il pasto nudo noi siamo qui eh. Voglio dire, non si sa mai magari c’è qualche madrelingua inglese autolesionista che circola tra queste pagine, può essere, no? :-)
Una profonda riflessione sul futuro del cibo
di Justin Gillis
Tentare di attingere al meglio del pensiero circa il futuro dell’agricoltura mondiale, come ho provato a fare nel mio lavoro di reporter, può essere un’esperienza frustrante. Molti gruppi e molte persone brillanti si accostano al problema, ma pochi lo fanno in modo olistico.
Gli ambientalisti sono preoccupati principalmente del danneggiamento ecologico provocato dall’agricoltura, e sono inclini a raccomandare soluzioni che gli agricoltori sostengono che metterebbero a soqquadro l’approvvigionamento alimentare. Gli agronomi tradizionali sono preoccupati principalmente per l’approvvigionamento – e a volte tendono a raccomandare soluzioni che potrebbero peggiorare i danni ambientali.
Una parte della gente è preoccupata principalmente per le iniquità del sistema alimentare mondiale: che un miliardo di persone nella fascia alta stiano uccidendo se stesse nutrendosi in modo eccessivo, mentre un altro miliardo di persone povere vivano alla disperata, circondate dalla malnutrizione.
Come possiamo risolvere tutt’e due le cose in una sola volta?
È un compito arduo, ma alcuni stanno iniziando a cercare di far sì che la politica agricola mondiale imbocchi uno sviluppo incoraggiante.
Ecco una nuova interessante puntata nella storia della Grande Soluzione. Si tratta di un’analisi di un gruppo internazionale di scienziati guidati da Jonathan A. Foley, direttore dell’Istituto per la protezione dell’ambiente presso l’Università del Minnesota.
Il loro trattato, Soluzioni per un pianeta coltivato, è stato pubblicato online e sarà prossimamente l’articolo di copertina del numero 20 di Ottobre della rivista Nature. Il Dr. Foley sta anche per pubblicare un pezzo nel numero di Novembre della rivista Scientific American, in edicola la prossima settimana, che riassume in linguaggio per profani l’analisi del team.
Il gruppo ha capìto, come altri prima di loro, che l’obiettivo di raddoppiare la produzione alimentare mondiale nei prossimi decenni potrebbe anche essere raggiunto, anche se con notevoli difficoltà.
La cosa interessante dell’analisi secondo me è che il problema non viene trattato considerando solo il sistema alimentare – vengono invece poste sullo stesso piano la questione ambientale, il problema dell’approvvigionamento e quello dell’equità, spiegando che in questo caso particolare tutte queste problematiche vanno affrontate contemporaneamente.
“Nutrire nove miliardi di persone in modo veramente sostenibile sarà una delle più grandi sfide che la nostra civiltà abbia mai fronteggiato” dice il Dr. Foley nell’articolo su Scientific American, riferendosi alla proiezione di quello che sarà la popolazione mondiale a metà del secolo. (Egli sottolinea alcuni dei collegamenti tra i problemi ambientali e l’agricoltura in questo discorso, e il suo gruppo ha creato un famoso clip animato, che dà la misura della grandezza del problema qui).
Molti elementi del nuovo articolo saranno familiari ai lettori che seguono già queste problematiche. Eppure è interessante vedere questi mattoni da costruzione di un sistema del cibo più intelligente spiegati in un solo documento, con le crude cifre scolpite.
Tanto per cominciare, il gruppo sostiene che è necessario interrompere immediatamente la conversione delle foreste e delle praterie ad uso agricolo; i danni ambientali che stiamo facendo abbattendo la foresta Amazzonica superano decisamente il piccolo aumento della produzione alimentare.
Inoltre, l’articolo sostiene che l’incremento della produzione alimentare deve provenire da terreni agricoli esistenti, intensificando la produzione nelle regioni del mondo dove i rendimenti sono bassi: L’india nord-orientale, l’Europa dell’est, parte del Sud America e gran parte dell’Africa, tanto per fare degli esempi.
Se il raccolto in queste regioni potesse essere portato entro il 75 per cento del loro potenziale attuale utilizzando metodi di coltivazione moderni, tra cui fertilizzanti e irrigazione, la disponibilità mondiale di prodotti alimentari potrebbe crescere del 28%, dice l’articolo. Se il raccolto fosse portato al 95 per cento del potenziale, vicino a quello ottenuto dai paesi ricchi, l’aumento dell’offerta raggiungerebbe un enorme 58 per cento.
Il documento non lo dice, ma ho il sospetto che un tale sviluppo sarebbe bastevole per invertire il rialzo dei prezzi alimentari degli ultimi anni.
Un’altra strategia importante di cui si parla nel documento è quella di migliorare l’efficienza dell’agricoltura nei posti dove il rendimento è già elevato. Se gli agricoltori africani necessitano di più fertilizzanti, quelli Statunitensi ne hanno bisogno di meno.
L’articolo sostiene essenzialmente che è possibile ottenere alti rendimenti con meno sostanze di sintesi e meno acqua, cosa che non solo ridurrebbe l’inquinamento, ma in alcuni casi anche i costi per gli agricoltori.
E, infine, nel documento si sostiene che una quantità maggiore del cibo che cresce sui campi deve finire nei piatti della gente. Questo significa ridurre gli sprechi alimentari, non solo il genere così comune delle cucine occidentali, ma anche la terribile perdita post-raccolto causata dalle condizioni di cattiva conservazione nei paesi poveri.
E questo significa una virata della nostra dieta da carne e latticini, che non è possibile produrre in modo sostenibile, verso le piante. L’articolo assume che una migrazione massiva verso il vegetarianesimo è improbabile, ma sostiene che anche semplici modifiche – come portare molte persone a passare dal meno sostenibile manzo al più sostenibile pollo, per esempio, farebbe la differenza.
Nel documento si evita volutamente di prendere posizione nelle guerre ideologiche che coinvolgono settore alimentare. Non viene adottato il ragionamento di sinistra che vedrebbe la produzione biologica come la risposta alle questioni alimentari del mondo, ma neanche la visione di destra, che affiderebbe al mercato la soluzione di tutti i problemi.
Si discute su come tirare dentro il sistema convenzionale le buone idee che provengono dai movimenti alimentari emergenti – ma solo se queste potrebbero essere utili a raggiungere contemporaneamente i tre obiettivi di incrementare la disponibilità alimentare, ridurre i danni ambientali e migliorare la sicurezza alimentare.
In quanto rapporto scientifico, e non documento politico, l’articolo di Foley non offre grandi novità propositive su *come* fare in modo che tutto questo accada. Molti commentatori che hanno studiato questi problemi sono arrivati alla conclusione che gli ostacoli non sono di tipo tecnico, ma constano nella mancanza della volontà politica di risolverli, che si traduce nella scarsità degli investimenti pubblici per quello che riguarda l’agricoltura.
Nel suo articolo su Scientific American, il Dr. Foley fa una proposta intrigante. Puntando il dito sul sistema di certificazione che ha incoraggiato la costruzione di edifici ecologici, chiede: “Perché non pensare a un nuovo sistema di certificazione per i generi alimentari prodotti in modo sostenibile?”
Invece di soddisfare unicamente una predilezione ideologica, vale a dire il modo nel quale attualmente il marchio del biologico si comporta al momento, la nuova certificazione potrebbe essere basata su un sistema che elargisca punti per tutto ciò che è di pubblica utilità e li sottragga per i danni ambientali.
Gli alimenti prodotti nel modo più sostenibile otterrebbero i punteggi più alti, oppure le lettere di grado più alto. Se i consumatori cominciassero a riconoscere questo sistema, questo tipo di certificazione potrebbe mettere le aziende e gli agricoltori sotto pressione e indurli a rivedere le loro scelte.
“Questa certificazione ci aiuterebbe ad andare oltre la classificazione attuale del cibo come “locale” e “biologico”, che non dice molto su cosa stiamo mangiando” scrive il Dr. Foley su Scientific American.
Posso solo immaginare le battaglie ideologiche che esploderano se questa idea dovesse essere presa sul serio. Eppure alcuni degli elementi necessari sono già al posto giusto, come i tentativi che si stanno facendo in Europa per misurare l’impronta ecologica dei vari alimenti.
Se gli scienziati che non hanno interessi da difendere potessero avere il controllo del sistema di certificazione, usandolo come veicolo per applicare severi criteri di rendimento ai sistemi agricoli mentre convertono la certificazione in un marchio mondiale, il mondo potrebbe avere un nuovo e potente strumento per migliorare l’approvvigionamento di cibo – e la salute del pianeta.
Ecco fatto. Voi che cosa ne pensate?
Vi dò qualche spunto, se non dovesse essere abbastanza quello che avete appena letto; diciamo un riassunto veloce e pastonudista (=pratico) del discorso :-)
Assunto: il cibo è poco per nutrire tutta la popolazione mondiale, e sarà sempre meno in proporzione man mano che si va avanti.
– Per risolvere la situazione alcune persone stanno considerando l’ipotesi di ragionare a livello globale invece che ognuno per il suo orticello (e su questo… insomma, di che stiamo parlando – ci volevano i trattati su Scientific American?);
– non si sa come fare in modo di produrre di più (fertilizzare di più i paesi poveri? Di meno quelli ricchi? incrementare la produzione di quelli pigri?); nondimeno ci si rende conto che l’approccio attuale non è sostenibile da nessun punto di vista (quando ho visto il video mi sono messa a piangere), però siccome non si vuol fare un discorso politico (eh?) non ci si schiera e si preferisce dire che hanno ragione tutti;
– bisogna mangiare mooolta meno carne e più prodotti della terra (ma daiii!!! sono basìta da questa rivelazione);
– si sta pensando ad una certificazione a punti invece di quella normale, che effettivamente fa acqua da tutte le parti (soprattutto negli Stati Uniti, ho letto).
A me sembra un discorso confuso. Voglio dire, sono molto felice che le alte sfere si stiano muovendo per risolvere il disastro nel quale siamo immersi fino al collo, ma ho la sensazione che stiano ancora brancolando nel buio. A parte l’intuizione che sopravvivere bisogna farlo tutti insieme, e che *tutti* dobbiamo mangiare molto meno, e sprecare ancora meno.
Ma si continua a pretendere di risolvere le cose dall’alto, piuttosto che responsabilizzare ed erudire la popolazione; vorrei veramente ma veramente che la gente agisse in modo sostenibile perché è giusto, e non perché vuole ottenere punti.
Voglio sapere cosa ne pensate voi. La mia visione è sicuramente parziale e ho bisogno di confrontarla con la vostra. La regola la sapete, è solo una: niente aggressività (no, neanche mascherata da sarcasmo), tutto il resto è benvenuto :-)
English version:
Brotherhood or Death
@izn: beh, ma con una presentazione così, come facevo a stare nelle retrovie?!? Eccomi qui, allora! Senza che il commento si trasformi in una sbrodolata, grazie mille per le parole che hai scritto… In realtà, la vera donna-coraggio sei tu!
Anzi, sono io che devo ringraziarti per questa esperienza, totalmente nuova e con un suo perché!
Ma torniamo al post.
Sinceramente, non mi sembra niente di nuovo sotto il sole.
Anzi, tenderebbe anche ad irritarmi l’articolo pechè la mentalità che mi sembra di cogliere è la solita, dettata dallo sfruttamento. Della serie: “Visto che non stiamo sfruttando abbastanza determinate zone, prendiamole d’assalto!”.
Che idea fantastica!
A nessuno dei mega-scienziati coinvolti nello studio citato è venuto in mente che si potrebbe cambiare modo di utilizzare i terreni e le risorse che già stiamo utilizzando (in malo modo, peraltro!)?!?
Il rischio che vedo, poi, nelle nuove certificazioni, è che tutto si trasformi in un *magna-magna* di soldi, per ottenere le suddette certificazioni, ma senza che ciò porti ad un reale cambiamento.
Perché, secondo me, a nessuno *che conta* interessa risolvere la fame nel mondo.
@ tutti: qualcuno mi ha conosciuto (gli *eletti* del primo laboratorio di panificazione…). Il profondo nord da cui provengo è un piccolo paesino in provincia di Varese, vicino a Saronno, 20 Km a Nord di Milano.
Come ha detto izn, credo profondamente nel Pasto Nudo e questo è il mio modo *artigianale* per dare un contributo alla diffusione della consapevolezza alimentare e non solo.
Buon Venerdì pomeriggio a tutti,
Sara.
P.S. tradurre non è il mio lavoro, motivo per cui le traduzioni sono assolutamente imperfette! Siate clementi!
Gli americani sono grandiosi! All’improvviso si svegliano parlando di problematiche alimentari che sono gia’ conosciute e quasi scontate ma nel frattempo tutta la loro politica va in altra direzione….(sono troppo drastica?!).
Ho parlato recentemente con una persona che va da anni in Malawi a scavare pozzi d’acqua ed a formare agricoltori locali per un’agricoltura diversificata…e sai cosa mi ha rivelato che gran parte dell’Africa viene invasa da imprenditori cinesi che dollaroni in mano pagano il terreno agricolo per impiantare industrie tessili per la maggiorparte e quindi il lavoro certosino di formazione degli agricoltori locali svolto dalle ONG fa a farsi…(diciamo) benedire! Sigh!!!!
Comunque questo sito è fatto benissimo io non posso fare a meno tutti i santi giorni di consultarlo. Fai un lavoro utilissimo e faccio sempre pubblicità . Un grazie di cuore
Ciao a tutti,
è la prima volta che scrivo qui perchè è da poco che ho scoperto questo magnifico blog. Sono una studentessa di ingegneria chimica al Politecnico di Torino, perciò sono interessatissima a questi argomenti, soprattutto perchè il mio sogno è proprio lavorare nel campo dell’eco-sostenibilità dell’alimentazione.
Questo articolo mi ha colpito tantissimo, soprattutto perchè mi fa un po’ arrabbiare. Come già detto da chi ha commentato prima di me, ma è possibile che gli americani facciano i magnifici spuntandosene al momento giusto con frasi già sentite e strasentinte, soluzioni approssimative e, senza offesa, banali.
Condivido pienamente l’opinione di Izn, la coscienza per un cambiamento radicale nella questione dell’alimentazione deve partire dalle persone e non dalle alte sfere. Anche perchè sono loro che hanno creato questo mercato consumistico e senza regole ( o meglio regole tutte loro!) e adesso vengono a predicare alla gente normale (noi), che magari da anni e anni tentiamo di portare a conoscenza il problema e ci scervelliamo nel nostro piccolo per trovare delle microsoluzioni a questo gran casino.
Chiedo scusa se mi sono scaldata un po’, ma ho una terribile allergia alle banalità e alle ipocrisie dei signoroni ;)
madre natura crea partendo dai semi, architetti e muratori ragionano
prima sulle fondamenta della casa, ogni uomo e ogni donna viene coccolato nel grembo di una madre… e qui si propone dall’alto un sistema unificato per tutti; mah…
@Sabine: caspita, che poesia nelle tue parole… Grazie!
Mi sembra che il difetto principale di questo articolo sia proprio dove dice: “Nel documento si evita volutamente di prendere posizione nelle guerre ideologiche che coinvolgono il settore alimentare” (a parte la stranezza dell’affermazione, come può essere una guerra “ideologica” quando coinvolge la cosa più concreta che possa esistere, e cioè il nutrimento?…).
Personalmente ritengo che tentare di affrontare il problema dal punto di vista scientifico è inutile se non si affronta anche il discorso politico, perchè le due cose sono strettamente collegate. Per essere ancora più sintetici, il problema alimentare forse non esisterebbe se non ci fosse stato (e c’è ancora, sotto diverse forme) il colonialismo, cioè le politiche di sfruttamento dei paesi più ricchi nei confronti dei paesi poveri.
In questo senso, solo per fare un esempio, credo molto nel commercio equo e solidale.
Se proprio vogliamo affrontare il problema solo dal punto di vista scientifico mi sembrano molto più convincenti le parole e gli studi di Vandana Shiva, che propone come soluzione il ritorno a un rapporto “antico” dell’uomo con la terra, cioè il ritorno a un’agricoltura tradizionale e locale, invece che allo sfruttamento intensivo del territorio, magari finalizzato all’esportazione. Lo sfruttamento intensivo riduce la fertilità della terra, mentre la diversificazione delle colture e la biodiversità la arricchiscono e consentirebbero quindi a ogni popolo, localmente, di sopravvivere.
Poi, qui mi fermo, nel senso che nella vita faccio tutt’altro e quindi posso arrivare solo a un certo punto nell’analisi.
Anch’io in generale penso che non può esistere una soluzione imposta dall’alto che vada bene per tutti e che si debba passare per la consapevolezza delle persone. Certo, un “aiutino” da parte del sistema legislativo ed economico internazionale che non punti solo a difendere “la libera circolazione delle merci” ma prenda in considerazione anche le situazioni sociali di ogni paese potrebbe accelerare i tempi… ma qui torniamo al discorso politico…
Mangiare è un atto politico.
Ora più che mai ho questa convinzione.
Quando compri, voti. I consumatori esprimono un voto per ogni prodotto che scelgono e segnalano alle imprese i comportamenti che approvano e quelli che condannano. L’acquisto può trasformarsi in un sostegno alle forme produttive corrette o in un ostacolo alle altre”.
(Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano)
@Pelomary: non potevi trovare citazione migliore (beh, Alex Zanotelli non é proprio l´ultimo arrivato, vero? ;-)).
Per questo insegnare ai bambini ed ai ragazzi adolescenti nelle scuole la consapevolezza alimentare é un atto politico. E per questo in molti paesi viene ostacolato…
Concordo con le affermazioni fatte sinora (che bello, finalmente, poter concordare con qualcuno su considerazioni così importanti)! Ed è vero che pensare di imporre dall’alto una nuova consapevolezza mi fa tremare: a quale nuova dottrina alimentare ora si vorrebbe che ci convertissimo? Perchè di alimenti spacciati per sani e naturali e consapevoli e sostenibili sono pieni gli scaffali degli innumerevoli venditori di fumo e schifezze… E che dire dell’affermazione per cui dovrebbero essere gli scienziati che non avrebbero interessi economici (magari ce li ha chi li paga!!) a certificare cosa sia bene e cosa sia male? Mi sembra l’ipotesi di un ritorno al più oscuro illuminismo!! Ricominciamo da noi… cercando di modificare il mercato con le nostre scelte e con un’ampia circolazione di idee… E certo che questo si chiama anche fare politica…
@claudia Zanotelli è famoso per le sue lotte….. Oggi sono stata a scuola di mia figlia in qualità di membro del comitato assaggiatore della mensa! Ragazzi è terribileeeeeeeeeeee! Niente amore, niente cultura del cibo, niente di niente….. mi sono rattristata e ora sono anche un po’ incavolata. Come si fa dico io? Pasta olio e parmiggiano senza parmiggiano, polpette di carne bianca se le usavi come oggetto contundente rischiavi di uccidere qualcuno, purè in polvere e frutta NON BIOLOGICA macchè!!! solo vecchia. E poi il modulo di “proteste e proposte” due misere righe…… FIDUCIOSI!
Da dove possiamo partire per sensibilizzare queste mense che vincono appalti e poi se ne stra-fregano di cosa propinano a dei bambini? Scusate lo sfogo, ma qui mi sento in un luogo protetto, so che capirete e se avete suggerimenti
“Inoltre, l’articolo sostiene che l’incremento della produzione alimentare deve provenire da terreni agricoli esistenti, intensificando la produzione nelle regioni del mondo dove i rendimenti sono bassi:” avevo letto in queste parole la possibilità di incrementare la produzione tramite metodologie sostenibili (visto che è d qeusto che si sta parlando). COme dire, portare know how sulle tecniche agricole che facciano in modo che il raccolto ia sempre abbondnate NONOSTANTE un utilizzo MINORE di fertilizzante e acqua <- visto che è di questo che parlando nei video dell'unviersità del minnesota linkati.
la trovavo una cosa intelligente proprio per permettere una maggior produzione delocalizzata così che non abbisgnassero anche loro di approviggionamente provenineti da posti lontani.
Oltretutto la questione del know how non andrebbe tratta quale forma neocolonialismo -come effettivamente è stato fino ad oggi- con le monocolture intensive, ma secondo produzioni di varietà locali (nei video si parla di biodiversità) adatte ai climi a terreni ecc, e trattando di efficienza si suppone non si parli di sfruttamento/mezzadria ma di metodologie che calibrano l'utilizzo della manodopora a quello delle macchine agricole con orari lavorativi e compensi equi. Insomma un po quello che fanno le ONG citate in un commento. Si intendano quindi compresi in questo discorso anche le piccole coltivazioni, come anche gli orti urbani..li valuto come opzioni reali nell'ottimizzazione (preferisco questo termine) dei suoli già impegnati. e quindi NO al consumo di suolo… si all'utilizzo di pozze per la raccolta di acqua piovana …ecc questo degli esperti lo sanno valutare bene..vandana shiva con il suo mito dei contadini attaccati alla terra spesso lo perde di vista, perchè NON SEMPRE nell'antico vi è la soluzione migliore!!!!!!! Gli antichi vivevano in un mondo diverso..la conoscenza tecnologica non è per forza un male, la conoscenza chimica, la capacità di "leggere" un suolo tramite conoscenze scientifiche può aiutare in questa ottimizzazione….
I cinesi purtroppo acquistano terreni/stati interi per la produzione di cibo..ormai sono diventati i padroni dell'africa e sull'argomento vi rimanderei, se non sabglio al presa diretta di un paio di domeniche fa, o forse alla lezione di Pordi allo stabat mater…
Il problema dell'equo e solidale è che poi agisce in un contesto di trasporti prettamente capitalista, e che appunto abbisogna di trasporti e TANTI perchè NON è LOCALE..e caffe o cioccolato a parte, il miele i biscotti le farine ecc onestamente non mis embra EQUO, nè tantomeno eco, comprarli provenienti da paesi in fanculandia.
Dal momento che tutto è POLITICA nel senso profondo del termine, direi che anche mangiare lo è, ed ultimamente lo è più sfacciatamente/apertamente.
In conclusione concordo pienamente con IZN sulla necessità di educare, della DIFFUSIONE di conoscenza e di portare il livello dei dibattiti un pochino più su del banale "gli americani predicano bene e razzolano male" (per carità condivisibile in molti ambiti, ma la ricerca scientifica non corrisponde alle politiche di governance).
la visione OLISTICA della questione è sempre più un obbligo, che deve quindi districarsi nel gioco di scale, passare cioè continuamente tra il contesto macro (mondiale globale come si vuole) a quello locale, delle relazioni faccia-a-faccia nelle attiivtà quotidiane. Si tratta di cambiare le piccole abitudini, come di pensare/attuare polithce economiche che guardino ad uno SVILUPPO della ricerca scientifica/agronomica/medica/chimica/biologica(stiamo parlando di sguardo olistico per cui ogni campo è IMPORTANTE). e quindisi chiude di nuovo il cerchio e torniamo al porblema dell'educazione…che passa anche per quello che si mangia alla mensa..poveri bambini, povera me che causa topi in cucina mangiavamo della robaccia proveniente da un catering nelle scatoline di alluminio, sempre fredda scotta unta ecc ecc.
Educazione che dovrebbe anche finalmente permettere alle persone di comprendere che sto sistema del magna magna di appalti non aiuta la crisi economica..
educazione educazione educazione..(civica alimentare specializzata …basta che sia cultura)
ps.: a tutti scusate la lungaggine, ma vorrei cercare di essere chiara e non ho il dono della sintetizzazione.
izn, che dire… sono convinta che un pezzo di carta non sia la soluzione ai problemi alimentari del mondo. una frasona, eh? :-) è evidente che sia necessario un intervento alle radici, a livello politico da una parte e sociale dall’altra. spero non sia un’utopia.