Come a ogni foodblogger che si rispetti, anche a me arrivano a casa gratuitamente oggetti per la cucina, pacchi di generi alimentari, e altre cose che ruotano attorno al mondo del cibo.

È capitato con la Colussi, che qualche mese fa mi mandó una scatola con qualche pacco di biscotti e altro che non ricordo, perché ovviamente non sono cose che in famiglia mangiamo, e quindi perché non fossero sprecate, le devolsi subito a una persona che si trovava in difficoltà. Per carità, ringrazio l’azienda, anzi mi dispiace di non aver mandato loro una mail personalmente spiegando l’inutilità di inviarmi cose che non posso usare (basterebbe leggere il blog), e quanto sarebbe importante per loro rivedere la filosofia di base, ma non riesco a trovare il tempo per fare tutto ciò che vorrei, mea culpa.
Anche la Pirex mi ha inviato una graditissima pirofila di vetro, che passa senza problemi dal freezer al forno, e, quella sì, non avendo controindicazioni di sorta (una pirofila di vetro è abbastanza consapevole a meno che non venga prodotta inquinando pesantemente l’ambiente, e non ho notizie del genere sulla Pirex), quando la userò per qualche ricetta qui sul blog ve la mostrerò sicuramente.
Dell’invito della Garofalo già ve ne ho parlato esaustivamente qualche tempo fa; anche lì ricevemmo, a parte il cellulare e il soggiorno in albergo, qualche pacco di pastina biologica per bambini; il resto della loro produzione come vi dissi è convenzionale (nel senso di “non biologica”) e quindi non risveglió il nostro interesse.
Ultimamente poi ho avuto il piacere di ricevere dall’azienda Felicetti di Trento una grande scatola piena di campioni della loro linea biologica monograno, e un altra stupenda, pochi giorni fa, dal Pastificio dei campi di Gragnano; in quest’ultimo caso il proprietario del pastificio è capitato per caso su facebook nei commenti al post di un’amica comune, mentre io piagnucolavo perché non riuscivo a trovare penne lisce biologiche, e mi ha contattata (habemus penne lisce – e anche candele per la mia amata genovese); ma già avevo conosciuto il pastificio sempre tramite facebook (poi dicono che non è uno strumento di lavoro) e l’avevo classificato tra quelli da visitare prima possibile.
Anche di questi ultimi due appena ne avrò occasione vi parlerò, e vi diró sinceramente cosa ne penso dei loro prodotti, che comunque, posso affermare già, sono di qualità eccelsa, chi per un motivo chi per un altro.
Questo preambolo perché vorrei condividere con voi la linea di comportamento che il pasto nudo adotta in questi casi; non che ce ne sia bisogno, ma siccome qui la bandiera sventola sulla trasparenza assoluta preferisco che tutto sia ben chiaro, e se qualcosa non lo fosse per favore chiedete, perché per come sono svanita io magari ho la trave nell’occhio (ma siamo proprio sicuri che il detto reciti così?) e neanche la vedo :-/
Molti lettori giudicano (giustamente) in modo estremamente negativo il fatto che un blogger riceva a casa dei regali da un’azienda piuttosto che un’altra, e poi sentendosi in dovere di ricambiare crei un post ad hoc (che ne so… avrete mica notato un’esplosione di ricette che prevedevano l’utilizzo di sottilette, in giro per i foodblog qualche mese fa?).
Il motivo di tanto astio (anche da parte di alcuni foodblogger) è che così facendo un’azienda riesce a ottenere la migliore pubblicità a cui possa aspirare: molto mirata (cosa ben più complicata con i media tradizionali – nessuno può assicurare a un’azienda che davanti al televisore, o in una strada dove c’è esposto un manifesto, passeranno *solo* persone interessate all’argomento – su un blog invece sì), incisiva (perché il passaparola, soprattutto se fatto da una persona che stimi – altrimenti non andresti a leggere il suo blog – incute molta più fiducia della pubblicità tradizionale) e praticamente a costo zero; e potenzialmente a macchia d’olio (a seconda anche di quanto è visitato il blog).
Per il foodblogger peró il servizio che fa è (più o meno) sproporzionato rispetto a ciò che guadagna. E sarebbero anche fatti suoi, ma la natura comunitaria della rete fà sì che procedendo in questo modo le aziende ottengano ciò che vogliono praticamente a costo zero e non abbiano perció la minima intenzione di proporre scambi più equi (ovviamente questo sistema è destinato ad esaurirsi velocemente: dopo due o tre regalini il blogger di solito si stanca e si sente anche un po’ preso per il…).
Mettiamo il caso invece che l’azienda suddetta proponga al foodblogger di turno una vera sponsorizzazione: vale a dire redazionali, cioè ricette che contengano il tale prodotto (e lo osannino), pagando un prezzo equo e ritenuto commisurato al proprio lavoro (perché dal momento che viene retribuito non è più un hobby, ma un lavoro – o sbaglio?) dal blogger; anche in questo caso i lettori si sentirebbero traditi, perché come potrebbero essere sicuri che quando il loro beniamino afferma che un certo tipo di formaggio è veramente migliore di altri non lo dica perché gli fa comodo?
Insomma, l’ormai annosa questione pubblicità sui blog non è facilmente risolvibile.
Facciamo che vi spiego cosa ho pensato io, e che mi farebbe molto piacere conoscere la vostra opinione in proposito.
Nel mio caso io credo che l’unico modo in cui il pasto nudo possa mantenersi da solo sia esporre banner pubblicitari, selezionando peró le aziende desiderose di farlo in modo molto serio.
Dovrebbero essere aziende perfettamente in linea con il concetto di consapevolezza che portiamo avanti, e ho detto tutto, perché già così la cosa diventa estremamente restrittiva (sigh). Andrebbero bene sia aziende che commerciano in alimenti (consapevoli, ovvio), compresi capi d’abbigliamento o tessuti biologici ed ecocompatibili, attrezzi e materiali per la cucina (no teflon, no silicone, no sfruttatori di manodopera infantile e simili), energie alternative, pubblicazioni a tema, tutto ciò che ruota attorno alla consapevolezza.
E niente redazionali, a meno che non siano sinceri e spontanei. Mettiamo il caso che l’azienda ics voglia esporre un banner a pagamento sul pasto nudo, secondo me ci sta benissimo che io la descriva (meglio se riuscissi anche a visitarla) e ne parli entusiasticamente, ma solo *se* ne sono veramente entusiasta. Come sempre, non è mai importante quello che si fa, ma *come* lo si fa.
Questo non vuol dire che smetterei di andare in giro e di raccontarvi dei piccoli e piccolissimi produttori o agriturismi, o ristoranti consapevoli come ho sempre fatto; uno dei motivi più importanti per i quali il pasto nudo esiste è cercare di dare visibilità alla gente onesta e seria (ovviamente senza chiedere loro nulla in cambio!), che senza la rete sarebbe schiacciata dalla grande distribuzione, che per sua natura tende a dettare regole quasi sempre inaccettabili a chi ha una coscienza viva nel petto. Id est premiare il grande coraggio di chi decide di fare ciò che è giusto invece di ciò che è facile, andando consapevolmente incontro a tutte le difficoltà del caso, insormontabili che siano.
E sperare che questo comportamento che adesso è eroico si trasformi prima possibile nella normalità delle cose, perché insomma, nessuno credo voglia coscientemente vivere con la testa sotto la sabbia, a meno che non abbia gravi problemi psichici, e ogni riferimento a persone esistenti è del tutto volontario.
Facendo le cose in questo modo se ci pensate sarebbero proprio le aziende più grandi (ma comunque consapevoli) a dare visibilità a quelle piccole e fragili, che non avrebbero mai la possibilità materiale di acquistare un banner. Oltre a farsi pubblicità farebbero anche beneficenza.
Utopico? Voi che ne dite? Proverò a fare un appello per i banner (e per un’altra assurda pretesa) tra un paio di post.
Intanto accetto pareri di ogni tipo (tranne quelli aggressivi, come da statuto pastonudista :-)).