Nel suo libro autobiografico “La storia di San Michele” Axel Munthe così definiva quel disturbo che ai suoi tempi — siamo a cavallo tra l’800 e il 900 — era volgarmente chiamato “colite”: “una malattia conveniente, al sicuro dal coltello del chirurgo, adattabile al gusto di tutti. Nessuno sapeva quando veniva, nessuno sapeva quando se ne andava.”
Questo brillante medico, nonché scrittore di successo per caso, era convinto che si trattasse di una malattia immaginaria, di quelle alla moda che dilagano di tanto in tanto (oggi, per esempio, impazzano tante intolleranze alimentari fasulle che costringono ad assurde, e non di rado nocive, diete di restrizioni). Tutt’al più egli era disposto a dare credito ai suoi ricchi pazienti individuando le cause dei loro malanni intestinali nel fatto che “mangiavano troppo, troppi pasticcini e dolciumi durante il giorno, e pranzi troppo abbondanti la sera”.
La ricerca degli ultimi anni ha mostrato che le cose non stanno esattamente come credeva il nostro buon Munthe. La sua “colite”, oggi volgarmente chiamata “sindrome nervosa” o “colon spastico”, e battezzata dalla classe medica “sindrome dell’intestino irritabile”, è da annoverare tra i disturbi intestinali funzionali, vale a dire quelli nei quali non è possibile individuare un’alterazione organica a carico dell’intestino e, poiché tutti i test diagnostici di routine risultano negativi, la diagnosi è fatta, come si suol dire, per esclusione. Data la loro connotazione psicosomatica, possono richiedere un trattamento psicoterapico, oltre che farmacologico e dietetico.
Nel caso della sindrome dell’intestino irritabile (d’ora in poi la indicherò con il suo acronimo SII) è il circuito cervello/intestino con annesso cervello enterico ad andare in tilt. Da questa anomala condizione consegue una sfilza di effetti, ciascuno dei quali è responsabile di determinati sintomi.
Si altera la motilità dell’intestino e ciò porta a scariche diarroiche o a stitichezza. Aumenta la sensibilità viscerale e allora insorgono coliche a ripetizione. Si modificano la secrezione della mucosa intestinale e la sensibilità del sistema immunitario sottostante e ne consegue l’instaurarsi di una condizione di malassorbimento e spesso di intolleranza alimentare. Anche l’equilibrio della microflora intestinale se ne va a ramengo e fatalmente compaiono meteorismo, flatulenza e distensione addominale.
La SII ha una larga diffusione, arrivando in alcuni paesi — tra cui l’Italia — a interessare quasi un quarto della popolazione, con prevalenza del genere femminile.
La diagnosi di SII
Subito qualche precisazione. Se si soffre sporadicamente di diarrea o di stitichezza, di gonfiori o coliche intestinali, non vuol dire che si è afflitti dalla SII. La diagnosi di questo disturbo in verità non è per niente facile perché si ha a che fare con tanti sintomi identici a quelli di altre malattie (celiachia, sensibilità al grano non celiaca, allergia al grano, intolleranza al lattosio o al fruttosio). Deve essere il medico a pronunciarsi dopo accertamenti che tengono anche conto dei criteri per la diagnosi definiti da un comitato internazionale di esperti. L’ultimo documento di questo comitato è del dicembre 2016 ed enuncia quanto segue:
La SII si presenta con dolore addominale ricorrente, in media per almeno 1 giorno alla settimana negli ultimi tre mesi, associato ad almeno due delle seguenti condizioni:
– variazioni del dolore in relazione con la defecazione (attenuazione o peggioramento);
– cambi nella frequenza delle evacuazioni (aumento o riduzione per stipsi);
– cambi nella forma delle feci (feci diarroiche o dure).
Tali criteri devono essere soddisfatti per almeno 3 mesi con comparsa di sintomi almeno 6 mesi prima della diagnosi. A parte il dolore addominale, che è comune a tutti i pazienti, gli altri sintomi fondamentali (frequenza delle evacuazioni e forma/consistenza delle feci) possono variare da persona a persona. Può essere prevalente la costipazione (più frequente nelle donne), o la diarrea (più frequente negli uomini), oppure può essere più elevata per un periodo la frequenza della diarrea e per un altro quella della costipazione.
A complicare il quadro, ci sono anche pazienti i cui sintomi soddisfano i criteri di diagnosi di SII, ma sono ingarbugliati per quanto riguarda la frequenza delle evacuazioni e la forma delle feci. Tale distinzione è importante non solo ai fini terapeutici ma anche della scelta del regime alimentare.
Il grano
Tra gli alimenti che scatenano o aggravano i sintomi della SII il grano occupa un posto di rilievo. È stato infatti osservato che ci sono alcuni pazienti con SII che soffrono anche del disturbo che va sotto il nome di “sensibilità al glutine non celiaca” e che i loro sintomi possono migliorare col tempo se si adotta una dieta senza glutine.
Vale la pena di precisare che la sensibilità al glutine non celiaca, sebbene si presenti con sintomi intestinali ed extraintestinali simili a quelli della celiachia, è meno grave di quest’ultima perché manca l’atrofia dei villi intestinali, non c’è insorgenza di malattie autoimmuni e può anche guarire. Oggi si preferisce parlare di “sensibilità al grano non celiaca” perché di recente sono state individuate nel grano altre frazioni proteiche (gli inibitori dell’amilasi-tripsina) che possono agire come il glutine nei fenomeni di sensibilizzazione.
Il grano, però, può essere coinvolto nella SII anche attraverso costituenti non proteici, i fruttani, carboidrati contenenti lo zucchero fruttosio che fanno parte della categoria dei cosiddetti FODMAPs (acronimo di Fermentable-Oligo-Di-Monosaccharides-And-Polyols). Queste sostanze sono presenti, oltre che nel grano, in numerosi altri alimenti. Assunte in piccole quantità si comportano da fibre e sono quindi benefiche per il nostro organismo, ma se si esagera (oltre i 15 g al giorno) – e oggigiorno si esagera e come! – causano disturbi intestinali come quelli della SII perché fermentano nel colon. Il grano, sebbene la quantità di fruttani sia bassa, è un’importante fonte di queste sostanze, dato l’elevato consumo quotidiano dei suoi prodotti.
Per questo motivo il grano, insieme alla segale, è uno degli alimenti eliminati dalla dieta bassa in FODMAP che gli esperti consigliano in caso di SII con prevalenza di diarrea, meteorismo e flatulenza. Parleremo di questa dieta in un prossimo articolo.
Una riflessione e un consiglio
Nonostante il glutine sia in assoluto il nutriente proteico più difficile da digerire della nostra alimentazione, noi ne facciamo abbuffate quotidiane grazie ai cornetti mattutini, al pane lievitato con lievito di birra, alla canonica pizza che ha sostituito il pranzo tutti i santi giorni feriali, semmai arricchita di glutine perché così diventa più croccante, a qualche merendina come spuntino e al seitan (glutine garantito al 100%) — che come voi sapete considero un nonsenso alimentare — al posto della carne.
In effetti, siamo un po’ tutti intossicati dal glutine e per questo consiglio a tutti, che abbiano o no l’intestino in disordine, di non abusare degli alimenti che lo contengono e di tanto in tanto disintossicarsi con una dieta priva di grano o che contempli cereali affini al grano meno degenerati, come il monococco e alcuni grani duri antichi, e coltivati con metodo biologico o biodinamico. A questo proposito mi corre l’obbligo di citare una ricerca tutta italiana condotta su una ventina di pazienti con moderata SII. Si è registrato un significativo miglioramento dei sintomi con una dieta nella quale i prodotti da forno e la pasta erano fatti con farina ottenuta da un’antica specie affine al grano duro, il grano Khorasan (Triticum turgidum ssp. turanicum), da cui è stato selezionato il Kamut). Una ricerca che merita di essere estesa su un numero maggiore di pazienti.
Per quanto riguarda poi il contenuto nel grano dei fruttani che possono dare problemi intestinali, dobbiamo tener presente che esso si riduce notevolmente (insieme al glutine) se i chicchi sono messi a germinare e se il pane è fatto con farina semintegrale e lievitato con pasta madre.
Chi vuole evitare di consumare fruttani, stia attento ai prodotti industriali senza glutine perché possono essere addizionati di inulina, un classico FODMAP. Attenzione anche allo “sciroppo di glucosio/fruttosio”, un prodotto ricavato dal mais e in misura minore dal grano, che è usato a piene mani dall’industria alimentare come dolcificante in sostituzione dello zucchero. Allora, siamo alla solita storia: leggete bene le etichette dei prodotti alimentari.
Grazie Professore,
come al solito Lei è molto chiaro!
Sto facendo una dieta priva di proteine del latte e glutine da un annetto e, nonostante a monte non mangi e non debba mangiare cibi “industriali”, non mi è stato detto della pericolosità dello sciroppo di glucosio-fruttosio! Meno male che, avendo anche sentito parlare il prof. Berlino, già da sola ne evitavo i prodotti che lo contenevano , ma qualcosa può sempre sfuggire, anche perché quando hai una dieta restrittiva tendi a essere un po’ meno restrittiva sulla scelta dei prodotti alternativi! Grazie pasto nudo!
Lo sciroppo di glucosio-fruttosio si ottiene trattando lo sciroppo di glucosio con un enzima microbico (glucosio-isomerase) che converte il glucosio in fruttosio. Contiene circa il 40% di fruttosio. Ho pensato che può essere interessante scrivervi un post sul metodo di produzione, e sui timori sulla sua innocuità. Si tratta di una diavoleria tecnologica che può ricorrere anche a microrganismi geneticamente modificati.
Altri FODMAP si ritrovano tra gli additivi alimentari usati come edulcoranti. Sono i cosiddetti polioli: sorbitolo (E 420), mannitolo (E 421), isomalto (E 953), maltitolo (E 956), lactitolo (E 966), xilitolo E 967), eritrolo (E 968), Trovate la descrizione nella mia guida sugli additivi alimentari.
Grazie. Molto molto interessante
Non sapevo che l’inulina sopra i 15 gr facesse male. Io d’inverno mangio molte radici che la contengono (radici di tarassaco, campanule, cardi selvatici, bardana etc) e quindi temo di superare il quantitativo consigliato. E’ meglio che mi limiti, anche se non mi provoca apparentemente disturbi? Ma com’è possibile sapere quanta inulina è contenuta nei vari alimenti? Grazie tante
@Cristiana Betti: Di norma il contenuto di inulina nella dieta varia da 1 a 10 grammi al giorno. Presumo che lei durante l’inverno arrivi a toccare i 10 grammi. Le dò il contenuto di inulina degli alimenti più ricchi: topinambur tuberi 14-19%); cicoria radici 15-20%; porri 3-10%; carciofi 3-10%; tarassaco foglie 12-15%; bardana radici 3,5-4%; scorzonera 4-11%.
grazie tante