Il 18 ottobre scorso si è svolto a Roma un seminario, organizzato dall’Autorità garante della concorrenza (Antitrust) e dall’Istituto per l’autodisciplina pubblicitaria (IAP), sul tema della comunicazione commerciale dei prodotti e degli integratori alimentari.
Il convegno è stato un utile momento di riflessione sull’azione svolta dai due organismi per contrastare la diffusione di informazioni false, fuorvianti o reticenti sulla qualità dei prodotti e sulle loro proprietà, da parte di molte aziende.
Nel corso degli anni la disciplina in materia di sicurezza alimentare è progressivamente migliorata, anche sulla base delle indicazioni fornite dalla Comunità Europea.
Il dibattito si è focalizzato soprattutto sulla comunicazione commerciale, e il compito di valutare la correttezza dei messaggi pubblicitari proposti dalle aziende di tutti i Paesi europei è stato affidato all’Agenzia per la sicurezza alimentare europea (EFSA), al fine di tutelare sempre di più i consumatori.
Il lungo e complesso lavoro di analisi ha permesso di individuare un primo elenco di claim sulle proprietà salutistiche dei prodotti alimentari ammissibili, e di bocciare invece un elevatissimo numero di indicazioni, in quanto ingannevoli; il lavoro è tuttora in corso per le piante e gli estratti vegetali.
Utilizzando anche le regole definite dall’EFSA, l’Antitrust e lo IAP, ognuno secondo la propria competenza, hanno deciso di interrompere alcune campagne pubblicitarie giudicate ingannevoli: nella mia rubrica abbiamo analizzato i casi più rilevanti, dando notizia anche delle sanzioni deliberate dall’Antitrust (una raccolta delle decisioni dell’IAP in materia è contenuta nel Quaderno n. 2 dell’Istituto).
C’è chi giudica largamente inadeguata la normativa e la stessa azione dei due organismi (vedi l’intervento nel quale il direttore de Il Fatto alimentare critica in particolare la lentezza delle procedure, l’insufficienza delle multe, i tanti messaggi distorti che sfuggono a qualsiasi sanzione).
Si tratta di un sentimento diffuso anche tra i consumatori, che si trovano in grave difficoltà nel reperire informazioni chiare e imparziali. Molti pensano che la pubblicità invasiva, che spesso attribuisce ai prodotti effetti benefici per l’organismo non dimostrati scientificamente, oppure induce comportamenti alimentari non corretti, sia contrastata troppo poco.
Purtroppo tanti messaggi pubblicitari sono indirizzati a soggetti che non possono difendersi (si pensi alle pubblicità delle merendine per i bambini) o molto vulnerabili su alcune problematiche (come le campagne promozionali dei prodotti dimagranti rivolte alle persone con problemi di sovrappeso).
A mio avviso l’opera svolta dall’Antitrust e dallo IAP è molto preziosa, così come quella dei tanti organismi (pubblici e privati) che operano nel campo della sicurezza alimentare e della difesa dei prodotti di qualità (si pensi ad esempio agli sforzi enormi compiuti nei confronti del dilagante fenomeno della contraffazione alimentare) e perciò va difesa con forza dagli attacchi di coloro che cercano di ridimensionarla con tutti i mezzi a disposizione.
A tale riguardo, è importante sottolineare che le pronunce dell’Antitrust sono generalmente confermate dai giudici amministrativi, che si limitano talora a ridurre le sanzioni a carico delle aziende: questo è un segno inequivocabile del rigore con cui l’Autorità svolge la propria attività di monitoraggio e della validità delle argomentazioni alla base delle singole pronunce.
Peraltro, l’importanza della sicurezza alimentare e di un’informazione corretta per quanto riguarda le scelte nutrizionali impone un ulteriore salto di qualità, per rendere più efficace la prevenzione e la repressione ed accrescere la consapevolezza di fasce sempre più ampie della popolazione.
Il primo aspetto concerne l’entità delle multe, che per essere veramente deterrenti devono essere particolarmente elevate nei casi più gravi; il tetto massimo delle sanzioni è stato aumentato recentemente (ora possono variare da 5.000 euro a 5 milioni di euro). Questo consente finalmente all’Autorità di calibrare meglio le multe, proporzionandole anche ai ricavi che una campagna pubblicitaria ingannevole ha consentito all’azienda interessata.
Inoltre, in considerazione dei tempi necessariamente lunghi del procedimento dovrebbero essere adottati più frequentemente i provvedimenti cautelari di sospensione della pratica scorretta, in particolare nei casi in cui la giurisprudenza è oramai consolidata.
Molta importanza riveste anche la cosiddetta sanzione sociale: alcune imprese, specie quelle più forti, temono più il danno d’immagine di una pronuncia dell’Antitrust e dello IAP che la sanzione economica, che spesso può essere in qualche modo “ammortizzata”.
Purtroppo però i mezzi di informazione danno scarsissimo risalto a queste pronunce (leggete i risultati di questa recente indagine).
Le associazioni dei consumatori svolgono un’opera molto importante per rendere comprensibili a fasce più ampie della popolazione i contenuti delle decisioni in materia, che potrebbero però essere valorizzate di più, ad esempio attraverso dei comunicati stampa. Oltretutto non vengono praticamente utilizzati i maggiori mezzi di informazione o internet per diffondere le notizie delle condanne a carico delle aziende responsabili di pratiche scorrette.
I consumatori e le loro associazioni possono svolgere un ruolo più attivo, monitorando sistematicamente e segnalando la pubblicità ingannevole e le altre pratiche scorrette nel settore alimentare: il lavoro dei due organismi di controllo sarebbe molto facilitato.
Il contributo dei cittadini e degli esperti nel campo nutrizionale e della sicurezza alimentare può essere molto prezioso per innalzare la soglia dell’attenzione, utilizzando le potenzialità della rete: anche tutti voi che scrivete o commentate sul pasto nudo potete fornire indicazioni preziose.
È bene ricordare che le misure qui delineate andrebbero a vantaggio non solo dei consumatori ma degli stessi operatori onesti, mettendo fuori gioco le imprese che vìolano la legge. Trasparenza nell’informazione e tutela della concorrenza, sia nel settore alimentare sia negli altri comparti, devono andare sempre di pari passo.
Ecco, quanto mi piacerebbe che i foodblogger si dedicassero di piu’ alla diffusione di queste informazioni – intendo proprio la segnalazione di aziende ‘delinquenti’ – piuttosto che alle tanto diffuse ‘marchette’! Mi fai. enire la voglia di iniziare una rubrica dedicata sul mio blog. A.x
Alex, sì sì ti prego fallo!!! In questo modo le aziende capiranno che non possono più insabbiare tutte le schifezze che combinano come una volta, quando c’erano solo i media prezzolati :-P