Nel post precedente ho paragonato il diaframma a una ciambella piatta dal buco regolabile. A parte il paragone culinario, questo strano oggetto è responsabile della riuscita delle nostre foto: si occupa non solo di regolare la luce che entra nella macchina, ma anche della qualità della nostra composizione finale.
profondità di campo
Parliamone un po’, di questo diaframma-ciambella, che assolve la funzione che nell’occhio umano è svolta dall’iride, che dilatando e restringendo la pupilla permette alla luce di entrare a seconda delle condizioni di illuminazione.
Ad esempio se c’è molta luce l’iride restringe la pupilla, se invece ce n’è poca la dilata.
Simulando l’occhio, il diaframma è composto da una serie di lamelle metalliche sovrapposte. Azionando una ghiera sull’obiettivo (che oggi sulle moderne reflex è scomparsa – poi vedremo perché) possiamo regolare a nostro piacimento e a seconda della quantità di luce dell’ambiente la grandezza di questo “buchino”.
Questa regolazione si effettua attraverso una serie di strane sigle che sono stampate sull’obiettivo: non sono altro che una scala di intervalli regolari dell’apertura del diaframma, detti numeri f, f/stop, solo stop o più semplicemente diaframmi.
Guardate la ghiera dell’obiettivo della vostra macchina fotografica manuale (nelle reflex digitali questi valori si trovano nel menù elettronico che appare sul monitor); troverete una sequenza di questo tipo:
uso del diaframma
Lo so, vi ho promesso che non avremmo parlato di matematica; tranquilli, queste sigle possono sembrarvi un po’ strane adesso, ma poi, prendendoci confidenza e cercando di capire a che si riferiscono, risulterà tutto più facile.
Per prima cosa devo dirvi che nella fotografia, per quanto riguarda i numeri, funziona un po’ tutto al contrario; mi spiego meglio.
Per impostare un diaframma più aperto (e quindi per avere più luce dentro la macchina) bisogna spostare la ghiera dei diaframmi verso un numero basso (per esempio 1,4). Per chiudere il diaframma invece (e avere quindi meno luce nell’obiettivo) bisogna spostarsi verso i numeri alti (per esempio 22).
Possiamo subito dire che passando da un valore all’altro la luce che passa attraverso il diaframma si riduce ogni volta della metà: regolando il diaframma su f/1 passa la quantità massima di luce, su f/1.4 ne passa la metà, su f/2 ancora la metà rispetto a prima e così via.
Nota tecnica (se volete potete saltarla): il diaframma è un rapporto derivante da una divisione; il numero relativo al diaframma impostato deriva dal numero divisore della frazione. Per esempio 1/22 viene rappresentato solo col numero che divide e cioè 22; questo “22” indica la misura del buco dal quale passa la luce all’interno dell’obiettivo e più esattamente si calcola con la formula: lunghezza focale dell’obiettivo/diaframma impostato. Per chi sapesse (ma comunque ne parleremo in sèguito) a cosa mi riferisco con “lunghezza della focale”, possiamo dire che l’apertura del buco di un obiettivo 50mm a f/22 è 50mm/22= 2,27 mm.
Proviamo a inserire tutto questo nella pratica. Se mi trovo in un ambiente buio aprirò di più il diaframma (es. f/1.4) in modo da non far venire scura la foto; se invece sono in spiaggia sotto il sole chiuderò il diaframma (es. f/22) in modo da non farla venire troppo chiara o slavata.
Naturalmente in diaframma non serve solo a questo. La sua funzione principale è una di quelle che influenza di più la qualità creativa dei nostri scatti.
Cominciamo col dire che aprendo o chiudendo il diaframma variamo anche un altro parametro della composizione della nostra foto, ossia quella che viene chiamata profondità di campo.

La profondità di campo è lo spazio inquadrato dalla fotocamera entro il quale ciò che stiamo fotografando risulta ragionevolmente a fuoco. Più chiudiamo il diaframma (andiamo verso numeri alti) più aumenta la profondità di campo (e quindi vedremo più cose a fuoco nell’immagine); più apriamo il diaframma (andiamo verso numeri bassi) più diminuisce la profondità di campo (e vedremo degli oggetti sfocati dietro o davanti al soggetto che stiamo fotografando e che mettiamo a fuoco come soggetto principale della nostra composizione).

Mettere a fuoco un soggetto significa fare in modo che questo soggetto risulti nitido e dai contorni ben definiti all’interno dell’inquadratura. Le macchine moderne (compatte e non) hanno dei motorini microscopici che azionano delle lenti all’interno dell’obiettivo, e che ci permettono, inquadrando, di scegliere cosa mettere a fuoco. Solitamente questo automatismo si attiva premendo a metà il pulsante di scatto: in un attimo (spesso è così) vedremo un rettangolino sul display della macchina o all’interno dell’oculare diventare verde e sentiremo un beep che ci conferma il successo dell’operazione.
Torniamo alla profondità di campo. Nelle foto di cucina (anche quelle che vedete qui sul pasto nudo) se ne fa uso (in maniera consapevole o meno) per valorizzare il piatto che stiamo fotografando. Attualmente va molto di moda fotografare i piatti con una ridottissima profondità di campo. Personalmente credo che questo valorizzi molto la composizione, ma se per caso vi trovate in casa riviste di qualche anno fa potete vedere che il modo di fare foto di food era completamente diverso.
Creare degli sfocati, a volte anche eccessivi, produce immagini che percepiamo più tridimensionali, più affascinanti, più reali, più poetiche; la tecnica è simile a quella che si usa per i ritratti delle persone: sfocare uno sfondo, lasciarlo solo intuire, dona risalto al soggetto principale, staccandolo dal contesto.
Vediamo meglio come funziona.
Ipotizziamo di voler fotografare tre palline colorate posizionate su un piano. Poggiamo la nostra macchina fotografica sullo stesso piano e mettiamo a fuoco la pallina verde.
A seconda del diaframma che avremo impostato varierà la profondità di campo, cioè l’area (indicata con il colore viola nell’immagine che vedete sotto) all’interno della quale gli oggetti risulteranno nitidi nella foto, anche se nel decidere l’inquadratura abbiamo puntato il fuoco solo sulla pallina verde.
profondità di campo
Nel caso di un diaframma aperto (f/1.4) sarà solo la pallina verde ad essere ben a fuoco. Se chiudo il diaframma (per es. a f/8) comincerò a vedere un pochino più a fuoco anche le palline che sono davanti e dietro il mio soggetto; se chiudo a f/22 vedrò tutti e tre gli oggetti a fuoco.
Potete ora capire le potenzialità di questo strumento. Qualcuno potrebbe chiedere: “scusa ma allora aprendo o chiudendo il diaframma, a parità di condizioni di illuminazione, tutte le foto dove voglio uno sfondo con una bella sfocatura saranno più chiare di quelle dove voglio che sia tutto a fuoco?”.
La risposta è *no*. Il diaframma non lavora da solo, ha un collega di cui dobbiamo parlare: il magico otturatore. Ne parleremo nella prossima puntata.