Come vi ho anticipato nella prima parte di questa trattazione, oggi vi parlerò degli ingredienti che non sono standard: quelli che non dovrebbero proprio comparire (per motivi di salute) e quelli che a mio parere non dovrebbero esserci (perché sono una purista!).
etichette cioccolato
Il primo e più importante sono i grassi sostitutivi del burro di cacao, il cui uso nel cioccolato è stato introdotto in Italia dal 3 agosto 2003 per recepire una direttiva europea, che generò reazioni negative nel nostro paese. Ci siamo battuti per non farla passare, purtroppo senza successo.

Questa direttiva consente ai produttori di cioccolato di inserire in una tavoletta fino al 5% del suo peso in grassi diversi dal burro di cacao; questi sono il burro di illipé, l’olio di palma, il grasso e la stearina di shorea robusta, il burro di karité, il burro di kokum e il grasso di nocciolo di mango.
I produttori che li utilizzano sono obbligati ad apporre la scritta “contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao”, ma attenzione è sufficiente che essa sia grande come gli ingredienti e in grassetto… e se non sei abituato a leggere l’etichetta è ovvio che ti sfugga.
Le motivazioni della direttiva si possono ricercare in alcuni “vantaggi” che tali grassi comportano: in primis hanno un costo molto più basso rispetto al burro di cacao, in seconda istanza, avendo un punto di fusione più alto, rendono il cioccolato più resistente alle alte temperature e quindi commerciabile anche in paesi più caldi; inoltre diminuiscono l’affioramento del burro di cacao e conferiscono al prodotto una conservabilità maggiore. Il tutto a discapito della qualità del cioccolato in termini di gusto, di consistenza e, cosa fondamentale, della sanità. Non solo: la direttiva ha avuto un effetto molto negativo sull’economia dei paesi produttori di burro di cacao, i quali si sono visti scendere la domanda improvvisamente da parte di molti importatori contemporaneamente.

L’Italia ha contrastato la direttiva prevedendo che i produttori che non utilizzano questi grassi possano scrivere in etichetta “cioccolato puro”. La mossa è apprezzabile, ma certo non sufficiente; oltretutto è un po’ fuorviante visto che tale dicitura è opzionale (quindi se non è riportata non è detto che il cioccolato contenga grassi diversi) e in più non è chiarissima potendo essere interpretata in altri modi. Insomma, bisogna saperlo che sta in etichetta per quel motivo e non è detto lo si sappia.
Per fortuna a tutt’oggi nessun produttore italiano ha mai fatto uso di questi grassi, anzi si sono tutti opposti con fermezza comprese le grandi industrie (addiritturà la Nestlé che è proprietaria della Perugina!). Dovete stare attenti a questo aspetto invece se acquistate cioccolato straniero, soprattutto proveniente dal Nord Europa.

Un’altra categoria di ingredienti a cui bisogna prestare moltissima attenzione sono i dolcificanti, sempre più presenti nei prodotti di cioccolateria, per renderli appetibili a chi ha problemi con il picco glicemico o con la linea. Teoricamente è una categoria che non ci interessa, in quanto non mi risultano edulcoranti permessi nel biologico (o almeno così mi pare di aver capito dalla preziosa guida del Professor Giannattasio) e abbiamo detto che è preferibile scegliere cioccolato bio e fair trade; ad ogni modo voglio spenderci due parole, tanto per fare chiarezza.
Premesso che se si hanno problemi molto seri con lo zucchero è il caso di evitare gli alimenti che lo contengono, trovo davvero poco sensato acquistare del cioccolato con dolcificanti per ragioni di linea. Una tavoletta da 100 grammi di cioccolato al 70% contiene 30 grammi di zucchero, e dal momento che se ne consuma solo un pezzetto l’apporto in zucchero è davvero ridotto. Come abbiamo ormai cominciato ad apprendere da altre rubriche di questo blog, l’aggiunta di determinati ingredienti viene fatta (e decantata) esclusivamente per motivi commerciali e non certo per aumentare gusto o proprietà organolettiche e di sanità del prodotto. Quindi se vi dovesse saltare il pallino di comprare un cioccolato non bio con edulcoranti perché non volete ingrassare ma una cosina ve la volete concedere, fatevi un favore: degustate una decina di grammi di un’ottima tavoletta al 70% bio: avrete appagato il palato, non vi sarete fatti del male e avrete ingerito solo 3 g di zucchero :-)
Ora passiamo invece agli ingredienti che, pur non essendo nocivi, a mio parere non dovrebbero comparire in un’etichetta di cioccolato perché semplicemente il cioccolato si fa in un altro modo, e se si fa così una ragione esiste.
Ho appena parlato di dolcificanti, e mi viene in mente che senza ricorrere a questi additivi è possibile comunque sostituire lo zucchero con altri zuccheri naturali. Fino ad ora mi è capitato di incontrare solo lo sciroppo di agave (nell’etichetta di cui parlavo in apertura del post) e la motivazione del suo utilizzo era che trattandosi di un prodotto per crudisti, si aveva la necessità di usare ingredienti che potessero essere miscelati a freddo.
Lo sciroppo d’agave è un ottimo sostituto dello zucchero (anche se il suo altissimo contenuto in fruttosio pare possa generare problemi di aumento dei trigliceridi. Vorrei però mettere in evidenza le differenze che ci sono tra un cioccolato prodotto con zucchero e uno prodotto con sciroppo d’agave. A livello di sapore non cambia nulla, il succo d’agave è insapore e dunque svolge una funzione solo dolcificante. Il problema vero è la consistenza. Il succo d’agave infatti contiene anche una minima parte di acqua, e questo fa sì che la miscelazione con il burro di cacao generi un’emulsione che per sua natura non può avere la consistenza del burro di cacao (che in forma stabile, cioè temperato, è croccante, ricordate la caratteristica dello snap?). Di conseguenza cambia anche il modo di sciogliersi in bocca e dunque la modalità di ricezione degli aromi.
Un altro ingrediente apparentemente “normale” è il cacao in polvere. Devo dire che sono davvero perplessa dalla sua presenza in alcune etichette, in alcuni casi come primo ingrediente! La meravigliosa esperienza della degustazione del cioccolato è data da un’equilibrata coopresenza di burro di cacao in cristalli stabili (cioè temperato) che veicola gli aromi e rende il cioccolato scioglibile in bocca, e di fibra di cacao, che è invece lo scrigno che contiene il gusto e gli aromi primari e secondari. Questi due ingredienti sono presenti entrambi nella pasta di cacao.
A quanto pare l’obiettivo delle aziende che aggiungono cacao in polvere alle loro tavolette è quello di renderne il gusto più forte e intenso. Trovo la faccenda sconveniente per due ragioni: la prima è lo squilibrio che si rischia di creare tra la parte grassa e la parte secca che potrebbe rendere il cioccolato troppo asciutto e poco gradevole; la seconda è che per avere una tavoletta dal gusto più intenso ed aromatico occorre utilizzare delle fave di cacao di ottima qualità e con le caratteristiche che poi si vogliono avere nel cioccolato, non aggiungere del cacao in polvere. Personalmente non sceglierei una tavoletta che contiene cacao in polvere tra gli ingredienti, perché a mio parere denuncia un produttore poco attento alla selezione della materia prima.
Infine vorrei citare un ingrediente che a me sta molto simpatico, ma la cui presenza trovo decisamente inopportuna in una tavoletta di cioccolato: l’olio di cocco extravergine. Si tratta della parte grassa della noce di cocco, che può essere ottenuta in vari modi. Quello consapevole è la spremitura a freddo della polpa fresca, che non prevede solventi e preserva le caratteristiche nutritive e di gusto del prodotto. È composto per circa il 90% di acidi grassi saturi a catena media, in particolar modo da acido laurico, un acido grasso che alza contemporaneamente i livelli di colestero cattivo (LDL) e buono (HDL), compensando così l’effetto negativo.
Studi di laboratorio non ancora supportati da studi clinici, hanno riscontrato che l’acido laurico ha alcuni effetti positivi sull’organismo, come supportare il sistema immunitario e quello nervoso e accelerare il metabolismo; inoltre pare abbia un effetto antivirale, antimicrobico e antimicotico. È bene sapere che il grasso di cocco è utilizzato da secoli dalla medicina ayurvedica (ovviamente si parla sempre di consumo moderato). Malgrado questi pregi però, se aggiunto ad una tavoletta ne altera il sapore (il grasso di cocco extravergine sa *molto* di cocco!) e soprattutto la consistenza, dal momento che il suo punto di fusione è più basso di quello del burro di cacao e la sua consistenza da solido totalmente diversa. Dunque nelle tavolette di cioccolato a mio parere il grasso di cocco non dovrebbe comparire.
Ora che vi ho stremato con gli ingredienti passo a parlarvi del resto dell’etichetta, che contiene comunque informazioni importanti.
La prima che salta all’occhio quando si acquista una tavoletta è la percentuale di cacao contenuta. Anche se ho già affrontato l’argomento in questo post vorrei riprenderlo velocemente.
La percentuale di cacao di una tavoletta esprime il contenuto di materie prime derivanti dalle fave di cacao, ovvero pasta di cacao e burro di cacao e, se previsti, cacao in polvere e granella di fave di cacao. È un’informazione importante, ma che presa da sola esprime solo parzialmente il carattere gustativo del cioccolato che acquistiamo. Esso infatti dipende moltissimo anche dal tipo di cacao utilizzato e dal paese o dalla piantagione di origine. Purtroppo non sempre queste notizie sono presenti sull’incarto, anzi direi che la prima delle due non l’ho mai incontrata su un cioccolato biologico fair trade (mentre molti famosi artigiani non consapevoli la riportano).
Più facile invece è incontrare in etichetta il paese di origine, che anche nei cioccolati del mondo bio è diventato un modo per far intendere al consumatore che c’è un’attenzione alla selezione del cacao (anche se un paese intero è normalmente molto vasto e e può produrre cacao di vario tipo a seconda della zona). Non approfondisco oltre questo argomento perché altrimenti ne uscirebbe un trattato che peraltro non ha molto a che vedere con la consapevolezza nel senso pastonudista, bensì con quella di degustazione, se così si può dire. Se qualcuno di voi fosse interessato me lo faccia sapere, che magari potrei pensare ad un post specifico.
Un’altra informazione importante è quella relativa al produttore. Negli ultimi anni il mercato della grande distribuzione è stato invaso da tavolette di cioccolato che riportano il marchio del supermercato, e sempre più spesso si tratta di tavolette biologiche che sono anche fair trade. Se andate a leggere tra le righe scritte piccole piccole sul retro delle confezioni è possibile che scopriate anche il marchio di chi le produce, anche se alle volte compare solo lo stabilimento. Per quanto il fenomeno appaia come una cosa buona (avvicina il grande pubblico al concetto di biologico e fair trade), trovo che questi prodotti siano da evitare se si vuole degustare davvero un buon cioccolato.
Tanto per cominciare un ottimo prodotto riporta sempre il nome di chi lo ha fatto veramente perché esso è il primo biglietto da visita del produttore e gli fa pubblicità; in seconda istanza la grande distribuzione non potrà mai rivolgersi a degli artigiani, piccoli o grandi che siano, perché la domanda che deve soddisfare è troppo ampia; in ultimo penso che i controlli sulle certificazioni biologica e fair trade siano molto meno affidabili e passibili di “sviste” se inseriti in sistemi grandi come quelli. Fanno eccezione i cioccolati di alcuni marchi biologici e/o di mercato equo che affidano esclusivamente la trasformazione delle fave di cacao in tavoletta ad aziende attrezzate a farlo, ma che curano personalmente la scelta della materia prima all’origine e si preoccupano che i coltivatori di cacao siano trattati equamente (per esempio AltroMercato o Alce Nero).
Due paroline anche sul peso. Siamo abituati a pensare le tavolette in unità da 100 grammi, ma quando un cioccolato è di alta qualità può capitare che sia venduto in pezzature più piccole e non è detto che la cosa sia visibile ad occhio nudo, perché magari può variare lo spessore della tavoletta. Il mio consiglio è di buttare sempre un occhio al peso del cioccolato che state acquistando.
Altra informazione importante è la scadenza. Ovviamente più essa è vicina e più la nostra tavoletta sarà stata prodotta indietro nel tempo e dunque sarà meno “fresca” (mmmhhh, il termine lascia un po’ a desiderare, ma mi avete capito no?). Il consiglio è quello di acquistare cioccolato con la scadenza più lontana possibile perché nel tempo, specie se non è conservato ottimamente, le sue caratteristiche scemano (come per tutti i prodotti non finti).
Sappiate inoltre che mangiare del cioccolato fondente scaduto non vi procurerà alcun danno, mentre vi sconsiglio di fare lo stesso con un latte o un bianco (per via della presenza del latte in polvere). Certamente una tavoletta scaduta non avrà più le sue caratteristiche per cui non ne varrà molto la pena… conviene farci un dolce!
Infine aggiungo che è possibile che aprendo una tavoletta non scaduta possiate trovarla non uniforme e lucida, ma opaca o con striature bianche o puntinata. In questo caso siamo davanti ad un cioccolato mal conservato (che nella maggioranza dei casi ha subìto shock termici). Se si tratta di un fondente potete farci un dolce come sopra, ma il mio consiglio è quella di riportarlo indietro a chi ve l’ha venduto segnalando il problema, che probabilmente non sarà solo del vostro pezzo, ma dell’intera fornitura.
Su alcune tavolette di pregio è possibile trovare delle indicazioni gustative. Ovviamente esse non hanno nulla a che vedere con la consapevolezza, ma trovarle aiuta la degustazione anche di chi non è abituato a ricercare gli aromi in quello che mangia. Tendenzialmente sono presenti su tavolette qualitativamente valide anche se, per darsi un’aurea di importanza, hanno cominciato ad inserirle anche alcuni produttori mediocri. Il mio parere è che se ci sono, sono le benvenute!
L’ultimissima informazione che voglio darvi (e poi giuro che mi taccio!) è un chiarimento su un tipo di prodotti che si trova sempre più di frequente nel mondo del cioccolato specialmente legato al biologico: il cosidetto raw chocolate. Nel corso del post ho accennato all’etichetta di un cioccolato per crudisti; il raw chocolate nasce infatti proprio dal principio del crudismo.
In sostanza questo tipo di cioccolato soddisfa la richiesta delle persone che consumano solo cibi che non sono stati sottoposti a processi di cottura. Il cioccolato nello specifico effettivamente non viene cotto, ma la sua lavorazione, specialmente nella fase di tostatura delle fave, richiede delle temperature più alte di quelle previste dai crudisti.
Acquistando un raw chocolate avrete un cioccolato ottenuto da fave tostate (e poi lavorate) a non più di 42°C, che conservano quindi una serie di caratteristiche nutrizionali che vanno perse a temperature più alte. Senza esprimere alcun giudizio riguardo questo modo di vedere le cose, del quale so davvero molto poco per farmene un’idea sensata, vi metto solo in guardia circa l’etichetta dei cioccolati per crudisti, che come già accennato nel post contengono spesso ingredienti che, seppure non dannosi, cambiano le caratteristiche gustative e palatali della tavoletta per come la conosciamo. Poi ovviamente si può anche scegliere di degustarli, basta leggere l’etichetta e sapere da essa quale tipo di consistenza e di sapore aspettarsi!
Fonti:
“La degustazione del cioccolato” di Roberto Caraceni, Hoepli
“Dizionario di scienza e tecnologia del gelato artigianale” di Luca Caviezel, Chiriotti Editore