“Pane e mangiare”. Quando Laura Palombi mi ha raccontato che con i suoi soci avevano scelto questo payoff ho pensato che fosse perfetto per il suo progetto. Ehssì, perché questa panetteria molto particolare l’ho seguita fin dalla fase di concepimento, dato che i bambini di Laura sono a scuola con la minizac, e lei l’ho conosciuta quando ancora era tutto nell’eccitante (e faticosa!!) fase di elaborazione.
Potrei raccontarvi della ricerca del locale giusto, dell’attenzione minuziosa di Laura per i particolari (sto pensando di affibbiarle qualche pianeta in vergine così, in premio) e del grande gusto suo (d’altra parte ha lavorato per anni nelle agenzie pubblicitarie di Roma come copy) e del suo socio Angelo Belli per il design.
O del mulino a pietra “portatile” che c’è da loro, della parete a vista di farine antiche; ma tutto questo lo ha già raccontato il Gambero Rosso, che ne ha scritto alla fine di Febbraio, un paio di giorni dopo l’apertura, ancora prima dell’inaugurazione.
Voglio spendere invece due chiacchiere sulla genesi di questo bellissimo posto, sulle sue radici, e su come Laura qualche anno fa, fulminata da una panetteria che si chiama Reginbrot, che aveva visitato durante un viaggio a Costanza, ha iniziato a cercare modelli a cui ispirarsi.
E chiedendo chiedendo ha incontrato Franco Palermo, un uomo molto particolare, che per capirci ha aperto la strada al biologico a Roma nel 1986 con un forno a Ciampino che lavorava solo con farine biologiche e pasta madre, dove i 34 dipendenti erano tutte persone a rischio, che avevano bisogno di un’occupazione per reintegrarsi nel sociale.
Per Franco il pane è un mezzo per aiutare le persone, e questa filosofia Laura l’ha compresa profondamente e abbracciata sotto tanti punti di vista; ne potete vedere tracce nelle sedute di cuoio ai tavolini di recupero addossati alle grandi finestre laterali del locale, fatte realizzare da Aoun, un artigiano marocchino che ha un laboratorio nell’associazione Capitano Ultimo, una casa famiglia dove Franco passa gran parte della sua giornata a insegnare a ragazzi emarginati ed extracomunitari come mantenersi onestamente e dignitosamente preparando il miglior pane possibile.
E migliore lo è sicuramente, visto che Franco Palermo è stato l’ispiratore di Gabriele Bonci e lavora ancora oggi nel suo forno; adesso lo potete incontrare ogni tanto da Laura, dove aleggia non solo fisicamente ma soprattutto con la sua energia volta ad aiutare e migliorare il nostro tessuto sociale, che come tante volte ho detto qui sul pasto nudo parte sicuramente dal cibo.
Cogliete lo spirito del locale anche nella gentilezza e nella professionalità dei dipendenti di Santi, sempre disponibili e attenti e deliziosamente rivestiti con grembiuli fatti cucire recuperando vecchi sacchi di iuta, anche questa idea di Angelo Belli :-) Pure quelli che adesso non sono presenti fisicamente, ma ci sono con il cuore, come la giovane e bravissima Martina Caponetti che ha seguito per due anni il progetto, ha trascorso 4 mesi a Costanza per imparare a fare il vero pane tedesco (come quello di segale), e poi dopo un mese di lavoro, durante il quale ha impostato la linea di panificazione, è volata a imparare la panificazione biodinamica di Nicolas Supiot, il famoso contadino-fornaio francese.
Il pane di Santi Sebastiano e Valentino (per gli amici “Santi”) è frutto di estenuanti ricerche di materiali e procedimenti di Laura e di Manuel Perego, il giovane ostinato, ottimista e promettente fornaio che lavora spalla a spalla con lei.
È preparato con farine di grani antichi (Laura preferisce specificare “non irradiati” che in effetti è un termine molto più preciso) coltivati in regime biologico e moliti a pietra da piccole realtà consapevoli. Parliamo di grani che si chiamano GentilRosso, Evolutivo, Maiorca, Bolero, Verna, Gambo di ferro, e se si tratta di farro solo i due tipi più pregiati (e a più basso contenuto di glutine), il dicocco e il monococco.
Persino la colomba è realizzata con soli grani antichi, di tipo 0 ma macinati a pietra; si tratta di miscele realizzate dai mulini di cui sopra (ad esempio il bellissimo molino Silvestri (che funziona con l’acqua del torrente!) di Perugia o il mulino Sobrino di Cuneo) mettendo insieme, con l’esperienza di anni, tipi di grani antichi che in sinergia riescono a dare farine un po’ più elastiche e quindi panificabili.
Tutti gli impasti sono fatti con sola pasta madre “ad hoc” (ne hanno tre, una di segale, una di farro e una di grani teneri antichi), tranne la baguette e la pizza nelle quali oltre alla pasta madre c’è *un grammo* di lievito di birra disidratato per chilo di farina; ovviamente trattasi di lievito NO OGM, a differenza del lievito di birra convenzionale.
Il tutto cotto in un modernissimo forno elettrico tedesco con pietra refrattaria, perché tutte queste cose buone siano cotte omogeneamente e perfettamente; purtroppo come potete immaginare il forno a legna in piena città è impensabile, oltre a essere inadatto e poco pratico per tutta la parte della biscotteria e della pasticceria (ma quant’è carina e orgogliosa Laura che inforna? :-D).
La cosa bella è che finalmente ho potuto fare scorta di pangrattato, perché da noi o te lo fai in casa con il pane che conosci, o quando sei fortunato trovi quello di ReD, o trovi roba strana con gomma di guar, lievito di birra etc. Quando ho adocchiato queste magnifiche bustone qua sotto me le sono viste subito trasformate in magnifiche polpette, fettine panate e croccanti finiture di gattò di patate :-P
Se seguite questo blog da un po’, in particolare la sezione della pasta madre, saprete che la pasticceria è la bestia nera di chi usa farine antiche, perché è veramente complicato preparare dolci ben lievitati, morbidi e ariosi, con le farine antiche, che hanno un glutine molto fragile rispetto a quelle “tecniche” moderne.
Ebbene persino i cornetti (in tre versioni: francese, italiana e integrale al miele) e i ventagli (in napoletano “prussiane” <3) supersfogliati di Santi sono magistralmente preparati dal mitico Valerio Coltellacci (che “discende” da Luigi Biasetto, mica uno qualsiasi) con sole farine antiche, burro belga (presto anche il burro sarà bio), uova super felici e zucchero grezzo equosolidale.
Ovviamente niente aromi sintetici, ma solo scorze di arance e limoni biologici ed eventualmente qualche goccia di olii essenziali bio o biodinamici. Si mormora che sia possibile trovare ogni tanto anche vari tipi di dolci senza latticini, tra cui una pazzesca Sacher all’olio d’oliva, ma per saperlo sarete costretti ad andarli a trovare perché il menù varia continuamente (“con follia estrema”, specifica Laura :-D).
Ma parliamo un attimo della cucina. Che dire della chef Sharon Landersz?? Sono innamorata! Una professionista seria e brava che non se la tira come un attore di Hollywood, semplice, decisa e sempre con il sorriso sulle labbra. Sharon viene da realtà come la Regola, al fianco di Marina Perna che l’ha tirata su amorevolmente, poi ha “frequentato” le cucine dell’Enoteca Ferrara e del Ginger, dove ha reimpostato il menù e poi ha ideato e curato il progetto della vaporiera; è versatile e ama sperimentare in cucina, ma “con un grande rispetto per la materia prima”. Inutile dire che stagionalità è la parola chiave da Santi.
La potete vedere al lavoro nella splendida cucina a vista, che più trasparente di così non si può :-) Sharon ama le “cotture lente e complicate”, e adora lavorare con zuppe, legumi e verdure; nei suoi piatti sono sempre presenti, senza essere invadenti, le mie amate spezie; la sua carta varia continuamente a seconda della disponibilità degli ingredienti, che sono quasi tutti biologici.
Noi abbiamo provato il loro delizioso “fish bun”, una brioche morbidissima ripiena di polpo, patate e porro, contornata da chips di topinambour e servita con una vellutata di zucca alla noce moscata, ketchup fatto in casa e una salsa di yogurt e lime. Il “bun” è frutto della collaborazione tra Sharon e Manuel, un riuscito tentativo di legare il forno alla cucina.
Non ho potuto resistere ad assaggiare anche il calamaro in umido, marinato con alloro e buccia di limone e passato in padella con i famosi cipollotti di Lorenzo Perla, poggiato su un letto di quinoa con prezzemolo chiodi di garofano e mele, e spolverato con un pangrattato alla barbabietola molto coreografico :-)
Abbiamo provato anche il “ricordo d’infanzia” di Sharon, un bellissimo budino di latte di cocco e uova, speziato con chiodi di garofano e cardamomo, cotto al vapore a bagnomaria, un dolce veramente particolare, una coccola molto adatta anche per i bambini (la minizac ha apprezzato moltissimo).
Che dire. Il mio posto perfetto (sarà ancora più perfetto quando sarà *tutto* bio eheheh); a partire dall’attenzione per le materie prime (ve l’ho detto che l’olio che usano è quello del nostro Serrilli, che il caffè è biologico e fairtrade e preparato con una macchina a pressione manuale, che potete trovare pani con segale e semi di girasole, oppure con il 100% di farina di tumminia, di farro dicocco o monococco integrale, di segale e fiocchi di avena, dolce con uvetta e cannella, scuro con le noci alla tedesca, con semi di papavero, girasole, lino e sesamo e un sacco di altri tipi?
O la carta dei vini che comprende sia vini biologici che classici; a brevissimo si concretizzerà il progetto originario, con 10 tipi di vino che cambiano a rotazione ogni mese, con ben 6 bottiglie in degustazione, che quindi si possono bere al bicchiere (questa per me è una cosa splendida perché amo bere poco vino ma non so stare senza quando mangio).
Mi sa che vi ho detto proprio tutto, puff, pant, tranne forse che per chi lavora nei dintorni (la zona è piena di uffici) è possibile avere a pranzo anche “il piatto dello staff”, cioè quello che mangia quel giorno la truppa, che di solito è ottimo, sostanzioso e a basso prezzo. Insomma, romani, che state aspettando? Buon appetito e ci vedremo lì tutte le volte che posso! In bocca al lupo Santi!! <3
Santi Sebastiano e Valentino
Via Tirso, 107/109 — 00198 Roma
info@santisebastianoevalentino.it
+39 06 87568048
orari di apertura: dal lunedì al sabato dalle 7.30 alle 24.00 (chiusi la domenica)
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