Questa meraviglia mi è particolarmente cara, signori miei. Perché è stato forse il primo formaggio *vero* con il quale sia mai venuta in contatto, molto prima del pasto nudo e della consapevolezza, e ante-Stefano e il suo Qualeformaggio.

caciofiore della campagna romana

La mia carriera di grafico infatti si è intrecciata spesso con l’alimentazione (strano eh? mhhh…); ormai sono più di dieci anni che facciamo un po’ di lavori freelance per l’Azienda Romana Mercati, che per chi non la conoscesse è un importante organismo della Camera di Commercio di Roma che serve a promuovere il sistema agroalimentare, e a supportare le imprese di qualità della campagna romana, ad esempio attraverso il Centro Servizi per i Prodotti Tipici e Tradizionali.

A forza di lavorare per loro ogni tanto negli anni ci è scappata una degustazione qui, un incontro con i produttori lì, ed è stato così che ho fatto la conoscenza con questo gioiellino dal quale, guarda i (soliti) casi della vita, mi sono ritrovata ad abitare a due passi, visto che l’azienda agrituristica Acquaranda si trova sul lago di Bracciano, in quel di Trevignano.

Ma di questo vi parlerò a tempo debito! Per adesso accontentatevi della descrizione di questo formaggio, molto particolare perché prodotto, come tutti quelli che recensisco in questa rubrica, rigorosamente con latte crudo, e per di più da animali al pascolo, che poi è il fattore più importante. Nella fattispecie qui parliamo di pecore e di caglio vegetale, precisamente di Cardo selvatico (Cynara Cardunculus).

Nella scatolina di cartone del formaggio c’è anche un libretto molto carino che spiega come il caciofiore viene realizzato, e presenta varie ricette in italiano e in inglese per cucinarlo. Per prima cosa viene citato Columella, un tribuno Romano del 4 d.C (!!!) che scrisse un trattato sull’agricoltura romana in ben dodici volumi chiamato il De re rustica. Troverete sempre il suo nome accoppiato al Caciofiore, perché in uno di questi volumi consigliava appunto di coagulare il latte “con il fiore di cardo silvestre, coi semi di cartamo o col latte di fico”; in verità aggiungeva anche che “il cacio migliore è quello che è stato fatto col minimo possibile di medicamento”. Mi chiedo quando tutta questa saggezza è andata persa, per far posto alla mentalità “tutto e subito” :-/

caciofiore azienda romana mercati

I fiori del cardo si raccolgono in estate e si fanno essiccare al buio per 4-5 giorni. Sul libretto c’è scritto che “i petali essiccati si fanno macerare nell’acqua per un giorno”; poi quest’acqua, opportunamente filtrata, si aggiunge a filo al latte tenuto costantemente a 38°C. Dopo un’ora il latte è coagulato; la cagliata viene tagliata a quadrettoni, messa nelle fuscelle e lasciata spurgare dal siero per 24 ore. Il giorno dopo le forme vengono salate a secco e trasferite in un locale tenuto a 7-10°C e al 90/95% di umidità per 35/40 giorni.

Anche stavolta il formaggio mi piaceva così tanto che non me la sono sentita di metterlo sul fuoco :-) Avevo visto qualche tempo fa questo pani cunzatu, uno street food tipicamente siculo (prima o poi ci càpito, in Sicilia, eh, sì che ci càpito), fatto proprio con il formaggio, e avendo in casa una conserva di cipolle rosse e un vasetto di salsa di olive che venivano freschi freschi dalla mia ultima spedizione ho pensato bene di inaugurarli alla grande, in un (riuscitissimo, col senno di poi) matrimonio umbro-laziale.

pani cunzatu

Ho usato due fette di un pane ai semi di lino e di girasole del Sambuco (quando non riesco a fare il pane in casa prendiamo quello). Da oggi in poi il pane cunzatu diventa un must a casa zac >:-/

Ingredienti:
2 fette di pane casereccio a persona
2 fette di caciofiore a persona
qualche pomodoro datterino
olio extravergine d’oliva
qualche cucchiaio di crema di olive nere
qualche cucchiaio di salsa di cipolle rosse
qualche rametto di origano fresco

Per prima cosa scaldate le fette di pane in una padella di ferro o nel forno; non devono essere tostate, solo calde (il massimo sarebbe avere a portata di mano una bella pagnotta fatta in casa uscita poc’anzi dal forno).

Versate un po’ d’olio su una delle due fette (non lesinate, il pani cunzatu deve essere — da leggere con marcato accento siciliano). Spalmate un generoso strato di conserva di cipolle sul pane dalla parte oliata, poi lavate e tagliate i pomodori a fettine alte mezzo centimetro e adagiateceli sopra. Sciacquate i rametti di origano fresco, lasciateli asciugare all’aria, staccate le foglioline e cospargetele sui pomodori.

Spalmate l’altra fetta con uno strato di crema di olive, tagliate due fettine di caciofiore alte mezzo centimetro e posizionatele sul tutto.

Non vi resta che ribaltare una fetta cunzata sull’altra e addentare. E fare le dovute considerazioni sulla profonda differenza tra un formaggio vero e uno qualsiasi.