Io mi indigno ogni volta che, durante la trasmissione di Fazio “Che tempo che fa”, la bella statuina Filippa Lagerbäck, negli intervalli tra un ospite e l’altro, fa pubblicità ad una marca di chewing gum.
Mi indigno perché avverto che il buon tono con spunti culturali della trasmissione viene sfruttato per fare della pubblicità, e per di più ad un prodotto che ai tempi lontani della mia infanzia era vietato ai ragazzi di buona famiglia perché il masticarlo era considerato un comportamento volgare (o tempora, o mores!).
Qualcosa di simile, anzi di peggio, avviene settimanalmente sui due principali quotidiani italiani, La Repubblica e il Corriere della sera. Il primo, nell’uscita del martedì, e il secondo, in quella della domenica, hanno un inserto dedicato alla salute. In questi inserti, oltre a veri e propri articoli, di solito ben documentati e con tanto di firma di chi li scrive (di solito medici o giornalisti esperti del campo), ce ne sono altri che si configurano come “pubblicità redazionale”.
Si tratta di una nuova forma di pubblicità, meno aggressiva e volgare di quella cui siamo abituati, fatta di spazi all’interno dei giornali in cui campeggiano immagini, di solito donne scollate, che evocano fantasie pruriginose e slogan ad effetto. Ma più subdola, perché finge di informare mentre invece rifila messaggi promozionali.
La pubblicità redazionale ha questi requisiti:
a) compare su quotidiani o periodici ed è pagata da chi vuol fare pubblicità ai suoi prodotti;
b) viene redatta sotto forma di notizia o di servizio di informazione giornalistica;
c) è evidenziata da un’impaginazione e una grafica che dovrebbe teoricamente far comprendere al lettore che sta leggendo della pubblicità ma che, in effetti, è tale da fargli credere che sta ricevendo una corretta informazione.
Un trucco per conseguire questo scopo è il suo inserimento all’interno di rubriche che contengono articoli di divulgazione scientifica.
Può il lettore rendersi conto che quello che sta leggendo è pubblicità redazionale? Sì, perché essa deve riportare l’indicazione dell’agenzia pubblicitaria che la cura. Ad esempio nel caso di Repubblica è l’agenzia “A. Manzoni e C.” e in quello del Corriere “RCS Pubblicità”. Da tener presente anche che i pezzi non sono firmati e le pagine da essa occupate non sono numerate.
Dopo questa doverosa premessa, passo a fare qualche commento sulla pubblicità redazionale apparsa nell’inserto sulla salute de La Repubblica di ieri. Essa occupava le due pagine centrali dell’inserto e comprendeva diversi pseudo-articoli scientifici che trattavano la “gluten sensitivity”, una forma di intolleranza al glutine, differente dalla celiachia, di cui si parla tanto dopo le ricerche compiute congiuntamente da ricercatori italiani e americani.
Il tutto era condito con immagini ad effetto, di chiaro stampo pubblicitario: la classica famiglia giovane e sorridente a tavola, il bambino che addenta un pezzo di pane, le foto di tre ricercatori coinvolti nella ricerca sulla “gluten sensitivity” che danno l’impressione di fare da testimonial al posto di famosi giocatori di calcio o di stelline della televisione.
Di questo disturbo intendo parlarvi in dettaglio in un prossimo post.
Qui voglio solo farvi presente che, ad una lettura attenta di quanto è scritto, si evince chiaramente che l’industria che si fa pubblicità è la ditta Schar. Perché ha interesse? Perché è leader nella produzione degli alimenti senza glutine destinati ai celiaci.
Una raccomandazione è d’obbligo. Sulla “gluten sensitivity” si è già scatenata la cupidigia delle industrie che producono alimenti senza glutine e per tali alimenti c’è da temere un’ondata di pubblicità redazionale sulla carta stampata e tanta disinformazione sui tanti siti web poco trasparenti. E già circolano in rete proposte di test di autodiagnosi per la “gluten sensitivity” e la notizia, del tutto falsa, che questo disturbo faccia ingrassare.
Io sono convinto da tempo dell’esistenza di una forma di intolleranza al glutine diversa dalla celiachia, fortunatamente non grave (niente autoimmunità) e a carattere transitorio. Sono però dell’avviso che oggi si rischia di diventare preda di questa pubblicità e tanta gente verrà messa a dieta priva di glutine senza averne bisogno. Perché? Perché si vendano i prodotti della Schar o di altre ditte similari, che tra l’altro si acquistano solo in farmacia o in negozi superspecializzati che vendono esclusivamente prodotti per celiaci.
Tante persone già prendono farmaci senza averne bisogno, mettiamole senza motivo pure a dieta senza pizza e pasta e il quadro è completo (e deprimente).
Allora a presto per parlare della “gluten sensitivity” (è una denominazione che fa tanto glamour) e di come fronteggiarla con la dieta, se sfortunatamente se ne soffre… ma andando il meno possibile, anzi senza andarci proprio, in farmacia, per comprare i costosi prodotti industriali senza glutine. Io alcuni di questi prodotti li ho saggiati, non hanno glutine, è vero, ma sono farciti di grassi e zuccheri. Di dietetico hanno davvero molto poco.
Grazie professore per il suo prezioso post. Essendo mamma di una bambina celiaca usufruisco spesso di prodotti della ditta in questione, che il servizio sanitario nazionale eroga a tutti i malati di questa patologia e posso confermare che effettivamente non sono affatto dietetici. Meglio sarebbe optare per materie prime prive di glutine e fare in casa in prodotti, come biscotti, torte, ecc. Purtroppo nel mio caso sono attenta alla provenienza di quello che mangio solo da poco tempo ed è difficile sradicare nella bambina l’abitudine al gusto di quei prodotti che effettivamente sono buoni. Sarebbe una bella sfida sperimentare ricette “consapevoli” senza glutine che siano anche buone al palato e quindi gradite alle persone che si trovano a dover fronteggiare una dieta spesso difficile perchè elimina pane, pasta e pizza, praticamente gli alimenti base della dieta italiana. Aspetto con interesse altri post di approfondimento.
…m’indigno anch’io x quella pubblicità delle gomme da masticare….ho pensato “siamo proprio alla frutta”…ma subito dopo ho detto:”eh già…magari fossimo proprio alla frutta….”…
Grazie x i suoi sempre preziosi argomenti…
Grazie di questo post, attendo con ansia il prossimo. Volevo sottolineare che a leggere le etichette di moltissimi prodotti per celiaci c’è da farsi drizzare i capelli!! Spesso per ovviare alla mancanza di elasticità delle farine senza glutine, vengono aggiunti ingredienti dai nomi tanto misteriosi quanto inquietanti.. I prodotti, specialmente quelli da forno, sono carissimi e spesso pieni, oltre che di grassi e zuccheri, di additivi di vario genere. Non sono celiaca ma ho evitato il glutine per un certo periodo perchè mi provocava diversi sintomi molto fastidiosi ed ho scoperto che è possibile farsi le cose da se partendo dalle materie prime naturalmente senza glutine e biologiche. Adesso sto lentamente reintegrando il glutine mangiandolo un paio di volte al mese e mi sembra non ci siano problemi… Sarò anch’io una sensibile al glutine? Aspetto anch’io eventuali post di approfondimento, intanto grazie ancora
Se proprio volesse aiutare le famiglie con persone celiache, lo Stato dovrebbe eliminare l’obbligo di comprare in farmacia o nei negozi superspecializzati i prodotti confezionati senza glutine della Schar e ditte similari. In tal modo ognuno potrebbe impiegare il contributo per comprare ingredienti normali (e non costosi) per preparare in casa il cibo senza glutine.
Non è che il contributo viene erogato per favorire non tanto le famiglie con celiaci quanto le ditte produttrici di alimenti senza glutine?
E ora dico qualcosa che può sembrare un’eresia.
A mio avviso il contributo potrebbe essere anche eliminato e i soldi risparmiati usati per altre iniziative socialmente utili per tutti i ragazzi (darli agli ospedali, alle scuole ecc.).
La cucina senza glutine infatti richiede lo stesso impegno e gli stessi ingredienti (eccetto i pochi a base di glutine ovviamente) della cucina normale. Ho suggerito a IZN di incominciare a dare ricette di piatti senza glutine che sono saporiti e salutari e che tutti i componenenti della famiglia possono consumare.
A mio avviso sarebbe bene che *tutti* riducessero il consumo di cibo con glutine alternando cereali con glutine (grano, orzo e secale) con altri senza glutine come riso, mais e miglio. E poi bisogna smetterla con l’abitudine di mangiare la fetta di pizza tutti i giorni come pasto di mezzogiorno. Perchè il glutine è la proteina (meglio dire il complesso di proteine) che in assoluto è la più difficile da digerire. Una prova? Chi va a mangiare la pizza alle 11 di sera si accorge che resta sullo stomaco per tutta la notte (ma se è lievitata con pasta madre no!).
Poi tengo a dire che mi indigno quando la potente Associazione Italiana di Celiachia ti organizza i campionati di calcio per ragazzi celiaci; questa è una maniera, assurda, di trattare i ragazzi celiaci come dei diversi.
Ma siamo pazzi?
A presto per il primo post sull’intolleranza al glutine, che è un’espressione vaga che che genera tanta confusione perchè include diversi disturbi, dalla celiachia alla semplice difficoltà di digerire il glutine e alla moderna “gluten sensitivity”.
Grazie Prof per il suo prezioso lavoro. Questo argomento è un bellissimo/tristissimo esempio sulla “colorata spazzatura di informazioni” che ci piove addosso ogni giorno. La consapevolezza rimane l’unico scudo efficace.
Adoro questo blog, sempre di piu’.
Quando vivevo in Germania conobbi un medico, il pediatra di mia figlia, che mi suggeri’ di non mangiare troppi alimenti tipici da italiani (pasta di grano, pane bianco con lievito di birra, pizza, piadine, focacce) e troppo zucchero bianco.
Io rimasi sbigottita, perche’ consideravo la dieta mediterranea come la migliore in assoluto. Poi, studiando la faccenda (anche grazie agli splendidi articoli del professor Giannattasio sui cereali – presi dalla biblioteca del pastonudo), mi accorsi che la vera dieta mediterranea non era quella. Chiesi: ma cosa mangio, allora, senza la farina? Lui sorrise e mi disse: tutto il resto, ed e’ molto, credimi, ed anche piu’ buono, a saperlo scegliere.
Ho iniziato a frequentare il negozietto del mitico Hubert, ex contadino biodinamico espropriato dall’isola di Ruegen (che la terra da costruzione fa gola a tutti), e mi si e’ aperto un mondo. Miglio, farro, avena…orzo li’ no, per esempio, perche’ diceva che “rinfrescava troppo”, mentre sul mar Baltico di tutto hanno bisogno tranne che di essere rinfrescati! Molta avena, invece.
Insomma, sono convinta da anni che diversificare i cereali ed eliminare o diminuire molto la farina di grano 00 farebbe un gran bene a tutti. E’ solo una questione di pigrizia (mentale, soprattutto) e di inerzia. ma una volta partiti non si torna piu’ indietro! Grazie ancora.
PS: deve essere una specie di virus a livello mondiale, visto che anche qui in SudAfrica l’unico negozietto di “cibo sano e biologico” che ho trovato finora (soprannominato “la farmacia”, ndr) pubblicizza i suoi prodotti gluten-free ;-)
Anche io leggendo Repubblica mi ero resa conto di questo fatto: è fastidioso, perché moltissime persone vengono tratte in inganno dal layout giornalistico e dalla sede dell’annuncio, concludendo che quella pubblicità sia in realtà vera e propria informazione scientifica. Scrivere al quotidiano per protestare servirebbe a qualcosa?
Sono d’accordo. Le bugie ed omissioni contenute negli spot televisivi o nelle inserzioni sui giornali sono spesso difficili da individuare; ma ancora più pericolosa è la c.d. “pubblicità non trasparente” quando dietro la firma del “giornalista” o dell'”esperto” si nasconde un’azienda che promuove il suo prodotto senza badare troppo al sottile: in quesi casi è più facile cadere in inganno perchè psicologicamente si è meno “preparati” a leggere tra le righe. Purtroppo i casi sono frequentissimi (se volete avere qualche esempio potete leggere questo articolo); gli inserti dei quotidiani offrono tanti esempi.
Scrivere ai quotidiani non penso sia molto utile; più efficace è denunciare queste forme di pubblicità, vietate dalla legge, all’Antitrust: e ognuno di noi può farlo, magari dopo esserci consultati tra noi…
@ Prof.: ho letteralmente divorato il post, davvero interessantissimo. Proprio ieri sera, su una rete televisiva che non ricordo, ho visto la prima puntata di un reality di cucina: ho proprio notato che, durante la sigla iniziale, compare una scritta che avverte che verranno usati prodotti di marche note con preciso scopo pubblicitario. Se non altro è onesto e avvisa. Giusto?
Grazie, come sempre!
@ Giulio Marotta: addirittura due super-esperti del Pasto Nudo presenti *contemporaneamente*… Che dire, GRAZIE!
Grazie per la segnalazione dell’articolo: ho divorato anche questo con grande interesse.
@ Entrambi: mi sorge una domanda: rientrano in un qualche tipo di pubblicità occulta i loghi di importanti case produttrici di cose per la cucina (dagli alimentari all’attrezzatura, grande o piccola), che sempre di più campeggiano in grande movimento nelle pagine web dei numerosi blog di cucina sparsi per la rete? Io personalmente diffido dei blog che hanno tutti questi loghi: mi irritano un pochino e mi danno la sensazione di non essere liberi (gli autori, ovviamente) e, perciò, ho la sensazione di essere privata anch’io della mia libertà (senza esagerare…). Ha senso quello che scrivo?
Grazie infinite anche per la pazienza di avere letto questo lungo commento…!
Buona notte a tutti,
Sara.
Condivido il consiglio del Prof. di ridurre il consumo di glutine, in generale. Io non ho alcuna allergia/intolleranza al glutine, però mi sono accorta che – prima di tutto – non sempre ho voglia di mangiare il pane o la pasta e – secondo – ho provato su di me una settimana di vacanza in cui non c’era pane da mangiare (se non delle gommosissime “baguette” fatte lievitare con il lievito chimico a cui ho rinunciato con assoluta facilità): beh, mi sentivo decisamente più leggera. Quando mi capita di magiare una/due fette di pane (rigorosamente con farine tipo 2 e con lievito madre) ad ogni pasto, ho la sensazione di avere l’intestino “legato”… in fondo, il glutine nel pane cosa fa? Crea una maglia!
Per adesso, la mia unica alternativa è il riso (che mi piace molto, peraltro); altri cereali, come dice Claudia, è questione di pigrizia…!
@ izn: cavolo, che bello se ci sfoderassi qualche ricettina gluten-free!
Ri-buona notte,
Sara.
P.S.: mentre scrivo, ho in sottofondo la pubblicità di uno di quei super-citati prodotti anti-osteoporosi, dove una famosa attrice scende le scale di gran carriera… Oh poveri noi!
… Poi basta, giuro!
Andate a vedere questo…
Non ho parole!!!!!!!!!
@sara: un po’ di ricette gluten free già ci sono in realtà, ma anch’io mi sto orientando sempre di più a diminuire il frumento (oltre che ad aumentarne la qualità), quindi ce ne saranno sicuramente molte altre in futuro :-)
Per quanto riguarda i banner pubblicitari sui blog di cucina (credo ti riferissi a quelli quando parlavi di loghi) purtroppo per chi fa quello che sto facendo io è l’unica fonte di retribuzione che un blog possa offrire. La discriminante è sicuramente *il tipo* di banner, vale a dire scegliere aziende nelle quali si crede veramente e che non vadano contro la filosofia che si porta avanti, e *il come* si fanno certe cose, che nelle mie intenzioni vuol dire assoluta trasparenza.
Ma ve ne parlerò presto in un post dedicato proprio all’argomento.
Spero che questo non ti farà diffidare del pasto nudo, sigh! :-/
@ izn: cavolo, non ci avevo pensato…! La mia è proprio *ignoranza*.
Ti pare che posso diffidare del pasto nudo (peraltro sono fornitrice attiva di alcune materie prime… Giusto?) ?!? Finchè la direzione è questa, va benissimo!
Un abbraccio,
Sara.
Grazie,ma veramente,sto inviando questo articolo ad una marea di amiche che sono state prese dalla moda(chiedo scusa del termine moda, ma mi da quest’impressione)delle intolleranze (mi spiegate ,per piacere, come funziona questo test?So che ti fanno tenere in una mano una boccettina e con un affare di metallo rilevano sull’altra mano l’intolleranza).Ho notato che è un grande affare negli ambulatori dei nutrizionisti dove viene spacciata come pseudo dieta,con l’idea che basta eliminare degli alimenti e mangiare come si vuole gli altri, per dimagrire,ora non voglio essere polemica,ma ho fatto notare ad un’amica che guarda caso sono tutte intolleranti alla farina,all’olio,allo zucchero, ai grassi, e per forza che dimagriscono……..Hofatto leggere ad una amica il post sulle farine(grande izn, come ringraziarti per questo blog)ed è rimasta stupefatta.
Sara (I°lab)anch’io ho eliminato il pane per una settimana ed effettivamente mi sentivo più leggera,ma credo per il fatto che il pane che mangio non è buono(Izn quando fai un laboratorio a Napoli),da tempo lo sostituisco con le friselle(acquistate in forno di famiglia dalle mie parti in salento)e mi sembra che le accetto meglio, mi spiegate perchè?Scusate la lunghezza,ma anche l’argomento delle pubblicità mi fa indignare e sono daccordo con Giulio Marotta se si fa qualcosa io sono con voi.
sono ovviamente d’accordo con il professore; la via, anche secondo me, è quella di diversificare l’uso dei cereali, cercando oltretutto, laddove sia possibile, di usare i chicchi e non solo le farine.
il problema maggiore non è tanto convincere di questo i lettori del pasto nudo (che tanto già lo sanno) ma il resto della popolazione.
@Elena: hai perfettamente ragione. Peró, e parlo per me, non é mica detto che il fatto di sapere le cose poi significhi automaticamente farle (per esempio, a parte l´orzo, il miglio ed il riso, io i cereali in chicchi ancora non ci riesco, a mangiarli, pur sapendo che sarebbe meglio)…io un po´ di teoria la so anche, leggo le etichette, e quello della ricerca del cibo giusto per me e per la mia famiglia é il mio terzo lavoro (e, dopo quello di madre, il piú faticoso, specie qui a Johannesburg).
Penso di essere sulla buona strada, quantomento se mi paragono a chi fa come le scimmie e chiude gli occhi per non sapere cosa mangia. Peró, da quando leggo il pastonudo penso anche che ne so veramente poco, di come funziona il mio corpo, delle interazioni tra cibo industriale e benessere fisico e mentale (un esempio su tutti il post sul tacchino e l´acido lattico di qualche giorno fa)…i post tuoi, di sabine, di matteo, sonia che fa da regista e divulgatrice, Giulio che ci apre gli occhi su chi vuole convincerci dell´opposto e tutti i lettori con i loro commenti… beh, io mi sento come mia figlia che sta imparando a leggere e scrivere.
Poi, quello che imparo qui lo dico a mia sorella, o a mia madre, o posto gli articoli sul mio profilo di facebook, o li inoltro ad altri amici che hanno la posta elettronica. Ne parlo con le altre mamme della scuola materna, quando si va sul discorso… in Germania scrivevo progetti a tema, organizzavo incontri alla scuola materna con pediatra ed esperti…qui a johannesburg é tutto nuovo, e mi sembra che chi puó mangiare lo faccia proprio senza pensarci.
Sto raccogliendo le etichette dei cibi che trovo, in vista di un progetto con i ragazzi delle superiori. Chi ha figli a scuola puó proporre incontri e progetti. Gli insegnanti sono sempre alla ricerca di idee nuove! Tutti possiamo fare qualcosa.
Io attingo alla fonte del pastonudo per moltissimi spunti!!!
Baci (e aspetto ancora la lista degli alimenti ormoni maschili-ormoni femminili, non credere che io abbia dimenticato! ;-))
@Elena: ciaooo! la questione dei piatti preparati con i chicchi andrebbe forse risolto alla base; istruire le mamme con figli appena nati… diamoci da fare-tutti giorni un pochino.
@izn: forse potrebbe essere utile fare una raccolta di piatti tutti a base di chicchi; cotti-germogliati-messi in ammollo-macinati o schiacciati freschi-etc… per uscire dalla pigrizia delle farine. Sempre più mi rendo conto che i semi sono veramente indispensabili in quanto custodi e donatori di pura “forza vitale”. (una bella nuova rubrica tipo “semi vitali”).
@Claudia: un’idea fantastica la collezione/raccolta delle etichette; ti copio subito :-)) appena trovo qualche maestra di scuola lo suggerisco… è un bel lavoro di gruppo a costo zero e alta consapevolezza da fare con i ragazzi a scuola.
@matteo giannattasio: sono d’accordissimo con lei su tutto tranne sul commento a proposito dell’Associazione Italiana Celiachia.
A parte il fatto che non mi ero accorta che fossero particolarmente potenti, ma forse sono io che sono ingenua. Per quanto riguarda il campionato di calcio non è tra celiaci ma è aperto a tutti, le squadre sono miste e l’intento è la socializzazione, le partite si chiudono con una cena senza glutine, a cui partecipano tutti, celiaci e non.
Anch’io ci tengo a precisare, inoltre, che se oggi le persone celiache hanno la possibilità di sentirsi a proprio agio e non “diverse” è proprio grazie all’AIC. Sono loro che hanno fatto sì che in Italia sempre più locali, ristoranti e gelaterie potessero offrire un menu adatto ai celiaci in completa sicurezza, grazie a una procedura che comprende la diffusione presso i ristoratori delle conoscenze a proposito di precauzioni e procedure da seguire per cucinare cibi senza glutine.
Sempre grazie all’impegno dell’AIC sono entrate in vigore precise regole per quanto riguarda le mense scolastiche, come ad esempio il fatto che i bambini celiaci devono avere un menu uguale a quello degli altri bambini (per dire, se il menu prevede polpette, i bambini celiaci avranno uguali polpette ma senza glutine; se il menu prevede spaghetti, i bambini celiaci devono avere spaghetti e non penne o fusilli) in modo da evitare discriminazioni e differenze che possono influire negativamente sulla serenità dei piccoli.
Un aspetto molto sentito infatti dai malati di celiachia è quello della socialità: avete mai pensato a come si può sentire un adolescente che si scopre celiaco a non poter uscire con gli amici a bere una birra o mangiare una pizza? Fino ad alcuni anni fa questo non era possibile, adesso invece sempre più locali offrono birra e pizza senza glutine.
Lo so che la pizza è meglio consumarne di meno e prepararsela da sè, In ogni caso questo principio vale per tutti, certo, ma resta comunque il dato oggettivo che in un paese dove gli ingredienti principali sono la pasta e il pane doversene privare per motivi di salute può essere difficile soprattutto a livello psicologico (poi diventiamo tutti lettori del pasto nudo e le cose migliorano… ma nel frattempo?).
Altra cosa fondamentale, importantissima, che fa l’Associazione Italiana Celiachia è il Prontuario degli alimenti senza glutine: una pubblicazione annuale che riporta l’elenco completo di tutti i prodotti sicuri, industriali e artigianali, che i celiaci possono consumare, nonchè tutti gli esercizi commerciali (compresi alberghi, gelaterie, ristoranti) che offrono menu senza glutine in Italia. È uno strumento indispensabile per chi è affetto da questa malattia, l’Associazione controlla le aziende e gli stabilimenti per garantire che i prodotti non contengano glutine. Credo che sia un lavoro molto prezioso, per me lo è stato.
E se i prodotti senza glutine invece di sparire dal mercato diventassero sempre più diffusi e di migliore qualità? Cosa che comunque sta succedendo, grazie ad altre aziende concorrenti di quella citata?
@mirella: Non sono più socio dell’Associazione Italiana Celiachia (AIC) da una decina d’anni e quanto riportavo a proposito delle partite di calcio tra ragazzi celiaci si riferiva a diverso tempo addietro. Se ora le cose sono cambiate, tanto meglio, vuol dire che si sono accorti che prima sbagliavano.
Riconosco che l’operato dell’AIC possa essere utile alle famiglie con celiaci, ma alcune cose non mi vanno proprio a genio:
a) che non abbia mai fatto niente per spingere le ditte a produrre alimenti senza glutine di qualità;
b) nel Notiziario che invia ai soci che pagano 35 euro all’anno, più della metà delle pagine è riempita dalla pubblicità delle ditte che producono alimenti per celiaci;
c) non pone abbastanza l’accento sulla possibilità che si possa cucinare saporito e salutare con alimenti freschi, quindi senza ricorrere ai prodotti industriali che tanto, ma proprio tanto, reclamizza.
E’ legittimo chiedersi da che parte è schierata l’AIC, se da quella delle famiglie con celiaci o da quella delle industrie che producono alimenti per celiaci.
Per quanto riguarda il problema sociale che la celiachia comporta, non è il torneo di calcio, nè l’andare a consumare pizza e birra senza glutine che possono risolverlo. Purtroppo oggi, nonostante l’AIC, il problema non è ancora abbastanza sentito dalle istituzioni e le famigle se la devono ancora sbrigare da sole.
Dunque, le ho contate: nel numero 2 del 2011 di Celiachia notizie, su un totale di 134 pagine ci sono circa 50 annunci a pagina intera, quasi tutti di aziende produttrici di alimenti per celiaci, e 25 a mezza o un quarto di pagina, che sono però praticamente tutti di negozi o alberghi che offrono menu senza glutine. Le restanti pagine sono ricche di articoli interessanti, spazi alle iniziative delle delegazioni locali, approfondimenti sul valore nutrizionale dei cibi.
Sono d’accordo sul fatto che anzichè promuovere unicamente i prodotti industriali dovrebbero dare più attenzione all’uso di alimenti freschi, ma questo vale in generale. Sarebbe consigliabile per tutti tornare alla cultura dei cibi sani e freschi e alla preparazione casalinga.
Se è legittimo chiedersi da che parte è schierata l’AIC, è anche importante informarsi su qual’è la posizione che l’associazione dichiara: nel numero già citato c’è un articolo proprio sulla “gluten sensitivity”, in cui il presidente dell’AIC dichiara che l’associazione si propone di accogliere anche chi soffre di altre patologia legate al glutine oltre alla celiachia. In particolare si propongono di raccogliere dati clinici sul tema e di “stimolare e anche finanziare, attraverso la Fondazione Celiachia, una ricerca scientifica non condizionata da interessi di mercato”.
Poi continua: “la crescita stimata di 6 volte dei consumatori potenziali di prodotti senza glutine è di certo di grande interesse per i produttori di un settore in espansione, sempre più attraente e che, però, resta ancora troppo oneroso in termimi di prezzo al consumatore.” …”nel 2010 il 13,4% dei prodotti alimentari negli USA è stato sg e molti sono coloro che caratterizzano la propria attività sulla dieta senza glutine, attratti dagli alti margini di profitto che i prodotti, molto costosi, garantiscono. Possiamo accettare di diventare una ricetta per il business e il profitto?”… “oltre che una ricerca scientifica disinteressata, serve una programmazione nella gestione delle tutele, di cui anche questi pazienti (cioè gli affetti da sensibilità al glutine) avranno bisogno, che sia sostenibile ed equa, che possa garantire, a che ne ha reale e fondata necessità, una piena compliance alla dieta, senza annullare o mettere in discussione quanto oggi garantisce il celiaco”.
Trovo che quest’ultimo punto sia molto importante: il rischio di fare confusione tra una diagnosi di intolleranza al grano o di sensibilità al glutine, che sono disturbi transitori, e una diagnosi di celiachia è grandissimo, c’è bisogno di un supporto scientifico chiaro e univoco sulle metodologie di diagnosi.
Se poi la citazione che ho riportato possa essere interpretata in vari modi, anche qui ognuno si faccia la propria idea, sul numero in questione della rivista c’è anche un altro articolo, più dettagliato e con chiari elementi scientifici a pag. 58, non sono riuscita a trovarlo sul web, se vuole tramite izn posso scansionarlo e inviarglielo via mail.
Mi sembra un po’ gratuita l’affermazione in cui dice che il problema sociale dei celiaci non si risolve andando a mangiare la pizza senza glutine, non era ovviamente mia intenzione fare un’affermazione così banale. Intendevo invece dire che nel primo periodo dalla diagnosi aiuta sapere che tante cose si potranno fare comunque. Inoltre per i bambini credo che sia molto importante non sentirsi diversi dagli amichetti e poter partecipare con loro ai momenti di socialità in cui si condivide il cibo.
Più che non sentito dalle istituzioni, trovo che il problema non sia sentito da molti medici, parlo soprattutto dei medici generici, che spesso non sono aggiornati, ed è anche per questo che ritengo sia fondamentale avere dei parametri univoci di diagnosi.
@mirella: Mamma mia. Mi sembrano un’enormità. in tutto sono 75 inserzionisti su 134 pagine?! Lo trovo agghiacciante.
Il fatto poi che l’associazione accolga anche gli intolleranti mi sembra (lo so, non è carino avere brutti pensieri, ma è che ne ho viste tante in questi anni) un tentativo di suggerire che anche gli intolleranti possono mangiare gli alimenti per celiaci tanto reclamizzati (e torniamo a palla sulla pubblicità).
Se posso permettermi, io credo che il professor Giannattasio stia cercando di far passare il concetto che in ultima (e anche in prima) analisi è il fondamento del pasto nudo: la consapevolezza.
La solita vecchia storia dell’insegnare al povero a pescare, invece di dargli un pesce, perché dandogli un pesce lui continuerà a dipendere da te.
Voglio dire, se queste aziende produttrici di alimenti per celiaci non ci fossero, come dovrebbe fare un celiaco a mangiare?
Potrebbe mangiare riso, quinoa, mais, e tante altre cose, magari non in forma di pasta, e vabbeh, il mondo è bello perché è vario e se un bimbo prende in giro un altro perché mangia diversamente da lui, allora i suoi genitori hanno un problema serio.
Che già chiamare una persona celiaca mi sembra assurdo, quasi come chiamare qualcuno “parkinsoniano” perché ha il parkinson, e creare una rete di locali e cibo per chi ha il parkinson! A quel punto chiunque avesse una patologia, dovrebbe avere il posto dedicato da frequentare, io formo facilmente calcoli renali, allora voglio locali per calcolirenalisti dove si beve solo acqua oligominerale e sono banditi spinaci, bieta, e ogni tipo di ossalato di calcio.
Secondo me i piccoli devono comprendere che possono (e potranno) fare *tutto* comunque, solo in modo diverso dagli altri, e che l’essere diversi è meraviglioso, è vincente, è sano; prima di tutto perché ti preserva dalla stupidità e dall’ignoranza; la gente che evita chi è diverso da sé non avrà mai l’onore di frequentare la tua bambina, e da grande sono certa che lei ne sarà molto felice, perché si ritroverà circondata solo da persone intelligenti e comprensive :-)
Perdonami se ho perso qualche aspetto che ti preoccupa, ovviamente parlare senza essere dentro la situazione è complicato. Anche se la mia infanzia non è stata caratterizzata esattamente da bambini comprensivi, e so bene cosa vuol dire avere grandissime difficoltà a integrarsi – però forgia il carattere, giuro.
@ izn: condivido il discorso sulla diversità. Dal mio punto di vista – anche di professionista – stiamo andando sempre di più verso l’appiattimento della diversità, verso l’omologazione. E’ una china troppo pericolosa per l’essere umano. Il cervello HA BISOGNO delle DIFFERENZE, PER IMPARARE. E come giustamente dici, da che mondo e mondo i bambini si discriminano a vicenda e siamo tutti qui vivi e vegeti.
Non sono celiaca, ma soffro di un’allergia seria e ho le stesse limitazioni che ha un celiaco: per me è stata la spinta per aumentare la consapevolezza in cucina e per attivarmi per cercare altre persone che potessero condividere i miei interessi e le mie inclinazioni… ed eccomi qui sul pasto nudo!
Buona Domenica a tutti,
Sara.
@izn: infatti, parlare senza essere addentro al problema è complicato.
Il fatto che l’associazione abbia intenzione di accogliere anche gli intolleranti lascia perplessa anche me, ma la loro giustificazione (ammesso che sia così) è che fornire notizie scientifiche certe su queste patologie, soprattutto sulla diagnostica, è importante, cosa su cui invece sono fermamente d’accordo. Quindi diciamo che sarebbe un peccato, dal momento che già il mercato si avventa sugli intolleranti al grano e i sensibili al glutine, perdere un serio punto di vista come quello che viene fornito dai consulenti e professionisti che scrivono sul notiziario dell’AIC.
Siamo perfettamente d’accordo sulla consapevolezza, altrimenti non sarei qui. Infatti concordo sul fatto che sarebbe meglio anche per i celiaci consumare cibi freschi e mi rammarico, come ho già scritto, che l’AIC non parli abbastanza (anzi, quasi per niente) di questo argomento.
Sul discorso della diversità è ovvio e implicito che una delle prime cose che il genitore fa è spiegare al proprio figlio che lui mangerà cose un po’ diverse dagli altri ma ugualmente buone e che gli fanno bene perchè lo faranno stare meglio, e questo un bambino è in grado di capirlo perfettamente. Però il problema pratico esiste quando il bambino verrà invitato all’uscita da scuola a casa di un amico, o a scuola la mensa non è attrezzata a cucinare pasti senza glutine. Non sempre la mamma è presente nell’immediato a preparare merende alternative o pranzi senza glutine e se le altre mamme o le maestre non sono aggiornate la cosa si complica. In teoria è tutto facile, la realtà quotidiana un po’ meno. E tanto per fare un esempio conosco casi di bambini grandicelli che per sentirsi uguali agli altri mangiavano merendine con glutine di nascosto dai genitori. Di nuovo, la realtà di solito presenta dei problemi che spesso la teoria non contempla.
Per quanto riguarda il paragone con il parkinson, non ci sono catene di locali solo per celiaci, ma ristoranti e pizzerie normali che possono soddisfare anche le esigenze di chi non può mangiare il glutine, così come ci sono pasticcerie che fanno anche dolci senza zucchero o gelaterie che offrono gusti con ingredienti da agricoltura biologica. Inoltre, a differenza del parkinson o di altre malattie, la celiachia È una patologia alimentare, cioè la dieta è tutto, è l’unica ed esclusiva cura, non prevede l’uso di farmaci, per cui mi sembra normale che quando si parla di celiachia di parli esclusivamente di alimentazione.
Sono d’accordo con te che i bambini che prendono in giro risentono dei problemi dei loro genitori, ma è mio dovere rassicurare mia figlia del fatto che non ha nulla meno di loro, anzi che deve essere contenta di non essere stupida come loro, e in questo mi può aiutare che lei possa frequentarli normalmente e non avere preoccupazioni o sensazioni di inadeguatezza in seguito all’impossibilità di mangiare alcune cose. Ripeto, se non si vivono quotidianamente alcune situazioni non si può giudicare.
Comunque il punto da cui è partita tutta la questione è il seguente: fermo restando che le aziende che producono alimenti senza glutine lucrano sulle disgrazie altrui e truffano il servizio sanitario nazionale con i loro prodotti dai prezzi assurdi, e che sarebbe senz’altro meglio per i celiaci consumare quinoa, riso, mais (ma che siano sicuri, prodotti in stabilimenti senza possibilità di contaminazioni con altre farine e magari biologici, per evitare ogm… sembra facile…) non vedevo il motivo da parte del professore di mettere in cattiva luce, con il suo commento, l’Associazione Italiana Celiachia, che ha aiutato e aiuta tante famiglie ad affrontare il problema nel modo migliore e ad avere, guarda un po’, proprio quella consapevolezza di cui parli.
Credo che quel commento sull’AIC è stato veramente fuori luogo oltre che fuori argomento, visto che nel redazionale di Repubblica del post iniziale l’AIC non è citata.
@ Sara: parli di pericolo di omologazione e anch’io credo che sono le differenze che ci arricchiscono, noi adulti e in particolar modo i bambini. Però nella parte finale del commento dici che cerchi personoe che condividano i tuoi interessi ele tue inclinazioni, come è normale in tutti gli esseri umani. Ed è proprio di questa condivisione che stavo parlando, non certo di omologazione. Diffondere il più possibile notizie e informazioni (come fa l’AIC) su un problema che ci affligge in modo che sempre più persone possano comprenderlo e capirlo mi sembra solo positivo.
Care(i) pastonudiste(i), non demordo sulla pubblicità redazionale, per cui ogni volta che ci sarà l’occasione, vi dovete sorbire un mio sermone.
Ci risiamo.
Sull’inserto della Salute della Repubblica c’è un’intera pagina occupata da una pubblicità redazionale intitolata “Speciale Salute: fertilità maschile”, e sottotitolata “Un aiuto dagli antiossidanti”), sempre a cura dell’agenzia pubblicitaria A. Manzoni e C (riportata in alto a destra).
Chi la legge, ignorante o ingenuo, è indotto a pensare che i maschi con problemi di fertilità basta che assumano integratori a base di antiossidanti e il problema per incanto si risolve.
E’ vero che nella pubblicità si dice che gli antiossidanti sono un aiuto ma non un rimedio, ma chi vuoi che, disperato per non poter aver figli, non provi anche l’integratore a base di antiossidanti?
Poi, in un riquadro in alto a destra della pagina, c’è l’elenco di tutti i potenziali nemici della fertilità (fumo, alcol, droghe, onde elettromagnetiche, stress e inquinamento).
Non è riportata però una causa di infertilità riconosciuta ormai come primaria, è cioè i pesticidi contenuti nel cibo (che i bambini assumono fin da quando stanno nel grembo materno). Questi sì che bisogna evitare di ingerire, soprattutto durante la gravidanza, l’allattamento al seno e lo svezzamento, se si vuole preservare la fecondità in età di procreazione. Perchè questa omissione? Lascio a voi la risposta.
Nella pagina pubblicitaria ci sono tante altre pseudoinformazioni scientifiche e non manca l’immagine propagandistica ad effetto del bambino che bacia un padre sorridente (che tristezza vedere l’immagine dei bambini in questa e tante altre pubblicità come quelle della Kinder alla televisione sfruttata per riprovevoli fini mercantili!!!). Ah, non ve l’ho detto, la ditta che sponsorizza questa pubblicità redazionale produce un integratore a base di antiossidanti.
Una raccomandazione di carattere generale: l’organismo umano non necessita di integratori, ma di un’alimentazione equilibrata, variata e priva, quanto più è possibile, di pesticidi, additivi, aromi, antibiotici e altre sostanze chimiche nocive. Se è proprio necessario assumerne, deve essere il medico (scrupoloso) a stabilirlo.
I quotidiani, anche quelli che vanno per la maggiore ridotti per sopravvivere a fare questo tipo di pubblicità! Che credibilità possono avere quando danno le notizie che ci interessano per davvero?
Nota: per essere equidistante domenica vi denunzierò la pubblicità redazionale che uscirà sull’inserto della salute del Corriere della sera).
Da celiaca diagnosticata in tarda età (39 anni!) questo post mi interessa davvero tantissimo. Attendo con il fiato sospeso la prossima puntata!
Il fatto è che “qualcosa non torna” con tutte queste diagnosi. Ultimamente non faccio altro che incontrare persone a cui è stata diagnosticata la celiachia da adulte (soprattutto donne). Non so davvero cosa questo significhi; del resto la diagnosi prevede gastroscopia, etc. quindi non è una cosa “inventata”. Però…
Da anni mangiavo in maniera sana e avevo smesso di comprare pane, biscotti, dolci, cose varie per la colazione perché me li facevo da sola (anche il pane con la pasta madre grazie a IZN)… improvvisamente mi trovo scagliata in un mondo in cui l’olio di palma, gli additivi, i grassi idrogenati sono all’ordine del giorno e non sono ancora riuscita a trovare un modo di mangiare in maniera secondo me “sana”.
Certo, ho ricominciato a cucinare e faccio molte cose senza glutine; mangio cereali integrali naturalmente privi di glutine, che per fortuna mi sono sempre piaciuti: grano saraceno, quinoa, miglio, amaranto, per non parlare del riso; però tante volte sono costretta (anche per mancanza di tempo, di organizzazione etc.) a ricorrere a merendine, biscotti industriali, pane “nella plastica”… e non mi va giù!
Non so cosa pensare. Forse soffriamo di una forma d’intolleranza al glutine diversa? Ancora mai diagnosticata? Inoltre, io non ho mai avuto i sintomi tipici della celiachia all’ingestione di glutine, a parte una forte carenza di ferro che non ho più. Sì, mal di testa, gonfiore, testa annebbiata… cose un po’ sfumate.
Scusate se ho scritto un papiro. Ma, come ho detto, non vedo l’ora che continui la discussione su questo argomento. Questo blog è veramente utilissimo oltre che bello… e buono… grazie :)
@behemoth: la prossima puntata tra qualche settimana, ma intanto la informo che la celiachia sempre più frequentemente viene diagnosticata avanti negli anni, di solito durante una gravidanza o una malattia acuta come può essere una forte influenza. In queste circostanze appaiono i sintomi classici della malattia e i test di laboratorio diagnosi positivi.
Comunque in queste persone, prima che si manifestino i sintomi classici a livello gastrointestinale, ce ne sono altri che devono far sospettare una celiachia; i più frequenti sono le anemie senza causa con relativa stanchezza, afte in bocca ricorrenti, paure notturne, a volte anche crisi che fanno pensare ad epilessia (e purtroppo vengono curati con farmaci specifici per l’epilessia mentre basterebbe levare il glutine), artriti precoci, alterata funzionalità epatica, tiroiditi autoimmuni e tanti altri sintomi. Nel suo caso quindi l’anemia con stanchezza avrebbe dovuto far sospettare una celiachia.
Premetto che sono capitato su questo sito per caso. Leggendo questo articolo mi viene da chiedere se io fossi un’azienda, e volesi vendere un mio prodotto che è veramente frutto di ricerchè naturali come farei a far credere al pubblico che ciò che vendo è realmente genuino?. Non se mi spiego leggendo questo articolo si parla anche di un giornale di importanza nazionale che dovrebbe informarci seriamente e non bombardarci di pubblicità, la domanda sorgè spontanea nel chiedersi come facciamo noi consumatori a capire veramente che quello che compriamo sia veramente qualcosa di genuino?
Leggendo il commento di Vincent sono obbligata a fare delle precisazioni fondamentali. Nei commenti non si parlava di un giornale di importanza nazionale, ma del notiziario (semestrale) che l’Associazione Italiana Celiachia spedisce ai suoi abbonati. L’Associazione italiana celiachia è l’associazione dei malati di celiachia. Gli iscritti sono le persone con questa malattia o i loro familiari (genitori di bambini celiaci). Si tratta di circa 60.000 persone in tutta Italia. Il discorso verteva sulla scelta di tale associazione su come finanziare le attività di divulgazione e assistenza ai soci, cioè alle persone malate di celiachia.
Il discorso sul giornale che invece di informarci seriamente ci bombarda di pubblicità vale comunque, a prescindere, anche per tante altre riviste “scientifiche” ben più diffuse o per tanti programmi televisivi su tematiche di medicina, come anche per tutta la pubblicità e iniziative promozionali da cui veniamo bombardati ogni volta che entriamo in una farmacia.
Per rispondere alla tua domanda, personalmente ritengo che l’unico modo per capire veramente se quello che compriamo è sano è informarsi il più possibile in modo completo su come vengono prodotti e da dove provengono gli alimenti, e questo vale sia per chi non ha patologie croniche, sia per chi invece ne è affetto.