Mi sembrava passato un secolo dall’ultimo post e sono andata a verificare… che orrore, lo è!
E allora eccomi qui di buona lena a cercare di recuperare il tempo perduto. Sarà un post parecchio lungo, ma vi devo dire un sacco di cose e se avrete la pazienza di seguirmi, penso che lo troverete interessante (anche se non suggestivo come la foresta pluviale ;-).
fave di cacao
Eravamo arrivati alla maturazione dei frutti del nostro affascinante albero, faceva un caldo soffocante e le cabosse pendevano con i loro bei colori vivaci, pronte per essere raccolte (questo video non è un granché, ma dà un’idea di come si presentano gli alberi). Questa situazione si presenta normalmente due volte l’anno, una in cui il raccolto è più abbondante e pregiato e l’altra in cui il raccolto è più scarso e qualitativamente peggiore. Questi due periodi variano a seconda della zona di coltivazione.

Una cosa molto affascinante della lavorazione del cacao è che le prime fasi, quelle che avvengono presso il luogo di coltivazione, vengono svolte tendenzialmente a mano. Questo aspetto, che ha inevitabilmente dei connotati positivi, finisce in molti casi con l’essere fortemente negativo, soprattutto nella produzione industriale, perché il lavoro dei produttori locali non viene pagato adeguatamente. Sono anzi moltissimi i casi di sfruttamento minorile e di condizioni lavorative assolutamente aldilà del rispetto dei diritti umani. Essendo questo argomento di fondamentale importanza, non lo approfondirò in questa sede, ma gli dedicherò un articolo specifico.
Riprendiamo dunque a parlare delle prime fasi di lavorazione, manuali, immaginandole come dovrebbero essere eseguite (e per fortuna molte realtà di questo tipo esistono!). Le cabosse vengono raccolte a mano, con un coltello ricurvo, tipo un falcetto, a volte fissato ad una pertica se si devono raggiungere punti molto alti, e facendo attenzione a non danneggiare i fiori e i germogli vicini. Poi i frutti vengono aperti con un machete, nel senso della larghezza, facendo in modo di tagliare solo la scorza per non rovinare i semi all’interno.
dallecabosse03
Il tutto viene sottoposto a fermentazione, una fase in cui le fave cambiano il colore ed il sapore grazie all’azione di ben 16 lieviti diversi. La polpa ed i semi vengono messi a fermentare al buio in grandi contenitori, di materiali diversi a seconda della zona di produzione. La polpa deve essere frequentemente rigirata per consentire un processo uniforme ed impedire la formazione di muffe. Il tutto dura in media dai tre agli otto giorni.
Terminato questo processo le fave vengono messe ad essiccare per ridurre l’umidità fino al 6-7% e consentire la volatilizzazione dell’acido acetico formatosi durante la fermentazione (tutta questa cosa non vi ricorda un po’ quell’esserino bianco e liquido di nostra conoscenza?!?). Quest’operazione può avvenire artificialmente in essiccatoi o al sole, ma, neanche a dirlo, quella eseguita con l’aiuto della nostra stella più vicina è la migliore.
Con lo stoccaggio in sacchi, termina la lavorazione sul luogo di coltivazione. Da qui le fave vengono spedite ai produttori di cioccolato che si occupano della successiva trasformazione. Alcune aziende, piuttosto rare, posseggono piantagioni proprie e garantiscono così, livelli qualitativi più alti ed un controllo del processo produttivo molto più efficace.

I nostri bei semi di cacao una volta giunti a destinazione vengono prima ripuliti dai corpi estranei (sassi, terra, residui di lavorazione) e poi sottoposti a tostatura, un po’ come avviene per il caffè; l’operazione favorisce alcune importanti azione enzimatiche e sviluppa gli aromi che poi saranno caratteristici del cioccolato.
Le fave tostate vengono poi inserite nel frangicacao che separa il cuore del seme, il cotiledone, dalla buccia esterna. Il cuore costituisce la materia prima essenziale del cioccolato, da questo momento in poi nulla più sarà scartato. Le fave di cacao che troviamo in commercio (in realtà in Italia ne esistono di un unico marchio, venduto solo in alcuni negozi) non sono altro che il cuore del seme del nostro albero tropicale e la granella che troviamo in alcune tavolette (e che mi sfiziava includere nella caprese di Izn qualche post fa…) è proprio questo cuore frantumato.

La lavorazione prosegue con la macinazione che trasforma le fave in una massa liquida, tramite la rottura delle pareti cellulari che fa fuoriscire la materia grassa del cacao: il burro di cacao.
Lasciatemi ora spendere qualche parola su questo grasso. Mi è capitato spesso di ascoltare dalle persone opinioni davvero bizzarre sul cioccolato e sul burro di cacao, a dimostrazione del fatto che le informazioni diffuse dai media a livello divulgativo sono davvero equivoche, per non dire colposamente sbagliate.
Il seme del cacao è composto da una parte grassa, il burro di cacao appunto, di colore giallino chiaro, e da una parte fibrosa di colore marrone. Entrambe queste componenti sono importantissime per il cioccolato e hanno proprietà indiscusse da un punto di vista nutrizionale. Dunque non sono da demonizzare. In particolare il burro di cacao è l’unico grasso vegetale nobile che rimane solido a temperatura ambiente. Normalmente i grassi che a temperatura ambiente sono solidi (come quelli della carne per capirci) sono saturi e pertanto relativamente dannosi per l’organismo (nel senso che andrebbero fortemente limitati). Il burro di cacao invece, è costituito da una miscela di grassi monoinsaturi, polinsaturi e saturi, tale che risulta perfettamente equilibrata e dunque non dannosa per l’organismo. E’ anche importante dire, ma ci tornerò più avanti, che la percentuale di cacao espressa in etichetta in riferimento al cioccolato, non indica il cacao in polvere, ma il cacao in quanto materia prima originale, ossia le fave di cui sopra e dunque sia il burro di cacao che la parte fibrosa.
Ma torniamo alla nostra massa liquida… la maggior parte delle case a questo punto separa il burro di cacao dalla parte fibrosa del seme, sia per poter destinare il burro di cacao ad altri usi (cosmetica o produzione del cioccolato bianco), sia per ottenere la polvere di cacao (dalla fibra), sia per poter successivamente gestire la miscela tra burro di cacao e fibra, necessaria alla produzione del cioccolato fondente e al latte, in modo personale.
In Italia esiste un’azienda (la stessa delle fave di cui sopra) che rispetta l’equilibrio tra grasso e fibra contenuto nel seme e lo conserva intatto fino alla tavoletta, separando il burro di cacao dalla fibra solo per ottenere cioccolato bianco o cacao in polvere.
cocoa manufacturing
Qualsiasi sia la modalità scelta comunque, sia che la miscela sia decisa dalla ditta produttrice, sia che sia decisa dalla Natura, la massa viene sottoposta ad un’operazione di raffinazione che riduce le particelle a pochi micron ed aumenta in questo modo la palatabilità del prodotto finale. In questa fase viene anche aggiunto lo zucchero e, nel caso del cioccolato al latte, il latte in polvere.
Una volta che la massa è stata raffinata deve essere sottoposta a concaggio. Questa operazione consiste in un mescolamento continuo del cioccolato a temperatura controllata che fa si che venga eliminata l’ultima umidità residua e che vengano dispersi e omogeneizzati perfettamente lo zucchero e la parte secca del cacao nel burro di cacao. La durata ideale per il concaggio è di 72 ore, ma sono pochi i produttori che ancora concano per così tanto tempo.
È un peccato perché questa lavorazione rende il cioccolato molto più scioglievole e vellutato.
L’ultimissimo passo di questo lungo processo è l’unica fase di cui chiunque abbia avuto a che fare un pochino con il cioccolato in cucina ha sentito parlare: il temperaggio.
Per poter spiegare in cosa consiste devo dare una breve spiegazione della struttura molecolare del burro di cacao. Si tratta di un grasso un po’ particolare… è polimorfo! Ossia si diverte a cambiare forma ai suoi cristalli in base alle condizioni di temperatura. Simpatico no? Bè, per poter ottenere un cioccolato lucido, che si spezza con facilità, si stacca perfettamente dagli stampi, non si scioglie tra le dita, ma lo fa subito a contatto con il palato, la forma dei cristalli da ottenere è quella più “compatta”, come se volessimo mettere insieme le celle di un alveare che invece di essere tutte belle ordinate se ne stanno lì ammonticchiate con un sacco di spazi vuoti in mezzo… vabbè io non sono una chimica e non ho pretese di essere esauriente, ma il principio generale è un po’ quello (se volete approfondire potete andare a leggere ciò che dice il Bressanini qui).
Dunque per fare questo bisogna temperare il cioccolato. Riguardo le tecniche di temperaggio casalinghe avremo modo di parlarne a tempo (atmosferico) debito (probabilmente in autunno, anche se lì arriverà Gaia e allora…).
Per ora ci basti sapere che prima di diventare una tavoletta, la nostra massa concata viene sottoposta ad una mescolatura continua con contemporaneo cambio di temperatura, in apposite macchine dette temperatrici. E poi finalmente viene colata negli stampi e confezionata! Ecco… è stata lunga, ma ce l’ho fatta!
Prima di lasciarvi, però, voglio riprendere un momento il discorso sulle percentuali di cacao e sui vari tipi di cioccolato esistenti e le loro componenti.
Abbiamo capito che la percentuale di cacao espressa in etichetta è relativa al quantitativo di massa derivante da fave di cacao contenuta nel prodotto.
Dunque un 70% di cacao ci dice che ci sono fave di cacao per il 70% della sua composizione, ma non ci dice quanto di questo 70% è burro di cacao e quanto fibra. A volte ci possono venire in aiuto le tabelle nutrizionali messe in etichetta, ma spesso sul cioccolato sono assenti. Poco male, tanto se si decide di mangiare cioccolato vuol dire che non si sta a dieta e dunque chissene di quanti grassi ci sono, no?!? Il restante 30% della tavoletta è costituito da zucchero.
Alcune case utilizzano anche una piccolissima dose di lecitina di soia (sempre compresa in quel 30%) come emulsionante. Al di là del fatto che non è un elemento necessariamente da demonizzare (Giannattasio la elenca tra gli additivi naturali e permessi nel biologico, l’unico inconveniente potrebbe essere la provenienza OGM, ma nel biologico non è consentita). Essendoci aziende (molto serie) che non la usano è segno evidente che è del tutto superflua e quindi noi, da bravi pastonudisti, scegliamo senza indugio i cioccolati che non la contengono :-).
Dunque un buon cioccolato fondente è composto esclusivamente da cacao (intendendo fave) e zucchero.
Se in etichetta c’è scritto anche burro di cacao, significa che esso è stato aggiunto per aumentare la scioglievolezza al palato: non si tratta di un elemento dannoso o non salutare. È solo un cioccolato un po’ più grasso. Una tavoletta al latte conterrà oltre a questi due elementi anche del latte in polvere.
Una tavoletta di cioccolato bianco, invece, sarà composta esclusivamente da burro di cacao, zucchero e latte in polvere.
Sul latte in polvere ci sarebbe da chiacchierare in realtà, ma direi che per questa volta ho scritto abbastanza.
Vi lascio in calce qualche altro filmato, casomai vi interessasse. Alla prossima!
Il cioccolato su youtube:
Filmato interessante di un’azienda equo e solidale (in inglese)
Per farsi un’idea della tipica coltivazione di cacao (in inglese)
Filmato della Domori sulla trasformazione delle fave in cioccolato