Sono indignato per la scoperta delle migliaia di tonnellate di falsi prodotti bio fatta dalla guardia di Finanza di Verona. E penso che, come me, siano indignati tutti coloro che credono nella bontà del cibo biologico e nella nobiltà dei principi che ispirano il regolamento comunitario relativo alla sua produzione.
La maggior parte dei prodotti sequestrati proveniva dall’estero (quindi si trattava di una filiera lunga) ed era costituita da cereali, soia ed altri legumi provenienti dall’estero e destinati all’alimentazione animale.
La bontà del cibo biologico
Il cibo biologico, quando è davvero tale, è buono perché non è pompato da nitrati e ormoni, è esente da residui di pesticidi tossici, contiene pochi additivi alimentari. In più è saporito e ricco di sostanze benefiche. Questo è quanto sta dimostrando la ricerca scientifica internazionale. Secondo il prestigioso Istituto di ricerca sul biologico FIBL, che opera in Svizzera, Germania e Austria, ci sono 90 ragioni per consumare biologico.
E i ricercatori della prestigiosa Università di Berkeley, che sono impegnati in ricerche sugli effetti deleteri dei pesticidi organofosforici impiegati nell’agricoltura convenzionale sulla salute dei bambini hanno lanciato dal loro sito questo messaggio: “Consumate cibo biologico quando è possibile perché in questo modo potete ridurre l’esposizione ai pesticidi degli alimenti”.
Dunque, l’atto criminoso scoperto dalla guardia di Finanza non mette in discussione la bontà del cibo bio, ma prova soltanto che ci sono in giro agricoltori e commercianti delinquenti che fanno circolare *falso bio*. Ma i delinquenti sono purtroppo presenti in ogni campo dell’attività umana!
Secondo la guardia di finanza tra i delinquenti dell’affare falso bio ci sarebbero anche rappresentanti di un organismo di certificazione del bio. Nel regolamento bio un anello debole è rappresentato proprio dagli organismi di certificazione bio.
L’aspetto più criticabile è questo: se un organismo di certificazione serio (di seri ce ne sono tanti) rileva che un’azienda bio da esso controllata ha commesso delle irregolarità e le leva il marchio bio, l’azienda penalizzata per la sua disonestà cambia il nome e la partita IVA e riacquista verginità. Così può chiedere di essere controllata da un altro organismo di controllo, nella speranza che sia più compiacente.
Poiché compete al Ministero delle Politiche agricole la responsabilità di controllare l’operato degli organismi di certificazione del bio, c’è da chiedersi se questo Ministero non debba intervenire per evitare che vengano commessi atti del genere.
Penso che una cosa da fare, abbastanza banale ma efficace, sia quella di individuare e tenere sotto controllo le aziende che dopo il ritiro del marchio bio passano con nuovi connotati fiscali ad altro organismo di controllo e semmai tenere sotto controllo anche l’organismo di certificazione che è subentrato. Inoltre, poiché lo scandalo ora portato alla luce riguarda soprattutto prodotti provenienti dall’estero, ritengo che sarebbero da rivedere le norme relative al controllo dei prodotti bio d’importazione e in generale quando si tratta di filiere lunghe.
La nobiltà dei principi che ispirano la produzione bio
Nel regolamento bio sono espressi due principi che hanno un alto valore etico e sociale, la ecosostenibilità e il rispetto degli animali da allevamento. Due principi che sono agli antipodi di quelli su cui si fonda l’agricoltura convenzionale, che sono lo sfruttamento delle risorse (suolo e acque inclusi) e l’animale come macchina di produzione.
La ecosostenibilità non nasce da un’ideologia ma da un’esigenza reale che viene avvertita in maniera sempre più drammatica sia dalla Chiesa che dagli scienziati di buona volontà. Papa Benedetto XVI ci ha invitato recentemente a “correggere i modi di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente e uno sviluppo umano integrale per oggi e per domani”.
Ecosostenibilità reclamano anche gli scienziati preoccupati per la perdita di fertilità dei suoli per effetto delle concimazioni con azoto di sintesi, per la riduzione della biodiversità dovuta ai pesticidi, per la contaminazione delle falde da nitrati e pesticidi. Il rispetto degli animali deve essere sentito come un dovere dagli allevatori dettato dal fatto che gli animali soffrono come noi.
Ecosostenibilità
Recita il regolamento del bio: “La produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola basato su un alto livello di biodiversità e la salvaguardia delle risorse naturali. A tal fine nella produzione bio sono permessi soltanto alcuni concimi azotati organici e, come pesticidi, soltanto una ventina dei circa 500 principi attivi impiegati nell’agricoltura convenzionale. Tra questi, il rotenone, che è dotato di tossicità, è stato vietato a partire dall’aprile di quest’anno.
Il rispetto degli animali da allevamento
Recita il regolamento della produzione bio: “L’allevamento biologico dovrebbe rispettare criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e soddisfare le specifiche esigenze comportamentali degli animali secondo la specie, e la gestione della salute degli animali dovrebbe basarsi sulla prevenzione delle malattie”. Per rispettare questo principio detta precise regole riguardanti le condizioni di stabulazione e la creazione di spazi aperti, le pratiche zootecniche e la densità degli animali. Tra le tante mi piace citarne una, quella che riguarda l’allattamento dei piccoli con latte materno per un periodo di 3 mesi per i bovini e di 45 giorni per bovini e 40 giorni per i suini. Bello no, se si pensa che negli allevamenti convenzionali i piccoli possono anche non assaporarlo nemmeno il latte materno.
Non buttiamo l’acqua sporca con il bambino
È inevitabile che chi è solito denigrare il biologico coglierà questa occasione a volo uscendosene con il fatidico “Ve l’avevo detto”.
In queste occasioni i denigratori del bio seminano terrorismo tra i consumatori abituali del bio, paventando loro il rischio di ingerire residui di pesticidi tossici utilizzati nell’agricoltura convenzionale, quando consumano cibo convenzionale spacciato per bio. Dovrebbero avere l’onestà intellettuale di dire che tale rischio è occasionale e legato ad episodi criminali per i consumatori bio, mentre per i consumatori di cibo convenzionale è quotidiano e li accompagna per tutta la vita.
A mio avviso non è in discussione la qualità del cibo biologico e i principi che regolano la sua produzione. La questione riguarda le norme relative all’attività degli organismi di certificazione bio che permettono che succedano queste cose e ad una giurisprudenza carente in materia di responsabilità penale degli agricoltori che violano le leggi di sicurezza alimentare. Ci vogliono *subito* norme più severe, per tutelare i consumatori e anche per salvaguardare gli organismi di controllo che operano con correttezza e professionalità. Una mela marcia non deve far ammalare tutte le altre, quindi va eliminata con prontezza.
A mio avviso, nell’attesa che si provveda in questo senso, le aziende di commercializzazione dei prodotti bio si devono fare garanti della qualità nei riguardi dei consumatori impegnandosi ad accertare se ci sia il rispetto delle normative vigenti da parte delle aziende fornitrici e degli stessi organismi di certificazione bio che le controllano.
Per l’acquisto dei prodotti freschi, i consumatori che ne hanno la possibilità, comprino direttamente da piccoli agricoltori, a condizione che abbiano il marchio bio o che abbiano garanzie assolute sulla salubrità dei prodotti (ma anche in questo caso si può incocciare in qualche disonesto). Comunque, quando l’azienda è piccola, è più difficile che le magagne sfuggano al controllo dell’organismo di certificazione o agli occhi di un acquirente attento e preparato.
Una considerazione finale
In conclusione, i principi della produzione e dell’alimentazione bio sono fuori discussione.
La bontà del cibo biologico dipende invece dall’onestà degli operatori e dalla severità delle norme. Ma per qualche disonesto in circolazione, non dobbiamo fare di ogni erba un fascio e tornare nelle braccia del convenzionale.
Non dobbiamo dimenticare che le aziende che producono bio devono sottostare allo stesso controllo in materia di sicurezza alimentare del convenzionale e in più allo specifico controllo riguardante le norme dettate dai regolamenti della produzione bio. Doppio controllo, quindi doppia sicurezza. E sono proprio questi controlli aggiuntivi che consentono di scoprire i malfattori del bio in maniera più incisiva di quanto succeda per i malfattori del convenzionale. Lo scandalo di questi giorni ne è una prova.
Per finire, mi chiedo: possono le aziende di distribuzione e i negozi bio chiedere a questi delinquenti di essere risarciti dei danni economici subiti? E i consumatori possono fare altrettanto per tentato attentato alla loro salute? Sono domande che rivolgo alla Federbio e alle Associazioni dei consumatori.
concordo sul fatto che il biologico in linea di massima sia da preferire e ti parlo da produttore di vino in conversione bio. I controlli ci sono, noi ne riceviamo senza preavviso almeno uno in vigna (grappoli e foglie) e uno in cantina (sul vino). Se esportiamo i nostri importatori spesso richiedono certificati, e con l’estero non si sgarra.
Spero che gli enti controllori facciano il loro lavoro e stanghino le aziende che truffano il consumatore. Se non sarà così ne risentiremo tutti a causa della mancanza di credibilità
IZN mi ha segnalato un articolo (Oh, mio Bio) di Bressanini pubblicato sul blog de “il fatto quotidiano” che tratta dello scandalo di cui stiamo parlando e che vi invito a visionare. L’ho apprezzato per il suo equilibrio e per l’obiettività. Solo qualche precisazione su aspetti da lui trattati:
“Non è strano al supermercato trovare prodotti bio che costano il doppio”. Il bio, se autentico, deve costare anche il doppio per tante ragioni tra cui quelle che cita Bressanini. Alta qualità, prezzo alto, come per qualunque articolo in commercio, perchè i costi di produzione (e anche quelli di distribuzione) sono più alti Ma quello che il consumatore deve tener presente è che, per le sue alte qualità, il bio autentico può essere consumato in quantità minori del convenzionale. Lo sapete che è stato dimostrato che nel convenzionale il contenuto in molti nutrienti si è abbassato significativamente negli ultimi 50 anni? Una mela convenzionale? Meglio mezza mela biologica. Una tazza di latte convenzionale? Meglio un bicchiere bio di quello a km 1000, di cui abbiamo parlato tante volte, ma anche un latte Dmeter italiano. Teniamo anche presente che noi oggi comunque mangiamo troppo e che ridurre la quantità di cibo ricorrendo a quello bio, è quanto mai salutare. Poi, è chiaro che se si va al negozio bio per comprare, oltre agli alimenti di prima necessità, carrelli di merendine e bevande zuccherate, non basta uno stipendio!! .
“Il biologico si basa su una certificazione del processo di produzione, non del prodotto finale”. Il dosaggio dei pesticidi, che si fa, è un test importante. Anche quello dei nitrati, che di norma non si fa, sarebbe importante perchè , come testimoniano lavori scientifici, nel bio sono significativamente più bassi rispetto al convenzionale.
Stanno comunque venendo fuori lavori scientifici che mostrano che le pratiche bio agiscono sul genoma della pianta in maniera differente dalle pratiche convenzionali. Quindi la speranza è che possiamo arrivare a dei test genetici per diifferenziare i due tipi di prodotto.
“Anche una grande percentuale di frutta e verdura convenzionale risulta priva di residui di pesticidi”. Io avrei detto ” risulta contenere pesticidi al di sotto dei limiti permessi” che vuol dire che ci sono ma sono legalmente ammessi.
Per finire, voglio far presente che i prodotti certificati Demeter hanno, oltre alla certificazione bio, anche quella della Demeter che controlla che sia stato rispettato il disciplinare Demeter, più severo di quello biologico.
D’accordo su tutto il resto. Brava IZN, forse con la tua testardaggine hai folgorato sulla via……
pas facile d’être bio, les produits acceptés changent tout le temps, ce ne sont pas les même traitements dans les différents pays de l’UE,
je ne suis pas bio a cause de l’engrais d’arrosage qui est en partie minéral, il n’y a rien d’autre et c’est indispensable car ici on arrose 5 mois par an.
je n’utilise aucun insecticide aucun fongicide, on piège, on a 30 nids de mésange à l’ha, on met des jus d’algue dans l’eau et sur les végétaux, tout est en cultures associées, j’ai mes abeilles, aucune activité industrielle ou agro-industrielle à 5 km autour de moi, le fumier de cheval est le notre animal nourrit en plein champs, foin sans pesticides, sans fongicides etc.
mais je ne peux pas être labellisé bio.
Ma vigne n’est pas bio (toujours à cause de la potasse minérale) mais sans aucun traitement (ce sont des cépages non sensibles aux maladies)
La vigne de mon voisin est bio, il mets du soufre et du cuivre tous les 15 jours, (c’est vraiment toxique), les producteurs de tomate bio à 20 km d’ici font tout en serre, donc fongicides (avec agrément bio) obligatoires, et insecticide (agréée bio) toute les semaines à cause de tutta absoluta. Mais tous les traitements sont bio, avec controle.
Ces labelisations sont obligatoires. Mais si tu veux manger des végétaux comme tu les ferais toi même, alors ne regardes pas le label bio. Regardes qui les produit.
Giannattasio a raison
Produire avec des méthodes non agressives et durables coute beaucoup plus cher, nous perdons énormément de fruits, environ 25%, nos rendements sont plus faibles. Il faut visiter les vergers tous les jours.
Je dirais aussi que nos fruits ont un gout, des parfums, incroyables, nous récoltons à exacte maturité ce qui est important dans la composition mais près peu de clients y font attention.
metto qui il link all´articolo di Bressanini, cosí non dovete andare a cercarlo:
domande:
1) davvero la superficie coltivata a biologico in Italia é DIMINUITA dal 2001?
2) Sono comprese le aziende che stanno passando al biologico (mi pare ci vogliono 5 anni o giú di lí, prima di potersi definire tali)?
3) Bressanini sottolinea come l´inchiesta abbia coinvolto soprattutto realtá del nord Italia, mentre la superficie maggiormente coltivata a biologico si trova nel sud. Significa forse che nel sud ci sono meno controlli, o per niente? O che nel sud ci sono delle connivenze tra agricoltori biologici e controllori? No, perché ricordo, quando ancora vivevo in Germania, di un grande scandalo che aveva coinvolto dei produttori di limoni venduti come biologici e siciliani, mentre non erano biologici e arrivavano dall’argentina (nemmeno il chilometro zero, mannaggia). Deve esserci ancora il link all´articolo, qui, nella biblioteca del pastonudo, credo. La notizia era arrvata fin sul baltico…
4) mi sono sempre chiesta come fosse possibile, per esempio, che in Germania la metá della frutta e verdura biologiche che trovavo venisse importata dall´Italia (per sorvolare sul fatto che uno chef altoatesino mi ha confidato di comperare in Geramania prodotti biologici italiani, perché – avendo in quel paese molte piú agevolazioni fiscali, per esempio sul trasporto, se ho capito bene – gli venivano a costare molto meno che se li avesse comperati in Italia. Ció significa: coltivato in Italia, esportato in Germania e riportato in Italia (e lo chef lo paga anche meno!). Un po´ com l´olio del Garda, che ogni volta che torno in Italia mi chiedo dove cavolo siano tutti quegli oliveti, che in ogni supermercato trovi litri e litri di olio, e non solo in Italia….non sarebbe giusto, per esempio, fare una legge che obblighi i produttori a scrivere dove crescono, ´ste olive? (non parlo del bio, in questo caso). O c´é giá?
Voglio dire: sarebbe un bene per tutti, mangiatori di bio e no, produttori biologici e negozianti, e anche per le forze dell´ordine, che acquistano ancora ancora piú credibilitá e rispetto, quando si leggono di questi risultati (tra l´altro mi piace assai, che siano due donne, a capo dell’indagine).
Me l´immaginavo che Bressanini mangiasse consapevolmente (nonostante ogni tanto scivoli sulle zucchine insapori di dicembre ;-)). Non mi sorprende affatto questo outing ;-)
Il che significa, appunto, fidarsi della pancia, e non comperare alimenti solo perché hanno un bollino (ammetto di aver comperato delle mele biologiche, quaggiú, la settimana scorsa, perché la bimba era ammalata e voleva mangiare solo mele. Tremende. Qui sono completamente fuori stagione, saranno state in una cella frigorifera per mesi… biologiche ma insapori e inodori. L’ha detto anche lei, e non ha ancora 6 anni… Bleah).
Concludo facendo i complimenti a Izn per la foto e a Dario per il titolo (e per l´onestá intellettuale di dire che non era suo: chapeau!)
Prof. due precisazioni alle sue precisazioni
1) se costa il doppio alla fonte, NON dovrebbe costare il doppio al dettaglio. Se un kg di pomodori convenzionali gli agricoltori li vendono al grossista a 30 centesimi, mentre quelli bio li vendono a 50, la differenza finale per il consumatore NON è di 20 centesimi. La GDO ci straguadagna con il bio, ed è per questo che ci si butta a pesce
2) No no, sono proprio assenti i residui, specialmente su alcune colture. Questo si vede benissimo dai vari rapporti annuali di EFSA e il ministero della Salute (nel mio libro metto tutti i dati accuratamente documentati da fonti ufficiali). Dipingere i prodotti tradizionali come se fossero “avvelenati” è semplicemente sbagliato.
Io poi sono un fan dell’agricoltura integrata, che ora ha anche lei dei disciplinari e un marchio, ma questa è un’altra storia.
“La GDO ci straguadagna con il bio, ed è per questo che ci si butta a pesce”
Ma chi li fa i prezzi? Chi decide in base a cosa?
Comprare direttamente dal produttore è il massimo, soprattutto quando si organizzano e ti portano la spesa a casa. Più comodo ci così!
@tutti: anche nel convenzionale ci sono agricoltori che producono ottimamente. Parafrasando l’adagio, possiamo dire che “il marchio non fà il bio”, almeno non sempre.
@claudia: Puoi (permettimi di darti del tu per le pari opportunità, visto che mi comporto così con Alex, ora santo due volte perchè mi sta dando via internet lezioni private di fisica teorica per capire ‘sta storia delle nanotecnologie e ‘ste forze cosmiche) trovare i dati sul sito del ministero politiche agricole. In effetti è diminuito di poco e può anche essere interpretato positivamente se si considera che le sovvenzioni stanno scemando. Per gli altri quesiti, se vuoi, posso risponderti via mail.
@bressanini: Bentornato tra noi (è il ritorno della pecorella smarrita? scherzo). Si è vero, il mercato penalizza pesantemente l’agricoltore, soprattutto se è piccolo, costringendolo taloa anche a fare scelte inopportune, e ovviamente il consumatore. In effetti questo è solo un aspetto secondario del problema generale dei mercati, compresi quelli finanziari, che stanno portando noi gente comune alla rovina.
GAS, vendita diretta, piccoli negozi possono essere l’alternativa se gestiti bene (anche in questi casi ci possono essere problemi e sorprese).
Non penso di aver dipinto i prodotti convenzionali “avvelenati”. Se ho fatto intendere questo, chiedo venia. Come ho detto prima ci sono agricoltori convenzionali che fanno degli ottimi prodotti.
Sull’agricoltura integrata ho i miei dubbi, anche se riconosco che è un tentativo di migliorare le cose soprattutto per l’uso dei pesticidi (ma è anche un’implicito riconoscimento che finora si è esagerato con questi prodotti, molti dei quali sono molto nocivi).
Approfitto per invitarla come mio ospite all’incontro che sto organizzando per addetti alla comunicazione (giornalisti, blogger, rappresentanti delle associazioni dei consumatori) e alla distribuzione dei prodotti alimentari.
Nel primo incontro in maggio (Padova, in azienda biologica, o Ischia in albergo termale) si parlerà delle qualità degli alimenti che interessano i consumatori (non quelle tecnologiche che interessano l’industria), dei metodi agricoli, di pesticidi e additivi; nel secondo in ottobre (stesse sedi) di qualità alimentare e salute e di etichette.
A Sonia un grazie per la sua caparbietà: non avrei mai pensato qualche mese fa di diventare preda del pasto nudo.
Ho letto con grande interesse, sia l’articolo, sia i commenti.
Di tutta questa storia, quello che mi ha infastidito fin dall’inizio, fin da quando ho sentito la notizia alla radio, è stato come è stata gestita dai mezzi di comunicazione: notizia didascalica, ma sufficiente per gettare nello sconforto tanti consumatori – bio e non, me compresa – e poi il silenzio più totale! Non mi sembra questo il modo di fare da parte dei mezzi di comunicazione.
Mi fa proprio arrabbiare questa cosa; perché allora, allo stesso modo, non si parla delle uova marce che vengono depurate dalle tossine e rivendute ai pastifici?!?
Spero di sbagliarmi, ma uscite del genere, mi sembrano fatte per screditare appositamente il settore: d’altra parte, tra di noi – lettori e consumatori consapevoli – è facile arrivare ad un pensiero comune e critico abbastanza da dare il giusto peso alla notizia, ma a chi non ne sa niente? Notizie come quelle fanno semplicemente confermare della sua opinione sul bio: “E’ proprio tutta una fregatura!”.
Un altro danno al settore….
ecco, sì. questa notizia farà godere come ricci tutti quelli che quando dico che compro solo uova biologiche mi rispondono (da un pezzo) che il biologico non esiste, che è tutta una truffa e che è impossibile che un campo di grano biologico non venga contaminato da quello non biologico di fronte. per dire.
peccato, però.
è che i truffatori ci sono ovunque. sarebbe poco credibile (nel mondo in cui viviamo) pensare che tutti ma proprio tutti i produttori bio siano ‘puliti’. secondo me.
personalmente credo non smetterò né di documentarmi leggendo il pasto nudo e ovunque mi capiti e di ragionare e scegliere con la mia testa. cioè, non ho intenzione di smettere di comprare bio ciò che regolarmente solo bio acquisto (no, non sono una talebana come izn, mangio anche non bio ma alcune cose proprio no) con la speranza che mi capitino prodotti di produttori onesti.
ps: Bressanini con quell’articolo mi è quasi diventato simpatico. ;-)
@matteo giannattasio: Alcune associazioni dei consumatori hanno già deciso di costituirsi parte civile nei procedimenti a carico dei soggetti coinvolti in questa megatruffa, anche allo scopo di verificare eventuali connivenze da parte della catena distributiva.
Mi sembra utile segnalare il recente progetto “io non voglio il falso” target=”_blank” contro ogni forma di contraffazione, ivi incluse quelle nel settore alimentare. Purtoppo negli ultimi anni si è andata diffondendo una cultura sempre più ostile a tutte le forme pubbliche di controllo e di repressione dei comportamenti illegali nei diversi settori produttivi: una cultura – promossa anche dall’industria alimentare – che considera “vessatori” e “costosi” i controlli messi in atto nelle diverse fasi della filiera produttiva da Uffici doganali, Nas, Guardia di finanza etc e che reclama una “piena libertà d’azione”: accanto a tanti operatori onesti, ce ne sono altri senza scrupolo che cercano ogni occasione per effettuare guadagni facili e illegali: e purtroppo ne paghiamo noi le conseguenze, in termini di salute.
Per fare controlli efficaci (non solo quelli “cartacei”, che possono nascondere certificazioni fasulle o taroccate) occorrono forze fresche sul campo e magari anche una maggiore creatività: è difficile immaginare verifiche sul rapporto tra prodotto bio commercializzato da un’azienda e la superficie dei terreni da loro gestiti? Potrebbero così emergere casi di palese sproporzione tra piccole superfici e grandi quantità di prodotto commercializzato.
E’ stata proposta da tempo anche la creazione di un’Agenzia indipendente, con una stuttura molto snella, che si occupi della valutazione dei rischi: sarebbero soldi spesi male?
Ciao, da piccola azienda on line che commercializza prodotti biologici in filiera corta la notizia ci ha seriamente preoccupato per le ripercussioni che potremmo avere nel settore della vendita dei prodotti da agricoltura biologica.
Ciononostante, ci ha rincuorato il fatto che si sia venuti a conoscenza della frode, prova evidente che nel settore del bio un qualche controllo anche sui controllori viene effettuato.
Rammento, ad esempio che della più famosa delle frode italiche nel campo alimentare (quella del vino al metanolo) si venne a conoscenza solo in seguito all’avvelenamento dei consumatori del prodotto adulterato (e solo perchè gravemente e maldestramente adulterato) e quindi senza che vi fosse alcun controllo preventivo.
Certo le fattispecie, pur trattandosi di frodi alimentari, non sono sovrapponibili nè per gravità nè per effetti (speriamo!), ma la vendita del bio contraffatto è frode ben più ardua da scovare in quanto priva di clamorosi effetti (grazie a Dio non ci muore nessuno nè nessuno rimane cieco!)
Quindi, ben vengano dei sani repulisti di aziende scorrette e di controllori infedeli, chiaro indice dell’esistenza di controlli.
Da parte nostra, i piani di sviluppo della nostra aziendali prevedono dei controlli autonomi sulle aziende che commercializziamo ma che, allo stato di start up attuale, non siamo ancora in grado di poter pianificare.
Dobbiamo, quindi, continuare a fidarci dei controllori e vendere prodotti di aziende che abbiamo avuto il piacere di conoscere ed apprezzare.
La filiera corta, infatti, ci consente di fondare il rapporto con le aziende che commercializziamo sulla fiducia che viene dal rapporto individuale, piuttosto che cercare solo il miglior prezzo in giro per l’Italia.
Attualmente più di quello non riusciamo a fare.
[…] le aziende si dicono green o ad esempio bio come da ultime notizie , va in crisi la credibilità dell’intero […]
vi rendo noto che sulla Repubblica di oggi ci sono due pagine dedicate al bio con articolo di Petrini e due interviste di cui una al sottoscritto.
Dall’esame di tutti i documenti che interessavano le ditte coinvolte si è accertato che il volume di prodotti con falsa certificazione biologica è meno del 2,5% di quello prospettato dalla GdF, che si riferisce all’intera quantità registrata dalle ditte indagate, che risulta perdipiù frutto anche di fatturazione fittizia: non a caso agli arrestati vengono addebitati i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture e altri documenti inesistenti, la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Anche il valore dei prodotti accompagnati da certificati falsificati è nettamente inferiore a quello stimato la settimana scorsa: applicando le quotazioni di mercato odierne, arriviamo a fatica a 5 milioni di Euro (contro i 220 milioni di cui s’era parlato: anch’essi sono riferiti al
volume d’affari complessivo delle società coinvolte, sempre gonfiato da operazioni inesistenti).
È stato anche accertato che la frode si è protratta da ottobre 2007 ad agosto 2008 e ha riguardato esclusivamente orzo, mais e soia per mangimi, girasole, farro, 2 partite di frumento e delle mele da purea.
Il perimetro della frode (che innegabilmente c’è stata, ma si palesa più come “frode fiscale” che come “frode biologica”), va assai ridimensionato.
Ciò non basta a rasserenare le 47.658 aziende perbene e le oltre 300.000 persone che lavorano nel settore biologico italiano (che sono parte lesa e attraverso le loro organizzazioni stanno costituendosi parte civile nel processo), ma dà almeno la dimensione corretta.
@roberto pinton: E non basta nemmeno a rasserenare i tanti consumatori che credono nell’etica della produzione bio, che consumano bio e vogliono continuare a farlo perché consapevoli che è una scelta sensata, non solo per mangiar bene e saporito, ma anche per star bene e far star bene i propri figli.
Come Federbio siete impegnati nel difficile lavoro di prevenire che accadano cose del genere che minano la fiducia dei consumatori. E in questo momento di caos politico, sociale ed economico, questa perdita di fiducia nel bio non può che aggiungere acqua sul bagnato.
Grazie quindi per il tuo intervento su questo blog che io in un certo modo ho adottato perchè lo ritengo molto serio e davvero al servizio di chi vuole fare scelte giuste. I consumatori vogliono anche questo, che persone autorevoli come te nel campo del bio si facciano sentire, chiariscano, testimonino che stanno operando nel loro interesse.
Il bello del bio è anche questo, un rapporto costante tra i consumatori e coloro che a diverso titolo operano nel campo della produzione e della distribuzione degli alimenti bio.
Grazie Sa Roberto per la precisazione.
Mentre leggevo, però, mi sono arrabbiata, anche: perché i canali di informazione a diffusione nazionale, non si procurano si diffondere queste precisazioni con la stessa velocità con cui hanno comunicato la frode?!?
Queste sono le cose che mi irritano di più del comportamento dei mezzi di informazione!!!
Scusate lo sfogo…
Notte a tutti,
Sara.
Buongiorno.
Vedo che da molto tempo nessuno ha mai scritto un commento qui.
Spero però che qualcuno leggerà il mio presto e chi mi risponderà anche.
Ho grande necessità di avere una risposta chiara .
Da anni, per seri motivi di salute, la mia attentissima alimentazione è basata esclusivamente sul biologico certificato. In questo modo sono venuta fuori dal tunnel stretto e buio di una gravissima malattia autoimmune, rara al 100% invalidante. Ho una vita molto equilibrata, mangio abbinando attentamente gli alimenti, evito tutto quello che contiene chimico, e completamente la carne, ho attività fisica sufficiente (almeno 3 volte in settimana faccio passeggiate a passo svelto su distanze tra 10-15 km in un’ora-un’ora e mezzo.
Dalla primavera fino all’autunno, il mio pane lo preparo a casa con farina fresca di miglio o grano saraceno con aggiunta di farina fresca di semi di lino o canapa, che essicco al sole (il pane dell’eremita).
Durante l’inverno, consumo, solo ogni tanto ed in piccolissime quantità, pane azimo o pane integrale, lievitato con pasta acida cotto in forno a legna, (di farro o kamut) che compro nel negozio di fiducia nella mia città.
Da alcuni mesi ho iniziato ad avvertire dei disturbi nella mia digestione, che non dovrebbero esserci. Ho cercato di capire cosa me li provoca. Non ho avuto grosse difficoltà nell’individuare come causa il pane che compro.
Ho notato che sull’etichetta applicata sulla busta di carta non era scritto “bio” come accade con altri tipi di pane commercializzati in quel negozio e che in passato ho comprato. Come tutta la gente, l’ho acquistato fidandomi, visto che non era esposta nessuna avvertenza e che questo si trova esposto insieme a tutti gli altri tipi di pane certificato biologico.
Ho chiesto chiarimenti, prima alle commesse, che mi hanno dato risposte contraddittorie, poi negli uffici. Anche qua, una signora, cercando di intimorirmi mi ha detto che tutti i loro prodotti sono certificati e se voglio vedere la documentazione (come avevo chiesto) mi dovevo rivolgere ad altre due persone… Insomma, dopo avermi passata da l’uno all’altro come fossi una pallina di ping-pong, finalmente è arrivato uno dei due (era anche prima nel negozio ma non riuscivo a trovarlo) che… guardandomi e studiandomi come per capire le mie intenzioni, mi ha detto che… stressarmi non fa bene alla salute… (come io non lo sapessi e ho iniziato a stressarmi gratuitamente per il piacere di farlo!). A fatica, è arrivato a dirmi che il pane in causa viene fatto da un produttore, amico suo, per il quale lui stesso garantisce conoscendolo da anni e che era stato tra i primi ad abbracciare il biologico. Ha aggiunto che il tizio non ha fatto e non intende fare la certificazione dei suoi prodotti per motivi di principio…
MOTIVI DI PRINCIPIO!!!
Mi domando e Vi domando: quanti tra Voi si pongono il problema che il pane che comprate in un negozio biologico di fiducia non sia biologico e guardate sull’etichetta se scrive o non scrive bio?
Poi, trovate giusto che una cosa del genere accada? Se volevo pane comune, non certificato andavo nei negozi convenzionali e lo prendevo a costi molto più bassi. (qui i prezzi di questo pane vanno da 4,00 Euro fino a superare i 7,00 Euro, in base ai cereali di cui sono fatti).
I cereali sono stati modificati, ibridizzati già da una cinquantina di anni per renderli più resistenti ai pesticidi con i quali sono irrorati nell’agricoltura convenzionale. Tutti sappiamo anche che le farine da loro ottenute sono additivate al massimo con vari tipi di sostanze chimiche molto nocivi per la salute delle persone. Oltre l’altissimo contenuto di glutine, ci sono la gliadine e le lectine ed altre sostanze che sono micidiali, prima per l’intestino poi per tutti gli altri organi, con potente azione cancerogena. Ti creano dipendenza e più si mangia, più si mangerebbe.
Non la stessa cosa accade con i cereali coltivati dai semi e con metodi biologici dove la concentrazione di queste sostanze è molto inferiore, con la condizione di non abusare con le quantità come tra l’altro nel tutto.
Ora, la mia domanda “maestra”:
qualcuno mi potrebbe indicare a chi rivolgermi per capire se i negozi biologici hanno, secondo le leggi e le normative, il diritto di vendere tali prodotti e soprattutto in maniera così astuta?
Ho chiamato per telefono la Guardia di Finanza (ora mi sono trovata con cancro all’intestino e non sto tanto bene, non riesco a spostarmi personalmente da loro). Hanno preso nota ma mi hanno detto di rivolgermi ai NAS.
Ai NAS ho fatto l’anno scorso altre due denunce, una per uno yogurt additivato con farina (vero pericolo per chi ha intolleranza al glutine!) e l’altra per un latte crudo biologico che compravo, su ordinazione, da un anno e mezzo e… una volta me lo hanno consegnato con i sigilli alcuni strappati, alcuni staccati. In più, era molto visibile ad occhio nudo la differenza di consistenza del latte.
Non ho mai ricevuto informazioni in merito all’andamento delle cose. Il latte crudo però, da quella volta non è più arrivato.
Se mi rivolgo ai NAS e trattano le cose allo stesso modo… che risolvo?
Trovo ingiusto il tutto, trovo che sia un’affronto alla salute delle persone in primis, un’affronto alle tasche dei consumatori che si fidano dell’onestà dei negozianti e dei loro fornitori ed un affronto agli altri produttori che hanno certificato i loro prodotti dimostrando in questo modo rispetto per loro come per il loro clienti, che siamo noi, i consumatori.
Il principio che sta alla base delle decisione del tizio che produce questo pane quale sarà se non quello del menefreghismo nei confronti del prossimo e la cura solamente per i suoi soldi, per i suoi affari?
Come mai un negozio che ha sempre sostenuto a voce alta che accetta in vendita solo prodotti muniti di certificazione viene a considerare in questo caso non la certificazione ma IL PRINCIPIO del produttore?
Per favore, qualcuno mi risponda e mi aiuti a capire a chi presentare la denuncia in modo che vada considerata con maggiore attenzione e non si perda chissà in quale cassetto o addirittura in qualche cestino!
Non si tratta di vendetta! Ma si tratta di rendere giustizia, a nome e per tutti gli altri clienti fiduciosi come me che vengono ingannati e portati ad ammalarsi senza capire la causa delle loro malattie.
Grazie a chiunque vorrà rispondermi e soprattuto a chi mi darà l’informazione richiesta!