Ma si può essere così ignoranti? Ogni due giorni scopro una cosa che non so. Mi ci vorrà tutta la vita per imparare il dieci per cento di quello che una donna degna di questo nome dovrebbe sapere, non avrò *mai* abbastanza tempo (eccolo, il bianconiglio che zac vede in me… è tardi! è tardi! e qualcuno mi porti i guanti bianchi) o_O
pannicolo ferro
È successo che ieri pomeriggio abbiamo deciso di fare una sortita a Sant’Oreste, visto che oltre ad essere un luogo molto ameno e con un panorama spettacolare, è anche sede di una delle nostre macellerie preferite, che si chiama Macelleria Monte Soratte, e di una libreria piccolissima dedicata ai bimbi, che ha un sacco di pubblicazioni che piacciono tanto alla pulcina, tra cui una serie di storie che riguardano un certo Topo Tip.
Carlo e Cristina, i proprietari della macelleria, hanno anche loro una bimba piccola e sono due persone molto carine, gentili, semplici e accoglienti. Il tipo di persone che piace a noi. Da loro in genere acquisto solo manzo, che pare sia certificato (non ho ancora indagato sull’ente certificatore, ma mi hanno invitato più volte a visitare l’allevamento biologico, cosa che non sono ancora riuscita a fare per carenza cronica di tempo), e un po’ di maiale, che non è certificato ma allevato in zona.
Il problema è che i maiali non sono certamente semibradi, e che sono nutriti con il cibo di casa di chi li alleva; sapete meglio di me che però il cibo di casa non è una garanzia. Ovviamente dipende da cosa uno è abituato a mangiare. Almeno però non essendo allevamenti intensivi non si parla di antibiotici, ormoni e via dicendo; e comunque, mi dispiace dirlo, ma il sapore della carne è cento volte migliore di quella (di maiale) che si trova nei supermercati bio.
Insomma, chiacchierando del più e del meno, Carlo mi tira fuori la storia del diaframma di vitello, che in paese da loro si usa da secoli per le carenze di ferro in gravidanza, e che si prepara in un modo un po’ particolare. Non aveva ancora finito di dire “carenze di ferro” che mi sono venute le orecchie di Dumbo e gli ho fatto subito fare un rewind.
carne e ferro
Cristina mi spiega che questo particolare pezzo di carne (che si trova sotto i polmoni e sopra lo stomaco, più o meno, e se non sbaglio serve appunto per la respirazione) è ricchissimo di ferro, e che lei durante tutto l’arco della gravidanza non ha mai avuto il minimo segno di anemia grazie al fatto che Carlo in quel periodo invece di venderlo il diaframma del vitello lo portava a casa :-)
Stiamo parlando sempre di quinto quarto naturalmente, cioè quel tipo di carne che in città di solito te lo tirano dietro, e che costa un quinto (sarà per questo che si chiama quinto-quarto, eh eh) di quello che costano la bistecca e il filetto.
Che ve lo dico a fare. Impacchettato e portato a casa.
Dopo di che, in notturna come al solito (ché, si può navigare con una bimba sveglia in casa?), mi sono data alle ricerche in rete, e ho scoperto che questo particolare taglio di carne si chiama pannicolo, che i blogger lo conoscono benissimo (come al solito io scopro i segreti di pulcinella, uè, uè), che lo cucinava anche l’artusi, e che le sue proprietà rigeneranti sono ben note.

Quello che però non ho trovato assolutamente è la preparazione di cui mi hanno parlato Carlo e Cristina, e che da loro si chiama da sempre “Consomé” (proprio con una sola emme). Un vero e proprio estratto di carne casalingo, frutto di quelle tradizioni popolari salutistico-mangerecce che adoro, e delle quali bisognerebbe fare un compendio scritto, visto che quello orale era fatto di persone molto anziane, che inspiegabilmente da una certa epoca in poi sono rimaste inascoltate.
Sepolte dalle mirabolanti scoperte della chimica farmaceutica, convinta che tutto ciò che esiste in natura possa essere ricreato identico in laboratorio. Ce ne siamo accorti. E che se il nostro organismo decide di avvertirci che c’è qualcosa che non va attraverso, che so, un mal di testa, o un mal di stomaco, la cosa migliore è togliere il volume al sintomo, così ci sembrerà di essere guariti.

Vabbeh, le mie solite filippiche, mi fermo, và! Che dopo la megaintroduzione la ricetta conterà giusto due righe. Come tutte le cose geniali, è di una semplicità commovente. Solo un’ultima nota sulla carne che rimane. Carlo mi ha detto di gettarla, ma non ne ho proprio avuto il cuore; so bene che dentro non c’era più nulla, e che, bioterapia docet, è praticamente indigeribile in quelle condizioni; ma siccome proprio la bioterapia suggerisce un metodo per renderla *un po’ più* digeribile, e cioè condirla con aceto, ci ho aggiunto un po’ di olio, sale, prezzemolo e aglio e l’ho mangiata come un bollito. Un po’ pesantuccia, ma sempre meglio che buttarla via :-P

Ingredienti:
mezzo pannicolo di vitello o di manzo
sale marino integrale (opzionale)

Tagliate la carne a strisce di un paio di centimetri di larghezza (o fatevela tagliare dal macellaio). Se acquistate un pannicolo intero tenete conto che questa preparazione non può essere fatta con carne che è stata surgelata, quindi o usate un vasetto *molto* grande o ne tenete da parte la metà per il giorno dopo.
Prossimamente vi posterò una ricetta velocissima per cucinarlo diversamente (vale a dire per mangiarlo, invece che… berlo).
Prendete un vasetto ben pulito, riempitelo con le striscioline di carne, chiudetelo molto bene e immergetelo in una pentola grande piena di acqua fredda. Galleggerà; come si direbbe a Napoli: “Lo fa. Lo deve fare”.
Carlo mi ha detto che ci vuole un’ora e venti da quando bolle. Io mi sa che l’ho tenuto di più, visto che mi ero dimenticata di chiedergli se la fiamma doveva essere alta o bassa e nel dubbio l’ho tenuta al minimissimo. Ad ogni modo, dovete aspettare che la carne tiri fuori tutto il suo succo.
Raggiunto il vostro scopo, tirate fuori il vasetto, apritelo, togliete la carne e versate il brodo in una tazza. Potete anche berlo così com’è, io ho preferito sgrassarlo perché altrimenti avrei passato la giornata al bagno.
Quindi ho coperto con un piattino, atteso che si freddasse, applicato la pellicola senza pvc e lasciato in frigo tutta la notte; come vedete nella foto si è formato un bello strato di grasso.
Il giorno dopo ho tolto il grasso con una spatola (viene via molto facilmente), ho riscaldato il brodo rimasto e l’ho bevuto, insieme alla pulcina che quasi mi strappava la tazza dalle mani.
Una meraviglia. Non c’è stato neanche bisogno di salarlo per quanto era buono. Per non parlare della musichetta di Braccio di Ferro che si sentiva in lontananza :-)