Man mano che accumulo informazioni su un determinato argomento sento il bisogno di annotarle su queste pagine, e quando cominciano a essere tante mi sento esplodere se non ve le racconto. Ho sempre la sensazione di poter dimenticare ciò che apprendo, e che se lo spargo qui sulla rete invece qualcuno possa raccogliere e seminare questi concetti.
Stavolta la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato questo articolo uscito qualche giorno fa sul Cambiamento; niente di nuovo per me, soprattutto dopo la conferenza di Alex Podolinsky alla quale ho assistito, di cui vi parlerò presto. Solo il punto di vista è diverso, e scuote molto.
L’autore del post cita alcuni studi pubblicati su un libro uscito da poco, Grass, soil, hope (erba, suolo, speranza), di un certo Courtney White, archeologo e fondatore di un’associazione molto interessante che si prefigge obiettivi ambiziosi e coraggiosi nell’ambito dell’ecologia, dell’economia e della salute pubblica.
Vi cito solo alcune delle terrificanti conclusioni alle quali giunge l’autore del libro, partendo dall’affermazione che frutta e verdura provenienti da coltivazioni convenzionali (basate su monocoltura, fertilizzanti sintetici, pesticidi e insetticidi) contengono solo tracce dei principi nutritivi presenti in quella che cresce in modo consapevole.
“Uno studio (del 2004, n.d.r.) che ha analizzato il contenuto dei vegetali dal 1930 al 1980 ha scoperto che i livelli di ferro sono diminuiti del 22% e il calcio del 19%. In Inghilterra tra il 1940 e il 1990 il contenuto di rame nei vegetali è calato del 76% e il calcio del 46%.”
Il motivo di questa perdita di minerali è dovuto al progressivo impoverimento della terra: “Il suolo terrestre è una miscela dinamica di particelle rocciose, acqua, gas e microrganismi. Una tazza di terra contiene più microrganismi di quante persone ci siano sul pianeta. Questi microbi vanno a costituire il tessuto alimentare del suolo, una catena complessa che inizia con i residui organici di piante e animali e che coinvolge batteri, funghi, nematodi e vermi; decompongono la materia organica, stabilizzano il suolo e aiutano la conversione dei nutrienti da una forma chimica ad un’altra. La ricchezza nella diversità dei microbi in un terreno ha effetti su molte proprietà, come l’umidità, la struttura, la densità e la composizione nutritiva. Quando i microbi vanno perduti, si riducono anche le proprietà del suolo che permettono di stabilizzare le piante, di convertire le sostanze nutritive e di svolgere tutte le altre funzioni vitali.”
Hannah Bewsey e Katherine Paul, dell’Organic Consumers Association spiegano che “L’azoto è uno dei tre nutrienti essenziali per il suolo – proseguono Bewsey e Paul – gli altri due sono potassio e fosforo. Ma perché l’azoto possa nutrire le piante, deve essere convertito da ammonio a nitrato.
I microbi del terreno, sensibili al ciclo dell’azoto, fanno questa conversione alimentandosi di materia vegetale decomposta, digerendo l’azoto che vi è contenuto ed eliminando ioni di azoto. Cosa accade quando nel suolo non ci sono questi microbi? Gli agricoltori spesso ricorrono a fertilizzanti contenenti azoto, ma l’uso eccessivo porta ad averne una quantità eccessiva che va oltre la capacità di conversione dei microbi stessi, quindi troppo azoto uccide le piante.”
E aggiungono che “il sistema immunitario umano si sviluppa grazie agli stimoli ambientali cui è esposto; quando carne e vegetali mancano di determinati batteri e microbi, i bambini non riescono a formulare risposte immunitarie precoci e quindi possono sviluppare allergie. La soluzione sta nel convertire allevamenti e aziende agricole industriali in allevamenti con sistemi naturali e fattorie biologiche”.
Alla fine dell’articolo si parla anche di agricoltura rigenerativa. Non ne avevo mai sentito parlare in questi termini, ma leggendo questo post mi sono resa conto che alla fine non si tratta d’altro che quello di cui parliamo da anni proprio qui, nella nostra rubrica sull’agricoltura in cui ho inserito anche questo articolo.
Come spesso accade su Facebook, la discussione si è arricchita di varie considerazioni, tra cui quelle di una persona (grazie di cuore, Monia!) che ci segue spesso e che ci ha segnalato un’altra situazione veramente assurda, collegata anch’essa alla presunzione umana (e alle sue numerose brucianti sconfitte). Conoscete già la storia della diga di Assuan?
Vi cito le parole di Monia: “Vogliamo parlare anche della genialata della diga di Assuan? prima che la costruissero il limo del Nilo garantiva 3 o 4 raccolti l’anno grazie al fertilizzante naturale sparso per i campi con i sistemi di chiuse antico 5mila anni ma ancora efficacissimo. Da quando hanno pensato di produrre idroelettricità dalla diga hanno allagato una delle necropoli più belle e antiche, smontando a cubetti solo la facciata per ricostruirla più in alto e farla fotografare dai turisti.
L’idroelettrico fa poco o niente perchè tutto si intasa col limo, e il limo estratto dalla diga, costituito da microorganismi che han bisogno di acqua in movimento per ossigenarsi, è inutile, pechè nel fondo della diga tutti i microrganismi e i batteri muoiono.
Così ora lungo il Nilo spargono i concimi chimici, ossia spargono sale sulla terra strappata al deserto, accelerandone ancor più la desertificazione (e da loro, senza l’inverno, il processo è decine di volte più veloce che da noi).
Altri contro, riassunti in wikipedia: La realizzazione della diga di Assuan ha avuto grandi conseguenze sul fragile equilibrio dell’ecosistema che durava ormai da migliaia di anni, soprattutto perché in fase di progettazione non si è tenuto conto dell’impatto ecologico che l’opera avrebbe avuto sulla fauna, la flora e anche l’economia delle popolazioni che abitavano la zona.
Le conseguenze ambientali sono state numerose, si possono elencare: sedimentazione eccessiva nelle acque a monte della diga, erosione di quelle a valle, scomparsa di specie che migravano lungo il corso del Nilo, distruzione e aumento della salinità dei delta (con la diminuzione della forza del Nilo, le acque salate del Mediterraneo sono avanzate lungo il Nilo), diminuzione della produttività della pesca lungo il fiume, diminuzione della fertilità dei terreni a valle della diga perché senza inondazioni il limo non raggiunge il suolo, migrazione di animali marini nel fiume a causa dell’aumento della salinità, aumento del livello delle acque freatiche nei campi vicini al fiume con conseguente ristagno idrico (che a sua volta provoca la diffusione di patogeni fungini), inquinamento del fiume dovuto a fertilizzanti e pesticidi.
Per le popolazioni c’è stato un aumento di rischi sanitari visto che i canali di irrigazione e le rive del lago Nasser sono l’habitat ideale di animali che trasmettono malattie come la zanzara Anopheles che trasmette la malaria e alcune lumache che diffondono il parassita della bilharziosi.”
Tutto questo ha un solo denominatore in comune: la paura. È il momento di aprire le ali e liberarsene, non dalla sana paura che ci tiene lontani dal pericolo, ma dalle ansie inutili e nocive che ci sono state inculcate a forza di terrorismo psicologico dai media e da tanti pseudo professori terrorizzati loro per primi.
Provate a mettere il naso fuori, a respirare l’aria della realtà e della fiducia, nel mondo e nella gente, e a sentire quanto è fresca, serena e tranquillizzante. Non si tratta solo della crisi del capitalismo, qua, ma abbiamo bisogno di un vero e proprio cambio di paradigma, cambio che a parere di molti può, e deve, venire dalla terra. Se non ora, quando?
Grazie Sonia, il tuo articolo mi tocca enormemente, in questi ultimi mesi sto studiando tantissimo per montare un piccolo progetto di orto condiviso, e l’obiettivo è quello di coltivare “sur sol vivant”, la natura come modello. Lavorare nel rispetto della vita della terra e della biodiversità, perché la terra riapprenda a prendere cura di sé stessa, coltivare avendo a cuore di arricchire la terra e nutrirne la vita, e tutto ciò nel cuore di una metropoli! Non è forse una sfida meravigliosa? Un orto è un organismo vivente!