Vi confesso che non mi sono mai curato delle “sottilette” fino a quando izn non mi ha messo una pulce nell’orecchio (una subdola manovra per chiedermi di parlarne sul pasto nudo?) dicendomi che nei soliti circoli della rete (i social, ndr :-)) si discute di questi prodotti, e certuni li magnificano sostenendo che si tratta di formaggi (mah!), gustosi (2 volte mah!), confezionati per il comodo del consumatore perché già tagliati a fette (ma perché, in casa non esistono coltelli e manine per tagliare un vero e buon formaggio?).
O anche che in base alla scadenza è possibile conservare la confezione per mesi nel frigorifero e aprirla quando se ne ha necessità (e a questo punto bisognerebbe fare un discorso su certi processi industriali che permettono di conservare a lungo i prodotti che dovrebbero essere *vivi* come formaggi, vini e salumi… ma ne parliamo un’altra volta).
Che ho fatto dunque? Ho comprato una confezione di “sottilette” (non riesco a non virgolettare questa parola) che vanno per la maggiore, e mi sono letto l’etichetta. Va detto, per dovere di cronaca, che esistono diversi prodotti analoghi che hanno denominazioni simili, come “fette”, “fettine”, “formaggio fuso a fette”, ecc).
Eccone gli ingredienti: Formaggio, Latte scremato concentrato, Burro, Proteine del latte, Sali di fusione (citrati di sodio), Sale, Correttore di acidità (acido lattico).
Che dire? Innanzitutto che le sottilette *non sono* un formaggio, ma fette di un prodotto alimentare industriale contenente tra gli ingredienti il formaggio. Il formaggio è primo nella lista degli ingredienti (e quindi è l’ingrediente presente in maggiore quantità) ma non è dato di sapere quanto ce ne sia esattamente e di che tipo si tratti).
Gli altri ingredienti sono di dubbia qualità (latte scremato in polvere e proteine del latte); il burro è di origine e qualità ignote; due degli ingredienti sono additivi (citrati di sodio e acido lattico), e poi c’è il sale. Per carità, niente di cui aver paura, ma sia chiaro che non si tratta di formaggio, ma di un miscuglio di ingredienti tra cui un formaggio sconosciuto.
Riflettiamo però: spendere 1,8 euro per una confezione da 200 grammi, credendo di comprare del formaggio fresco, non mi pare sia una scelta sensata. Non costa molto meno di una buona robiola e di una buona ricotta (quest’ultima non è un formaggio, ma la sua qualità nutrizionale e organolettica ce l’ha, se, lo ripeto, è una *buona* ricotta, perché altrimenti è meglio starne alla larga — ne possiamo riparlare).
Ne ho già abbastanza di sottilette, per cui non vado a commentare quelle senza lattosio, le light, e tutte le altre con denominazioni leggermente diverse che ho visto esposte negli scaffali refrigerati di un supermercato. Sono tutte fatte, è proprio il caso di dire, della stessa pasta. Alcune hanno tra gli ingredienti anche siero di latte concentrato e/o in polvere. Va precisato che il siero di latte è il liquido che rimane dopo che dal latte è stato ricavato il formaggio. Se il latte di partenza è di cattiva qualità, concentrando il siero si concentrano in esso anche i residui di pesticidi e le altre sostanze estranee che possono essere presenti negli alimenti con cui la mucca è nutrita.
Qualche parola però la voglio spendere per le “fettine” al formaggio Parmigiano Reggiano, un prodotto similare a quello or ora discusso, che si distingue perché in etichetta viene specificato il tipo di formaggio utilizzato (appunto del parmigiano Reggiano DOP) e la quantità (30%).
Gli altri ingredienti sono i soliti per questa categoria di prodotto: “acqua, siero di latte, burro, proteine del latte”, e tre additivi: il citrato di sodio come sale di fusione, l’acido citrico come correttore di acidità, e la carragenina come addensante. Questi ingredienti, sia ben chiaro, non li trovate in nessun parmigiano come madre-natura-lo-ha-fatto e che, per nobile tradizione, è fatto soltanto di latte, caglio e sale, e manco il lisozima che si può trovaare in altri formaggi è permesso aggiungergli. Insomma in queste “fettine”, il parmigiano Reggiano DOP, nobile per qualità ma scarsino per quantità, è circondato da una plebaglia di altri ingredienti (70%).
In queste “fettine”, di formaggio Parmigiano Reggiano ce n’è dunque il 30%. Il che vuol dire che, se mangio una sola “fettina” (che pesa 25 grammi), butto dentro soltanto alcuni grammi di parmigiano (per la precisione 7,5 grammi). A mangiarne così poco, si potrebbe forse sentire soddisfatto il topolino della pubblicità, perché è un animaletto piccolino (io però ho i miei dubbi perché penso che questo simpatico piccolo roditore, da buon intenditore di formaggi, gradisca rosicchiare il parmigiano-parmigiano, non le “fettine” *al* parmigiano). Noi di sicuro no, e dovremmo anche sentirci presi in giro per l’esigua quantità che arriva al palato. Praticamente per arrivare alla canonica porzione di 40 grammi di parmigiano, dovremmo consumare quasi l’intera confezione di queste “fettine” al parmigiano (che è di 150 grammi e ci costa 2 euro).
Facendo un po’ di conto, pago 2 euro per arrivare ad avere una porzione di parmigiano, che se la comprassi di parmigiano- parmigiano — tagliata dalla forma, per intenderci —, mi costerebbe circa 1 euro (calcolando un parmigiano stagionato 24 mesi da 25 euro al chilo). Dunque risparmierei alla grande e mangerei un parmigiano che di sicuro piacerebbe anche al nostro simpatico topolino. Ah, questa pubblicità televisiva che ci ha fatto dimenticare anche le tabelline che ai tempi in cui ero alle elementari si imparavano a memoria: 1 per 1 = 1; 1 per 2 = 2… Ma si potrebbe sempre ricorrere alla calcolatrice!
Un’ultima considerazione. Abbiamo il terrore di consumare burro, nobile alimento che oggi si criminalizza per l’ossessione dei grassi che ci tormenta. Ma poi, inconsapevolmente (perché le etichette non le leggiamo per indolenza o perché sono scritte piccole che ci vuole la lente di ingrandimento) ci pappiamo con prodotti del genere del burro — in piccole dosi, d’accordo — che non sappiamo come, dove e quando è stato fatto.
Errata Corrige
Siamo appena venuti a conoscenza che la denominazione “Sottilette” è un marchio registrato, anche se questa parola si utilizza comunemente per indicare tutti i tipi di formaggi fusi confezionati nella stessa maniera; in questo articolo è stata utilizzata appunto in quanto tale. Dobbiamo precisare quindi che tutte le volte che nel testo vedete scritta la parola “Sottilette” abbiamo inteso indicare “fettine di formaggio fuso di marca generica” e *assolutamente non* le “Sottilette Kraft” in particolare.
è sempre interessante passare di qua :)
Ooooohhh su questo argomento ho molto da dire (e ti pareva). Primo, già il fatto che esista la parola “sottiletta”, che poi è una specie di nome proprio che indica ormai tutti i tipi di “formaggio sciolto (e non “fette di formaggio”, che è molto diverso) in forma quadrata rinchiuso in un involucro di plastica. Ne esistono di tutte le marche, e sempre sottilette vengono denominate (anche perché se no come le chiami?).
Secondo, già il fatto che sono chiuse una per una nella plastica mi dà un fastidio terribile, perché penso alla mole di inquinamento che ne deriva. Ma poi che tipo di plastica è? qualcuno ne sa qualcosa? è di quella che passa negli alimenti? Non è che poi ce la ritroviamo tra le notizie del tipo “uno studio bla bla bla dice che la plastica dei biberon cede sostanze nocive etc”
Oltretutto ho pure i miei forti dubbi che si tratti di plastica riciclabile.
Terzo, ma come si fa a dire che questa roba può sostituire il formaggio vero nelle ricette? Ricordo rabbrividendo delle lasagne con la sottiletta sciolta sopra, che forma quella specie di pellicola dura… bleah! :-P
È sempre senz’altro interessante passare di qua, ma caspita come è avvilente ogni volta scoprire con cosa abbiamo a che fare veramente. Che non fossero un prodotto di qualità, beh era immaginabile. Ma vi rendete conto di come la gente fa la spesa senza alcun criterio?e non vale solo per le sottilette. Vedere i carrelli della spesa altrui mi annichilisce per la maggiore!
Le sottilette sono agghiaccianti, è l’unico termine che mi viene in mente. Lo considero, e l’ho sempre considerato, un prodotto di plastica (e non solo per l’involucro di cui parla izn) perché la loro consistenza e il loro sapore, aihmé, mi fa pensare proprio alla plastica. Bleah!
Invece vorrei chiedere al Professore se gli andrebbe di scrivere qualcosa sulla ricotta. Mi sono incuriosita molto…
Ammazza che porcheria!
Io mi ritengo fortunato e non ho mai avuto la passione per le sottilette (cosa che invece molti miei coetanei avevano e tutt’ora hanno). Sono stato svezzato a panini con crudo e mozzarella ORIGINAL e non mi dimenticherò mai quella volta che mia madre mi diete il cosiddetto “cugno”, il paninazzo grosso quanto una faccia di un bimbo di 6 anni, in mano e mi cadde rovinosamente a terra e piansi per ore.
Per fortuna l’argomento “sottilette” non mi tocca perché mi fanno schifo. Anni e anni fa ne assaggiai una per la prima volta, e la sputtachiai tutta. Oltre alle ovvie schifezze con cui vengono fatte, come si fa a dire che siano buone? Sanno di plastica!
Volevo supportare Sonia nel suo rabbrividire guardando, poco ecumenicamente, nel carrello altrui: ieri, proprio dopo aver fatto una lunga chiacchierata al telefono con Izn, ero sull’autobus e colgo sprazzi di conversazione tra due signore, età circa 50 anni: “le ho fatte (ignoro cosa) con il Galbanino che mi era avanzato e poi… hai presente i bastoncini di salame? Ecco ne avevo una confezione aperta da un po’ e quindi li ho spezzettati e aggiunti”.
Che paura!!!
Articolo molto utile, grazie… fa senso pensare che le persone lo credono “formaggio”
E quanti bambini crescono con il quotidiano toast: pan carré – prosciutto cotto – sottiletta…
Il problema è che piace proprio molto a tanti adulti… secondo me deriva dal solito “imprinting infantile”… e vedo che le usano anche volentieri i studenti … che tristezza!
Sabine, e’ vero!! Io sono della generazione dei “toast”, quelli fatti col pan carre’ di quel mulino li’, prosciutto e sottilette. Quanto mi piacevano quando ero alle medie… secondo me il segreto stava nel “fuso e salato”. Mia figlia non sa cosa sono, ma secondo me le piacerebbero, se le provasse (evito sperando nell’imprinting :-) ).
Comunque qui da noi, cultura alimentare anglosassone suppongo, al bar i sandwich e i toast li fanno tutti col gouda o col cheddar, o dei surrogati, non so. So che, per quanto mi riguarda non sono tanto meglio. E’ proprio il fatto che quando un formaggio lo fondi, secondo me, perde tanto di sapore e si sente solo l’unto e il salato (cosa che, tu mi insegni, piace molto ai bambini. Per questo “viro” sempre su altri cibi salati, con la piccola, tipo pesto di olive, capperi, acciughe… :-)
eh bè claudia, ma il tomino alla piastra dove me lo metti ?!?! :-)
@Claudia, siamo tutti sopravvissuti a questi cibi “moderni”… io adoravo la “Bierwurst” con senape…(sic) La fortuna era che facevo 40 minuti di salita a piedi (+sudata) per arrivare a scuola… e nel pomeriggio fuori…compiti 1, massimo 2 ore… solo al liceo diventavano 3-4 ore al giorno.
Che dire; molto meglio un bel patè di olive, capperi, acciughe come proponi giustamente tu… oppure burro buono (da pascolo) + acciughe… o semplicemente sale alle erbe :-)
Bè, io sono cresciuta con pane (quello giusto), burro, marmellata, o frutta, bandite le schifezze, toast fatti con fette di pane (quello giusto), mozzarella, pomodorini, qualche volta il prosciutto, mai assaggiate sottilette nelle mia infanzia-adolescenza. consapevole che siano schifezze…ma mi piacciono (solo alcune). Aggiungo al mio outing, per renderlo completo, che a volte, anche se molto raramente, non resisto, le compro e le mangio, ben sapendo che sono porcherie.
Su di me l’imprinting ha funzionato (credo sia quello che poi mi fa leggere, e seguire, il pasto nudo), ma il piacere della trasgressione fa sempre capolino…
[…] Le sottilette camuffate da formaggio […]
Gentile Matteo,
i formaggi fusi sono nati alla fine del 1800 e si sono sviluppati a partire dai primi anni del 1900 come metodo di conservazione del formaggio (originariamente per le razioni dell’esercito). Oggi sono prodotti di servizio con una loro identità specifica e con modalità di utilizzo che li collocano a fianco degli altri formaggi, freschi e stagionati, senza che gli uni debbano sostituirsi agli altri.
Si utilizzano formaggi a breve stagionatura, soprattutto Emmental, Gouda, Fontal, prodotti appositamente perchè hanno una struttura che si adatta particolarmente bene al processo di fusione. Ai formaggi si aggiungono altri ingredienti, soprattutto lattieri, come per esempio la mozzarella, presente nella ricetta di Sottilette Fila e Fondi, per dare al prodotto la sua caratteristica fondibilità, e la crema di latte che contribuisce alla cremosità di Sottilette le Cremose.
Ogni ingrediente ha una sua funzione, il burro apporta morbidezza e spalmabilità, i sali di fusione (citrati di sodio) permettono alla proteina di passare dalla forma rigida del formaggio a quella morbida e fluida del formaggio fuso.
Il dosaggio di ogni ingrediente e la scelta dei formaggi utilizzati caratterizzano ogni formaggio fuso rispetto al sapore, alla consistenza e all’aspetto.
La produzione dei formaggi fusi deve poter garantire che il prodotto finale sia sempre uguale e che non presenti differenze di gusto e struttura, se fossero fatti utilizzando scarti questa condizione non sarebbe mai raggiungibile, perché la materia prima sarebbe sempre diversa.
Sebbene la legge ammetta l’utilizzo di alcuni conservanti per la produzione dei formaggi fusi, Sottilette ha deciso di NON farlo! Infatti le fette di Sottilette vengono prodotte seguendo un processo di pastorizzazione molto efficace: tale processo porta all’eliminazione di tutti quei microorganismi che farebbero deperire rapidamente il formaggio fresco.
Da più di 50 anni Sottilette rappresenta un marchio sicuro e affidabile perché si impegna costantemente per offrire un prodotto di qualità riconosciuta grazie all’uso di materie prime selezionate e all’attenzione ai processi produttivi. La qualità delle fette di Sottilette viene garantita inoltre da numerosissimi controlli interni oltre a quelli costanti e approfonditi delle autorità sanitarie di controllo.
Spesso il marchio Sottilette viene utilizzato in modo improprio per indicare le altre marche, o addirittura l’intera categoria dei formaggi fusi, ti chiediamo quindi di fare un’errata corrige dal momento che non può essere citato un brand come identificazione di una categoria.
Grazie e buona giornata.
@Sottilette: mi dispiace moltissimo, non ero a conoscenza di questa informazione, e nell’articolo abbiamo utilizzato la parola “sottilette” per identificare fettine di formaggio fuso in genere, assolutamente non le Sottilette Kraft in quanto tali; infatti tutte le volte la parola è scritta con la l’iniziale minuscola, in quanto sostantivo, non come marchio. Ho provveduto a inserire un’errata corrige in fondo al post, spero che sia sufficientemente chiaro per fugare ogni ulteriore dubbio.
@Sottilette: Izn ha fatto la correzione semantica richiesta. A me resta da dire che i formaggi fusi rispetteranno anche tutte le norme di igiene e sicurezza alimentare, ma per composizione (tanti ingredienti oltre a quelli canonici del formaggio-formaggio, cioè latte, caglio e sale) evocano soltanto alla lontana i formaggi cui gli italiani sono avvezzi da tempo immemorabile. Se i nostri connazionali consumano formaggi fusi invece di un buon formaggio di antica e nobile tradizione è perché sono storditi dalla pubblicità incessante che si fa.
Mi chiedo poi, quanto i trattamenti termici di pastorizzazione (a proposito, a che temperatura si pastorizza il vostro formaggio fuso?) possano influire sulla qualità nutrizionale, organolettica e funzionale del prodotto. E poi la mozzarella che si aggiunge in un tipo di questi formaggi fusi. Ma quando s’è vista una mozzarella che si può consumare dopo mesi e mesi di conservazione a temperatura ambiente. Si tratta di una mozzarella imbalsamata, bella anche da vedersi, come una mummia, e come una mummia ha ben poco da dire al palato e all’olfatto. Forse per andare alla guerra, meglio i formaggi fusi che niente, ma in tempo di pace meglio una signora robiola o una signora mozzarella prodotta il giorno prima. E poi perché no una bella ricotta che è pure spalmabile come i formaggi fusi?
Ok, da consumatrice moolto occasionale di sottilette (termine generico) vorrei dire comunque che non solo sono d’accordo con il prof. ma che quando le mangio so che non sto mangiando formaggio perchè non hanno lo stesso gusto del formaggio “vero”. Da brava lettrice di Izn ho iniziato a comperare quelli fatti nel modo giusto, li trovo in alcune aziende in collina vicino a me, e il loro sapore è lontano anni luce (in senso positivo, ovviamente). Andando oltre, anche i formaggi industriali ormai per me sono un non-formaggio. Tutta questa pappardella per dire: ma quelli che riempiono il carrello di non-formaggi (per altro spesso cari) non-frutta ecc. non si rendono conto? Ecco, non voglio ragionare sugli ingredienti, perchè ovviamente non tutti i consumatori hanno voglia di farsi una cultura in questo campo, ma ciò che mi stupisce è questa massificazione del gusto, per cui si mangiano cose che ricordano solo vagamente ciò che sono. Esco dal tema un attimo, recentemente sono approdata all’ultimo alimento “consapevole” che mi mancava: il vino. Dopo averne provati tanti,anche biologici, ho trovato un produttore veramente artigianale (finalmente!!!) e quando ho assaggiato il suo vino mi sembrava strano. “Tutti quelli che lo bevono per la prima volta rimangono dubbiosi” mi ha detto lui “perchè non sono più abituati al gusto del vino vero, senza nessuna aggiunta”. Ma a quale livello siamo arrivati? E grazie grazie grazie a Izn che mi ha fatto (ri)scoprire un mondo quasi perduto.
Salve Prof. Giannattasio esco un po’ fuori tema perchè mi piacerebbe conoscere la sua opinione sulla questione dell’acrilammide, di cui ho sentito parlare solo recentemente, e che sembra essere abbastanza allarmante.
Grazie