Sono un filo in ritardo, ma neanche tanto, ché il maiale bisognerebbe mangiarlo da dicembre a fine febbraio, ovverossia subito dopo la macellazione, ma i vari insaccati e lo strutto sono fatti proprio per il periodo pasquale, fatto salvo qualche salame da consumare nelle stagioni successive, dai primi freddi in poi.

Anche la mitica Claudia a suo tempo ce ne parlò con quello stile sciolto e colto che solo lei sa imbastire; sta di fatto che quasi tutti gli impasti pasquali della tradizione napoletana e del glorioso Regno delle due Sicilie in generale (ma anche molte preparazioni di tutta la nostra penisola in generale, vedi piadine, erbazzoni, seadas e via dicendo) prevedono l’uso dello strutto; ad esempio il famoso casatiello o anche la pastiera (quella che vi ho linkato la feci con il burro, ma prima di quanto crediate ne apparirà un’altra in questo non-luogo, parte di un progetto troppo carino di cui vi parlerò, datemi solo qualche giorno),
L’olio giù da noi era molto costoso e il burro come sapete non si presta a essere cotto a lungo, a meno che non sia stato chiarificato per bene. Da quello che ho letto su wikipedia l’estrazione e l’utilizzo dello strutto nell’alimentazione fu introdotto in Sicilia dagli Spagnoli (alle volte, queste dominazioni…), i quali lo chiamavano saim, e infatti anche adesso in dialetto palermitano strutto si dice saìmi.

La parte magra del prosciutto crudo che mangiamo comunemente viene ricoperta di sugna durante la stagionatura per rallentare l’essiccazione, conferire morbidezza alla carne superficiale e prevenire che si screpoli e conseguentemente si irrancidisca o sia esposta ai parassiti. Queste che sembrano sciocchezze sono secondo me piccoli particolari che dovremmo sapere tutti, se vogliamo veramente capire cosa stiamo acquistando.

Ricordate la differenza tra strutto e sugna, vero? Ve l’ho raccontata un paio di anni fa qui, ma per comodità ve la riassumo: lo strutto viene ricavato dal lardo che si trova vicino alla spina dorsale, sul dorso del maiale, e in generale dal grasso sottocutaneo; la sugna invece, più delicata, deriva dal tessuto adiposo surrenale, è considerata più pregiata (se ne ricavano al massimo un paio di chili per maiale) e si usa per i dolci.
In realtà, ne parlavo con Roberto, la questione sugna-lardo-strutto è più che altro semantica: se leggete qui mi sembra di capire che il nome sugna si usa proprio per indicare appunto il grasso surrenale, quindi quella che a napoli chiamiamo sugna è in realtà il risultato della fusione di quest’ultima, e si dovrebbe chiamare più propriamente strutto-da-sugna (mentre quello che deriva dal grasso dorsale strutto-da-lardo).

Ad ogni modo quest’olio che a freddo raddensa sembra quasi una versione non vegetariana e occidentale del ghi: grasso lasciato a sciogliere mooolto lentamente, al quale vengono asportate tutte le “impurità” in modo che si conservi perfettamente per mesi, anche fuori dal frigorifero.

Le impurità sarebbero i cosiddetti ciccioli, o sfrizzoli, in ogni regione vengono chiamati diversamente (voi come li chiamate?). Non voglio neanche accennare a cosa ci faccio io con le impurità, dico solo che se potessi mi ci farei il bagno, ma sarebbe molto sconveniente per una donna morigerata come me O:-)
La difficoltà vera nel nostro caso non è preparare lo strutto, o la sugna, ma trovare il grasso di maiale felice (e quindi sano). Che deve provenire sempre unicamente da animali che hanno vissuto in libertà, e alimentati nel modo migliore per loro.

Perché martello così tanto su questa storia degli animali felici (ehm, a parte che martello su qualsiasi cosa, ma su questa in particolare)? A parte il fatto che i residui dei farmaci, degli ormoni e di qualsiasi cosa gli animali abbiano subìto l’invadenza si accumulano in primis proprio nella parti grasse (e nelle interiora), mi convinco sempre di più che quando mangiamo qualsiasi cosa (animali e piante) ne assorbiamo anche l’energia vitale, e quindi gli stress e le paure che hanno subìto. E per forza che poi si dice che chi mangia carne è più aggressivo, se mangia carne… aggressiva. Magari per quello che riguarda le piante la differenza potrebbe essere principalmente nel fatto che più che aggressive possono essere “scariche” energeticamente, se sono cresciute in condizioni tristi (senza luce solare, al chiuso, spinte dai concimi e “aiutate” dai pesticidi). Non so cosa sia peggio, se l’aggressività o la depressione :-(

Vabbeh, caso ha voluto che come vi ho raccontato qualche giorno fa, sono passata a trovare Roberto nella sua bottega delle meraviglie, e mi sono ricordata una volta per tutte di chiedergli la sugna felice, anzi giuliva, visto che si trattava di maiale nero casertano – brado – di monte San Biagio!!! La cosa bella di Roberto è che se gli chiedi – che ne so – il cosciotto di chupacabra, ti dice aspetta un attimo, sparisce nel retro e te ne porta uno, però mica normale, mal che vada si tratta di un chupacabra yogi che succhiava (lasciandole però in vita e anzi migliorate fisicamente e psicologicamente) capre allevate dal cugino (più bello) di Paolo Parisi su prati himalayani dove crescono (spontaneamente) solo erbe ayurvediche biodinamiche :-D
E insomma quando gli ho chiesto il lardo per fare lo strutto, ma quello per lo strutto-sugna, però, lui ha fatto un sorrisone e il suo papà ne ha appoggiato tipo due chili sul bancone di legno e ha cominciato a tagliarlo a cubetti, raccontandomi i trucchi per farlo venire per-fe-tto :-)

Ingredienti:
due chili circa di sugna (o di lardo) di maiale felicissimo
qualche foglia di alloro
sale marino integrale

Tagliate tutto il grasso a cuboni, mettetelo in una grande pentola con il fondo pesante e posizionate il tutto, senza coperchio, su una fiamma molto bassa. Lasciate sciogliere il grasso piano piano – la poca acqua che contiene evaporerà lentamente – fino a quando non vedrete che ci sarà un sacco di liquido, sul quale galleggeranno i pezzettini di grasso ridotti al minimo.
Fase ciccioli! A questo punto asportate con una schiumarola i pezzetti di grasso e metteteli in un’altra pentola, aggiungete due mestoli di liquido e rimetteteli sul fuoco bassissimo. Appena acquisteranno colore scolateli, salateli, e se volete aggiungete le spezie che preferite.
Metteteli a cucchiaiate (ogni volta un paio di cucchiai scarsi) in uno schiacciapatate e schiacciate fortissimo, sopra una ciotola; colerà un bel po’ di grasso, tenetelo da parte, potrete sempre usarlo, è sempre strutto ma condìto). Tirateli fuori dallo schiacciapatate e metteteli man mano su un foglio di carta assorbente per farli asciugare bene. Non so quanto possiate riuscire a resistere senza smangiucchiarli così come sono, ma tenete conto che potrete usarli per svariate di ricette, e che si conservano piuttosto bene.
Passiamo allo strutto vero e proprio. Preparate un colapasta rivestito con un telo di cotone sottilissimo (quello che usate anche per la ricotta e gli altri formaggi) e travasate il liquido in modo da asportare qualsiasi impurità. Rimettete il tutto sul fuoco e lasciate sobbollire ancora una decina di minuti; a questo punto siete pronte per riempire i vasetti (io ho usato un vasone gigante, ma è sempre meglio usare vasi piccoli per le conserve fatte in casa) sterilizzati come fate per le marmellate (coperchi nuovi e ben lavati e asciugati).
Ecco fatto. La più antica, saporita e versatile materia prima per la cucina tradizionale e consapevole. Da non abusare, come con tutto, e da utilizzare solo durante la stagione fredda :-)