Devo confessarvi che, quando nel lontano 2010 scrissi per voi il post sul panettone industriale (fu il primo di questa rubrica), ignoravo che da due anni, sotto le feste di Natale, si svolgesse a Milano un evento chiamato Re Panettone. La sua finalità era ed è rimasta quella di far conoscere i panettoni artigianali d’eccellenza e di premiare i pasticcieri che ne sono gli artefici.
Un’iniziativa molto interessante per i tempi che corrono e che vedono la qualità di tale nobile prodotto della tradizione pasticciera milanese sprofondare, nelle mani dell’industria alimentare, a livelli inaccettabili. Quest’anno l’evento si è svolto anche a Napoli nel primo fine-settimana di dicembre, a distanza di una settimana da quello di Milano. Ho saputo di questa iniziativa per caso in occasione di un mio soggiorno a Napoli proprio nei giorni dell’evento e ovviamente mi sono dato da fare per saperne di più.
Nell’implorare il vostro perdono per questa mia vergognosa ignoranza, prendo spunto dalla ricorrenza di questo evento e ovviamente delle festività natalizie per parlarvi ancora del panettone (questa volta di quello che si definisce, a torto o a ragione, “tradizionale”) e di come la sua qualità può ascendere alle vette sublimi della ghiottoneria o sprofondare negli abissi del disgusto e del raggiro commerciale (con la complicità della pubblicità televisiva).
Prima di entrare in argomento, ritengo però necessario affrontare una questione semantica: che cosa è in realtà il panettone e qual è il significato degli attributi, “tradizionale” (o classico), “artigianale” e “innovativo” che gli affibbiamo correntemente? Il decreto legge del 22 luglio 2005 definisce il panettone “il prodotto dolciario da forno a pasta morbida ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida”.
Dopo averne definito forma, alveolatura e aroma, esso elenca gli ingredienti obbligatori e quelli facoltativi (ve ne ho già dato conto nel post di cui sopra); inoltre descrive il processo di produzione, basato su una lunga lievitazione con pasta madre. In deroga, il decreto sul panettone del 2005 (d’ora in poi lo citerò semplicemente come “decreto 2005”) permette che il panettone possa essere prodotto anche senza uvetta e/o scorze di agrumi, due degli ingredienti obbligatori.
La denominazione “panettone” è dunque definita per legge. Non esiste invece una definizione ufficiale di “panettone tradizionale”, ma ce la può fornire il buon senso: lapalissianamente parlando, un panettone è “tradizionale” quando è fatto esclusivamente con gli ingredienti della ricetta tradizionale (=autentica ricetta casalinga) milanese, la quale contempla esattamente gli otto ingredienti obbligatori riportati nel decreto 2005.
Gli ingredienti
Sono in realtà quelli classici che si usano per fare quasi tutti i dolci casalinghi (farina, lievito naturale, zucchero, uova, burro e sale), con l’aggiunta di uvetta e scorze di agrumi canditi. Il disciplinare di produzione del “panettone tipico della tradizione artigiana milanese” permette anche due ingredienti naturali inclusi nella lista dei facoltativi del decreto 2005: il latte e il burro di cacao. A mio avviso si tratta di una forzatura che, però, chiudendo un occhio, risulta tollerabile.
Non è invece tollerabile che si chiami tradizionale un panettone che contenga altri ingredienti facoltativi del decreto 2005, in gran parte autentiche diavolerie della moderna tecnologia alimentare: gli “zuccheri” come lo sciroppo di glucosio e fruttosio, gli aromi “natural-identici”, che sono sintetici anche se riproducono molecole presenti in natura, e gli additivi appartenenti alla categoria degli emulsionanti (oggi sospettati di alterare il microbiota intestinale), tra cui l’onnipresente mono e digliceridi degli acidi grassi (E471); e a quella dei conservanti acido sorbico (E200); e sorbato di potassio (E202).
Se adottiamo questo banale quanto — a mio avviso — ineccepibile criterio, risulta che la quasi totalità dei panettoni industriali che circolano nei supermercati, benché siano etichettati come tradizionali o classici o ancora originali, in realtà lo saranno per la legge, ma non lo sono per il nostro palato e la nostra salute.
Conoscendo l’etica che ispira la grande distribuzione, ciò non mi sorprende più di tanto. Mi sorprende invece, e tanto, che anche nel circuito bio uno dei pochi panettoni commercializzati sia etichettato tradizionale ma a rigor di logica tale non è. Gli ingredienti sono: “farina di frumento, uva sultanina, burro, zucchero grezzo di canna, tuorli d’uova fresche, scorze d’arancia candite, lievito naturale, sciroppo di glucosio da mais, latte scremato, miele, emulsionante: lecitina di soia, sale, aromi naturali.”
In effetti si tratta di un panettone che, oltre agli ingredienti fondamentali, contiene numerosi ingredienti facoltativi. E per fortuna che gli emulsionanti e i conservanti come i sorbati non sono permessi nel bio! Prezzo al kg di questo panettone: 25 euro. Un po’ troppo costoso, a mio avviso. Io sono solito mangiare un altro panettone bio che costa molto meno e che ritengo si possa considerare tradizionale. Ha però un difetto: diventa rapidamente secco, ma poiché io adoro mangiarlo nel latte a km 1000 di cui vi ho più volte parlate, mi va bene così.
Per deliziarmi una tantum con un panettone-panettone davvero tradizionale e artigianale garantito al 100%, ho due alternative. La prima (che ovviamente preferisco): scrivo un post come questo qua per il pasto nudo e poi aspetto in cambio dalla Sonia il panettone fatto con le sue manine che è supertradizionale, superlievitato con pasta madre con impasto di farina di grani antichi, insomma super-bio e superbo (perla sua eccelsa qualità).
La seconda: spendo quello che spendo (un buon panettone va dai 30 euro al chilo in su) e ne compro uno (purtroppo non bio perché c’è poca scelta in questo ambito). Prima di affettarlo, lo pongo vicino al radiatore caldo, affinchè il burro si fluidifichi e inondi del suo sapore la miriade di alveoli del panettone. Mamma mia, mi sta venendo l’acquolina in bocca al solo pensarlo!
I canditi
Su sollecitazione dell’onnipotente izn, voglio spendere qualche parola sui residui di pesticidi che possono essere presenti sulle scorze di agrumi canditi. Fino a pochi anni fa le bucce degli agrumi potevano essere trattate con additivi alimentari che avevano la funzione di evitare la formazione di muffe e altri tipi di funghi.
Queste sostanze, che rientrano nella categoria dei conservanti, sono il bifenile (E230), l’ortofenilfenolo (E231) e l’ortofenilfenolo sodico (E232). In quanto additivi alimentari, dovevano essere dichiarati in etichetta. Con la revisione in corso degli additivi permessi, questi tre conservanti sono passati nella lista dei pesticidi permessi per il trattamento della buccia degli agrumi.
Poiché la legge non obbliga a scrivere in etichette i pesticidi usati per i trattamenti in campo e di conservazione, il risultato è che ora produttori e consumatori di panettoni non sono più in grado di sapere se le scorze di agrumi candite siano state o no trattate con questi potenti pesticidi. Alla faccia della trasparenza! Ovviamente si presuppone che i residui presenti siano al di sotto dei limiti di legge. Per le scorze di agrumi canditi bio, il problema non esiste perché pesticidi del genere sono vietati.
Il vero panettone artigianale
L’attributo “artigianale” è ovviamente in contrapposizione con quello “industriale”. In altre parole si vuole far intendere che si tratta di un panettone tradizionale lavorato a mano dal pasticciere. Esistono panettoni tradizionali fatti veramente a mano da bravi ed onesti pasticcieri; sul sito del Re Panettone troverete un elenco di molti di costoro.
Purtroppo, però, molte pasticcerie vendono panettoni etichettati artigianali che tali non sono (e se li fanno anche pagare profumatamente): si tratta in realtà di panettoni preparati con semilavorati industriali. Potete smascherare facilmente questi falsi panettoni artigianali leggendovi l’etichetta: oltre agli ingredienti obbligatori, ce ne sono diversi di quelli facoltativi, tra cui i mono e digliceridi degli acidi grassi.
Se ho ben capito seguendo l’evento Re Panettone, esisterebbe ora anche un “panettone innovativo”. Si tratta di prodotti dolci lievitati che possono mancare di alcuni degli ingredienti tipici del panettone, e/o addizionati con altri ingredienti non presenti nel disciplinare del decreto 2005, come cacao, nocciole, marmellate, crema pasticcera e tant’altro ancora.
Come ha denunciato recentemente il fatto alimentare, è in circolazione addirittura un “panettone” gastronomico consigliato per l’abbinamento con pomodoro e mozzarella, formaggio e olive. Mi chiedo se per un siffatto abbinamento non sarebbe preferibile ricorrere a una fresella: è meno cara di una fetta di panettone, ma soprattutto è più adatta per l’abbinamento e più saporita.
Per quanto riguarda invece il panettone senza glutine, vi ricordo che su questo blog ne ho già parlato due anni fa. Aggiungo soltanto che capisco le motivazioni di carattere psicologico che portano una mamma a comprare un prodotto del genere per il suo bambino celiaco. Non capisco invece questa fregola di tanti che solo per inneggiare al “gluten free” sono disposti a ingurgitare un prodotto siffatto. A leggerne l’etichetta si rimane sconvolti!
Conclusioni
Dio mio, come stiamo cadendo in basso. A ridateci el panetùn de Milan, morbido, burroso, appetitoso, fragrante, insomma sensuale (gastronomicamente parlando)! Auguri di buon Natale e ottimo panettone a tutte(i) le(i) pastonudiste(i) dal vostro prof.
Post scriptum
All’attenzione degli italiani che passeranno le vacanze natalizie in Spagna: sto cercando qui a Barcelona un panettone degno di questo nome e ho scoperto che dall’Italia arrivano prodotti che, a leggere l’etichetta, mi fanno accapponare la pelle. Eccovi gli ingredienti di uno che ho trovato in un peraltro ottimo negozio di frutta e verdura ubicato sotto casa: farina, uva passa, acqua, zucchero, burro, scorze di arance candite, margarina vegetale, lievito naturale, tuorlo d’uovo, glucosio, latte magro in polvere, e gli additivi mono e digliceridi degli acidi grassi (E 471), sorbitolo (E 420), lecitina (E 322), acido citrico (E 330), propionato di calcio (E 282) e acido sorbico (E200). Manca solo un pizzico di arsenico. Roba da galera!
Mi raccomando, se passate le vacanze natalizie in Spagna, il panettone portatevelo dall’Italia, comprando ovviamente secondo le indicazioni che finora vi ho dato. E, se invece del panettone, volete festeggiare con dolci tipici natalizi di questo paese, mi raccomando leggetevi le etichette. Qui di uno stesso prodotto alimentare si trova l’eccelso e l’infimo. Turista informato, mezzo salvato.
Proprio in questi giorni, e per le ragioni che elencate in questo post sto seriamente valutando l’idea di lanciarmi nell’incredibile impresa di fare il panettone in casa, e ho anche io scoperto di recente l’esistenza della competizione “Re Panettone”, nella quale ho notato, con sorpresa, eccellono molti pasticceri meridionali! Dovendo andare qualche giorno a Salerno con una puntatina a Napoli ho cercato un pasticcere che fosse tra gli eletti e comodo da trovare “sulla mia strada”; credo proprio che mi concederò, per una volta, un assaggio “artigianale” (quelli industriali li aborro da sempre!).
A questo proposito devo dire una cosa a Sonia (lo so che stai leggendo!): da sempre odio i canditi, ma ieri nel portarmi avanti per il mio progetto “panettonifero” ho candito le scorze di quattro arance siciliane super felici con lo zucchero mascobado (eh, avevo solo quello…): me lo potevi dire che le vere scorze d’arancia candite sono BUONISSIME!!! e poi mi sono chiesta “Ma con cosa le fanno quelle orripilanti cose arancioni e gialle che sono nei panettoni?”; poi mi sono fermata qui, altrimenti comincio a chiedermi anche con quali uova e quale zucchero e quale “qualsiasicosa” fanno i panettoni artigianali i pasticceri che competono al Re Panettone, altrimenti finisce che l’assaggio “artigianale” non lo faccio più.
A meno che tu non abbia da suggerirmi qualcuno a Napoli nella zona di Chiaia… ché trovare un artigiano del panettone, pure consapevole, sarebbe il TOP!
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