A dispetto del nome non sono malriusciti e nemmeno male in arnese, anzi! Parliamo dell’ennesimo piatto povero della nostra inesauribile tradizione culinaria; questo giro arriva direttamente dalla Toscana, che di storia (e di un sacco di altre cose) ne ha da vendere.
Come tutti i piatti tradizionali esistono in infinite varietà (e si prestano ad altrettante coniugazioni); questa che vi mostro è proprio quella classica classica, l’ho vista qui e me ne sono innamorata.
Mi sembra così strano che siano poco conosciuti nel sud dell’Italia, vista la facilità della preparazione e il fatto che sono incredibilmente buoni e inaspettatamente leggeri!
Mentre li stavo preparando mi sono poi ricordata che li avevo visti anche qui da Giulia, in tutta la loro toscanaggine, con dosi diverse ma altrettanto attraenti. Giulia spiega anche che il motivo per cui questi gnocconi hanno due nomi così diversi dipende dalla loro provenienza: a Siena si chiamano malfatti (perché sono piuttosto irregolari essendo formati a mano), a Firenze invece gnudi, perché è come se fossero ravioli senza… vestito di pasta (adoro i toscani)
Ovviamente potete immaginare quanto possa essere stato difficile per me farli irregolari. Non so se dalle foto si capisca lo sforzo, ma più bitorzoluti di così non ci sono riuscita. È più forte di me 8-/
Nella versione di Giulia c’è molta più ricotta rispetto agli spinaci (che sono saltati in padella, non solo stufati), ci sono due uova invece di uno, e non c’è la farina, cosa che li renderebbe mooolto adatti a chi ha problemi con il glutine (magari sostituendo la farina di frumento che serve per formarli con quella di riso). Ma li proverò, eh, ah se li proverò!
Oltretutto a quanto pare ne esistono versioni invernali con il cavolo nero, di sola ricotta e in versione solo tuorli e con noce moscata qui da Fabien.
Cosa che tra l’altro mi fa venire in mente quanto potrebbero essere buoni degli gnudi fatti con l’ortica, o con gli agretti (!) o con un misto di erbe spontanee colte qua e là in prati incontaminati, e aromatizzati con una serie di spezie e erbe aromatiche praticamente infinita. Continuiamo così, chiamiamola cucina povera, facciamoci del male.
Ingredienti:
600 grammi di spinaci freschi
250 grammi di ricotta di pecora
1 uovo
50 grammi di pecorino stagionato 6 mesi
40 grammi di farina semintegrale
sale marino integrale
pepe nero in grani
una noce di burro di centrifuga
qualche foglia di salvia o di maggiorana
Una ricetta facile che più facile non si può. Lavate bene gli spinaci, ché di solito sono pieni di terra. Prendete una pentola bella grande e metteteceli dentro ancora sgocciolanti, senza aggiungere altra acqua. Coprite e accendete il fuoco a fiamma medio-alta fino a quando l’acqua non bolle, poi abbassate leggermente e lasciateli stufare cinque o sei minuti, io non li lascio di più perché mi piacciono ancora vivi.
Scolateli, lasciateli raffreddare e poi strizzateli molto bene con le mani (o con uno schiacciapatate e una certa delicatezza). Tritateli con uno Psycho-coltello e metteteli da parte. In una terrina di vetro mescolate la ricotta, l’uovo, il pecorino grattugiato, una presa di sale, un po’ di pepe macinato e la farina. Io ho usato il frullatore a immersione montando i ganci, ma si può fare benissimo con una forchetta o un cucchiaio di legno qualsiasi.
Aggiungete gli spinaci e mescolate fino a quando non saranno perfettamente amalgamati; formate delle palline di impasto grandi come grosse noci; se l’impasto si attacca troppo alle mani potete sciacquarle ogni tre o quattro gnudi, sarà più semplice. Nella versione senza farina all’interno è necessario, come racconta Giulia, infarinarli per bene all’esterno per evitare che si sfaldino durante la cottura. Con questi io non ne ho avuto bisogno, ma se volete dei malfatti più compatti e lisci infarinateli a volontà.
Mettete sul fuoco una grande pentola piena d’acqua; quando arriva a ebollizione tuffateci delicatamente gli gnudi/malfatti, che dovranno cuocere tre minuti da quando verranno a galla. Prelevateli con la paletta forata e adagiateli nei piatti.
Io li ho conditi con burro fuso, salvia, una spolverata di pecorino e una grattata di pepe nero, ma datemi il tempo di trovare i primi pomodori e vedrete che sughetto gli combino :-) Giulia sul suo blog ne mostra una versione condita con ricotta affumicata grattata e dadini di prosciutto, e gratinata in forno… non so se rendo. Insomma con un po’ di fantasia potete creare a vostro piacimento (che è la cosa più bella da fare in cucina!).
questi sono gli strepitosi piatti “poveri” della tradizione che adoro e trovo di una ricchezza di gusto e salute imparagonabile!
bellissime le foto
baci
Questi qui mi piacciono proprio tanto tanto!
li conosco anch’io!! “palle di san giovanni” li chiamavano nella mia famiglia, mamma toscana e babbo piemontese!!
priscilla
sono una meraviglia Sonia! mi hai fatto venire voglia di rifarli, magari davvero con le erbe di campo!
buonissimi…..li proverò per certo….due domande fuori luogo cara izn: mi servirebbe capire la conversione in ricette che trovo in rete della pasta madre solida in quella liquida….l’altra è mi è morto il forno….qualche consiglio sul nuovo acquisto? grazie
Cara Izn, non commento mai le ricette perché è difficile che siano cose che so già fare. Ma in questo caso mi permetto. Li faccio spesso, e da quando ho imparato a farli senza uova vengono un milione di volte migliori. Prova e mi saprai dire!
Che nostalgia! Appena li ho visti ho pensato ai “miei” strangolapreti, una delle ricette trentine per eccellenza. La differenza sostanziale e’ che negli strangolapreti non si mette la ricotta, ma il pane vecchio a dadini ammollato nel latte (ricetta povera!). Si aggiunge la noce moscata e gli spinaci si ripassano in olio (o burro) e cipolla tritata finissima. Inoltre, da noi si usa il grana trentino, di mucca, e non il pecorino, che non e’ tipico dei nostri monti.
Ma spesso si trovano anche ricette con la ricotta (e’ un po’ come con i canederli o il ripieno dei tortellini, che ogni famiglia ha la sua ricetta perfetta e chiaramente “quella vera!”), o con le ortiche o altre erbe al posto degli spinaci (una volta li ho mangiati con la borragine, conditi con burro e nocciole tritate, non male). :-)
http://fooditalianblog.blogspot.com/2012/07/strangolapreti.html
mi ricordano tantissimo gli gnocchi del casentino che facevamo qualche annetto fa’ – sempre con l’intenzione di mantenere salde le radici etusche anche in quel d’africa.
buono…il vostro lavoro.
Maurizio
più li guardo e più non mi capacito di come tu riesca a sostenere di averli fatti irregolari…
accidenti ai 5 pianeti neh… rido… <3
Forse lo sapete o forse vi sorprenderà ma questi gnocchi si fanno anche in Lombardia ed hanno appunto il nome di malfatti.
Per noi erano la norma sulla nostra tavola perché molto amati anche dai bambini