Veramente a ‘sto punto di anni ne sono passati due, e siamo in procinto di ripartire per l’amata Sardegna; intanto che aspetto di andare a vedere cosa è successo il terzo anno ho pensato di raccontarvi quello che ho visto l’estate scorsa e la grandissima emozione che ho provato :-)
Non vedo l’ora di rituffarmi, oltre che nelle gelide acque sarde (che temo quest’anno saranno ancora più gelide), nell’atmosfera brulla e florida allo stesso tempo di quell’isola meravigliosa profumata di Elicriso (vedi sopra) e rosmarino, e di andare di nuovo a trovare Roberto, del quale vi ho parlato nel primo articolo che ho scritto su questo luogo pazzesco.
La Sardegna devo dire che sotto certi punti di vista è un po’ come l’Africa: una volta che ci sei stato ti lascia dentro una nostalgia che non ti abbandona più, potremmo chiamarlo “il mal di Sardegna” se non fosse che più che un male è un bene (lo sapete, vero, che tra le altre cose quest’isola conta molti siti sacri curativi come Le tombe dei giganti?).
Noi tra un bagno e una visita alle aziende una capatina ce la facciamo sempre, ad abbracciare le calde e solide rocce taumaturgiche. Sono sparse un po’ dovunque nell’isola e si narra anche di vecchissime signore in villaggi sperduti che curano malanni e ferite (e ustioni solari) con il solo ausilio delle piante spontanee e di filastrocche sussurrate in lingue antiche, incomprensibili ai più o.O
Intanto, ve li ricordate Rosa e Burro? Beh, l’estate scorsa hanno avuto un bellissimo cucciolo che è stato chiamato Trudi (se guardate l’orecchio in primo piano qua sotto capirete subito perché. Esiste qualcosa di più bello?!).
Si è beccato tante di quelle carezze che gli ho consumato la testa, sempre sotto l’attentissimo sguardo della mamma, che non si scostava mai più di un metro dal suo cucciolo <3
La famigliola è libera di pascolare nella tenuta e pasteggiare con tutte le erbe meravigliose che ci crescono, una specie di paradiso degli asinelli come vedete! Stanno tanto bene che mi sono giunte voci che a breve potrebbe arrivare un altro cucciolotto <3
Se ben ricordate, la caratteristica della Tenuta Le More erano la coltivazione totalmente inerbita (mai visti campi più inerbiti di così o.O). Il modo di coltivare di Roberto è il più estremo che abbia mai visto, anche più estremo di quello di Giancarlo e la sua Civiltà dell’Orto, che avete conosciuto tempo fa nella rubrica sull’agricUltura e del quale vi riparlerò presto qui sul blog.
A differenza di Giancarlo infatti, che le erbe spontanee inizialmente le tagliava lasciando le radici nel terreno e rimettendole sopra come una pacciamatura, e adesso le schiaccia o le piega e ci mette sopra dieci/quindici centimetri di fieno, Roberto lascia tutto esattamente com’è; le piante crescono talmente immerse nella natura che le attornia che sono anche molto difficili da distinguere se non le conoscete una per una! :-D
Proteggere la vita del suolo per gente come Roberto è “la” priorità; se visitate il suo profilo su facebook troverete affermazioni importanti in questo senso come questa: “La regolazione autonoma richiede un’infrastruttura ecologica che sostiene una rete di interazioni che: limitano la crescita esplosiva di erbivori, favoriscono le consociazioni e i sistemi agroforestali, il non uso dei biocidi, la non lavorazione del suolo, la non eliminazione delle spontanee… tutti contribuiscono alla formazione della rete biotica che impedisce lo sviluppo di parassiti. Se le condizioni sono giuste, gli agricoltori possono utilizzare potenzialmente i predatori naturali per il controllo autonomo.”
Il “cuore umido” (definizione di Roberto) della Tenuta, cioè il laghetto, era sempre lì, ma molto più popolato di giunchi e ninfee rispetto all’anno prima; l’abbiamo costeggiato a cavallo del minitrattore, da dove potevo fotografare tutto dall’alto e da moooolto vicino, visto che ci facevamo strada in una vera e propria giungla di macchia mediterranea, tra fiori di finocchio, cespugli di more, e insetti di tutti i tipi che facevano – ehm – i fatti loro o.O
La cosa più bella e incoraggiante di questo posto bellissimo è proprio che su ogni singola pianta si può notare un insettino diverso, tutto intento a svolgere le sue peculiari mansioni. Una biodiversità molto difficile da trovare solitamente, non so some esprimere la sensazione di gioia mista a laboriosità che permea tutto il luogo!
Noi siamo stati lì a Luglio e i pomodori non erano ancora maturi (ma promettevano molto, molto bene!); le fragole più buone del mondo erano ancora lì in tutto il loro profumo, e ne abbiamo usufruito ampiamente tutto il mese. Spesso con Roberto ce le coglievamo da soli direttamente dalla pianta, e una buona parte non arrivava nemmeno al cestino, soprattutto in quello della minizac :-D
Io poi con tutta quell’erba riuscivo sempre a calpestare qualcosa, non ce la faccio proprio a rimanere nei corridoi di terra, è più forte di me ho l’uscita dai limiti nel sangue. Credo infatti di aver rischiato più di una volta una forconata visto che Roberto quando arrivavo io alzava subito gli occhi al cielo.
Con un certo orgoglio Roberto ha aperto la terra davanti a noi, scavando leggermente sotto l’erba, me l’ha fatta stringere tra le mani, ed era umida, plastica e profumata, nonostante il caldo estivo. Lo stato del terreno come vi ho detto tante volte è un po’ la prova del nove per capire lo stato di un’azienda agricola. Ne parlavamo in tempi non sospetti già quando osservavamo l’esperimento di Gian Carlo Cappello a Sacrofano, ricordate?
È molto semplice fare questo esperimento: basta scavare pochi centimetri sotto la terra, e prenderne tra le mani una manciata; se il suolo è umido (senza essere stato appena annaffiato), scuro, pieno di piccole radici sottili e magari anche qualche animaletto lo stato della terra è ottimo e molto probabilmente c’è una buona quantità di humus; se invece la terra è sabbiosa e un po’ secca, stringendola in mano si separa invece di aggregarsi (tipo creta) ed è priva di radicole, le piante non potranno vivere bene dentro di essa, e con tutta probabilità in breve tempo si ammaleranno o moriranno.
Rendere fertile un terreno in cattive condizioni è un affare che richiede qualche anno, un bel po’ di lavoro e tanta passione, mi ha raccontato Roberto. Sono proprio curiosa di vedere cosa è cambiato dall’anno scorso, e presto vi saprò dire con dovizia di particolari. Chissà che non riusciamo a far arrivare anche qui da noi qualcosa di buono dalle terre sarde, non mettiamo limiti all’umana provvidenza (e al pasto nudo!!) :-)
Che profonda cultura e consapevolezza ci vuole per amare cosi’ la terra!