Eccoci di nuovo alle prese con i formaggi consapevoli che Stefano scova in giro per l’Italia con il suo fiuto infallibile. Se pensate che io sia una rompiscatole provate a chiacchierare di latte e formaggi con lui per una mezz’oretta; vi accorgerete che rispetto a lui sono un passerotto implume!
Questa volta vi porto sulle Alpi Orobie, in una latteria Sociale fondata nel 1953, e che si trova in un paese dell’alta Valle Brembana, in provincia di Bergamo, che si chiama appunto Branzi. Riporto un paio di righe dal loro sito, tanto per trasmettervi l’atmosfera:
“Nella Latteria Sociale Casearia di Branzi si adottano i metodi di lavorazione tradizionali, seppur con attrezzi diversi perché proporzionati alla grande quantità di latte che ogni giorno viene trasformato e ai moderni standard igienici.”
Grandi vasche in acciaio hanno sostituito le tradizionali coldere a forma di campana capovolta; la cagliata non è più rotta dalla spada e dallo spino, ma da grandi attrezzi rotanti; le temperature di riscaldamento e di cottura sono regolate da termostati. Resta comunque l’arte dei maestri casari, unici in grado di decidere quando il coaugulo provocato dal caglio è alla giusta omogeneità e consistenza per la rottura, e quando la cagliata è cotta al punto giusto per essere liberata dal siero.
Dunque tradizione ma anche esperienza; andatevi a guardare le foto sul sito, valgono più di mille parole!
Il formaggio che ho usato per questa ricetta è un classico dell’alpeggio Brembano: in dialetto bergamasco “Formai de Mut” significa “formaggio di monte”, dove monte significa un’altezza che va dai 1300 ai 2500 metri di quota, e bovini che pascolano a quella quota per tutta l’estate, su prati ricchissimi di essenze aromatiche, al fresco e in un’ambiente incontaminato quanto potete immaginarlo.
C’è addirittura un intero sito dedicato solo a questo tipo di formaggio, dove potete trovare tutte le possibili specifiche e informazioni sulle sue caratteristiche, sulla lavorazione, e addirittura una scheda con tutti gli alpeggi e relative malghe dai quali può provenire.
Il Formai de Mut viene prodotto con latte intero di mucca, versato in grandi caldaie di rame e portato a 35-37°C. Viene poi aggiunto il caglio liquido di vitello, la cagliata viene rotta a chicco di riso (cioè a pezzettini della grandezza di chicchi di riso), il tutto viene portato a 45 gradi, poi tolto dalla fonte di calore e rimescolato.
Dopo venti minuti di riposo la cagliata si deposita sul fondo, si filtra il tutto con dei tessuti chiamati “pate” e si mette nelle fascere per far scolare il siero, pressandole e capovolgendole varie volte. Dopo due giorni si fa la salatura. Il formaggio stagiona poi da un minimo di 45 giorni fino a quattro anni, tra gli 8°C e i 13°C. A fine stagionatura una forma può pesare dagli 8 ai 12 chili e il formaggio avrà una texture a “occhio di pernice”, con un sapore leggermente diverso a seconda dell’alpeggio da cui proveniva il latte con il quale è stato fatto.
Se guardate la foto potete notare che il disegno sulla parte superiore della crosta è di colore blu; questo vuol dire che il formaggio è stato prodotto nella stagione estiva in alpeggio, e quindi con mucche pascolanti, nelle culdere di rame e con gli altri attrezzi storici; se invece il disegno è rosso il formaggio è prodotto in caseificio tutto l’anno con il latte delle mucche comunque felici ma non al pascolo, sempre con metodi tradizionali ma con attrezzature moderne.
Ma quante cose bisogna sapere? Beh però pensate che figura fichissima che farete quando andrete a comprare questo formaggio e solo guardando il colore potrete dire “aaahhhhh ma questo è quello di alpeggio!” Con faccia da saccentoni :-)
Siccome i formaggi stagionati mangiati in purezza non sono esattamente il mio forte, ho pensato bene di preparare una specie di focaccia sottilissima e croccante che avevo visto da Deb qualche tempo fa e che era un secolo che volevo rifare.
Il formaggio viene prima grattugiato e poi fuso per pochissimi minuti in forno; si aggiunge miele e foglioline fresche di timo, e quello che viene fuori sono delle sfoglie croccanti e sottili veramente deliziose.
Questi crackers sono molto versatili: potete utilizzarli come antipasto quando avete qualcuno a cena, per uno snack tra un pasto e l’altro oppure per un aperitivo con gli amici. Potete anche provare a prepararli in anticipo semplicemente togliendoli dalla seconda infornata (dopo averci messo il formaggio) un minuto prima e rimettendoli in forno per un minuto prima di servirli, aggiungendo all’ultimo momento il miele, il timo fresco e il sale.
Ingredienti:
220 grammi di farina 1 (semintegrale)
1 cucchiaino di bicarbonato
3/4 di cucchiaino di sale marino integrale
120 grammi di acqua pura
80 grammi di olio extravergine d’oliva
100 grammi di Formai de Mut
4 cucchiai abbondanti di miele liquido
1 cucchiaio di foglie fresche di timo fresco
fior di sale quanto basta
Per prima cosa preriscaldate il forno a 230°C e posizionate la griglia del forno a metà, poggiandoci sopra la pietra refrattaria (quella che si usa per fare il pane).
Grattugiate il Formai de Mut (o se preferite che rimangano i pezzettini tritatelo grossolanamente con il coltello) e mettetelo da parte. Setacciate la farina con il sale e il bicarbonato in una ciotola grande.
Praticate un buco nella farina con le dita e versate nel centro l’olio e tre quarti dell’acqua; mescolate con un cucchiaio (o con le mani) come si fa con il pane inserendo sempre più farina nella mistura di acqua e olio fino a quando si forma un impasto; aggiungete l’acqua rimanente solo se vedete che la farina riesce ad assorbirla.
Otterrete un impasto decisamente morbido e poco maneggevole; impastatelo un po’ su un ripiano di legno e poi lasciatelo riposare una decina di minuti. Trascorso questo tempo, dividete l’impasto in quattro parti uguali, poi prendete un foglio di carta forno e disegnate una croce con il braccio verticale di 30 centimetri e con quello orizzontale di 16 centimetri; girate il foglio al contrario e posizionatelo sul ripiano, poi prendete una pallina di impasto, dategli una forma allungata e stendetela sul piano con le mani dandogli una forma ovale fino a quando non sarà lunga come la croce verticale e larga come quella orizzontale.
Non importa se non sarà perfettamente piatto, anzi meglio se la stesura è irregolare: nei punti dove schiaccerete di più l’impasto sarà più cotto e croccante, in quelli più altini sarà più cedevole.
Fate scivolare la carta forno con l’impasto su una pala per infornare o, se non ce l’avete, su un grosso piatto… piatto, e poi da lì direttamente sulla pietra refrattaria nel forno. Lasciate cuocere cinque o sei minuti, fino a quando il crackerone non sarà dorato.
Intanto dedicatevi al timo: sciacquatelo, asciugatelo e asportate le foglioline dai rametti lasciandone qualcuno così com’è per decorare i crackers quando li servirete.
Tirate un attimo il crackerone fuori dal forno (lasciandolo acceso) e spargeteci sopra più uniformemente possibile un quarto del Formai de Mut che avevate preparato in precedenza, poi rimettete tutto in forno e lasciate cuocere ancora tre o quattro minuti, fino a quando non vedrete i bordi e i punti più schiacciati scurirsi un pochino.
A questo punto sfornate, aspettate qualche minuto che si intiepidisca e cospargete con un cucchiaio di miele (il miele perde tutte le sue capacità nutritive se viene scaldato oltre una certa temperatura), con le foglioline di timo, e finite con un po’ di fior di sale.
Spezzate il crackerone in quattro parti con le mani o se volete dei cracker più precisi con un coltello affilato, e servite tiepidi.
Ripetete l’operazione con le altre tre dosi di impasto, ricordandovi di scrollare ogni volta via dalla carta forno (la riutilizzate, veroooo?) il formaggio dell’infornata precedente, altrimenti brucerà.
oooh, il branzi. I HEART BRANZI.
Oh, ma questo lo conosco bene essendo una bergamasca… :)
Mio nonno non lo considera un formaggio, e mi sa che con lui anche una buona parte di pensionati orobici :P Una volta infatti eravamo a cena: stava mangiando il branzi, e mi stava raccontando del colesterolo alto e del medico. “Mi ha detto di mangiare meno formaggio, ma io mica lo mangio il formaggio!”. Io aggrotto le sopracciglia: “Nonno e quello cos’è?!”. Lui, con aria allibita e sconcertata: “Ma questo è branzi!!”. Ancora adesso ignoro cosa lui intenda per ‘formaggio’ :P
Izn ma la torta nuovissima di cui parli su FB? :-)
Sonia, che fame… e solo una napoletana come te poteva mettere il Branzi o il Formai del Mut in qualcosa di diverso dalla polenta taragna!!! :D :D
Ok, ho capito. Urge una gita in valli orobiche :))))