Leggevo qualche giorno fa nei commenti dell’ultimo post di Dario una discussione molto interessante sull’agricoltura, e di riflesso sull’aratura, una pratica che da sempre abbiamo accettato come inevitabile e benefica, e mi sono ricordata dell’incontro pastonudista con Gian Carlo Cappello, durante il quale la prima cosa che fece fu distruggere questa convinzione.
In uno dei commenti all’articolo di cui sopra, Alberto Guidorzi, che abbiamo conosciuto qualche post fa a proposito degli OGM, spiega che esistono vari modi di arare, che vanno da una semplice scarificazione superficiale di pochi centimetri a incisioni di mezzo metro nella terra, per rivoltarla e diminuire la crescita delle “male erbe” e per riportare in superficie un terreno che ha “riposato”.
Subito dopo un altro commentatore precisa che esiste un tipo di agricoltura detta “conservativa” in grado di rendere il terreno abbastanza poroso per essere raggiunto dall’ossigeno (che serve per i microbi che rendono la terra fertile) ma anche assorbente (per trattenere l’acqua senza però che ristagni), smuovendo al massimo cinque centimetri di profondità.
Questo tipo di agricoltura prevede anche una totale (no-tillage) o quasi totale (minimum-tillage) *non lavorazione* della terra, l’utilizzo di erba (“devitalizzata” con pesticidi??!!) per coprire il terreno, e altre pratiche, e pare che migliori moltissimo la fertilità (tornano i lombrichi, che come vi ho già raccontato sono fondamentali, aumenta la capacità della terra di trattenere l’acqua – e quindi di superare più facilmente i periodi molto caldi, e altro).
Invece rimescolando (=arando) il terreno profondamente (anche fino a 60 centimetri) si arieggia sì la terra e si favorisce l’assorbimento dell’acqua ma la terra si degrada e l’humus si impoverisce velocemente.
In un certo qual senso, anche se Gian Carlo odia qualsiasi definizione, direi che il suo modo di fare agricoltura si avvicina (con sostanziali differenze – ad esempio nella sua ottica la definizione “male erbe”: le erbe sono tutte buone e utili, o il concetto di terreno riposato non hanno senso) a questo tipo di agricoltura “conservativa”.
Tanto per ripassare quello che abbiamo imparato da lui e dalla sua esperienza sul campo per chi non avesse seguito questa rubrica dall’inizio, l’esperimento consiste nella coltivazione di un orto di mezzo ettaro a Sacrofano, nelle vicinanze di Roma (e di casa mia, eh eh), dove con la sola valorizzazione delle erbe spontanee (cito Gian Carlo: “catalizzatrici dei processi bio-chimici stimolati dall’irraggiamento solare”) si ottiene un prodotto, decisamente superiore agli standard dell’agricoltura industriale (ma nel totale rispetto della terra) non in vendita, ma destinato all’auto consumo di una quindicina di famiglie che nel tempo libero partecipano ai lavori nell’orto.
Da quando lo conosco Gian Carlo si è schierato contro qualsiasi tipo di aratura, e ha sempre sostenuto che la disponibilità del nostro cibo dipende “esclusivamente dalla quantità di vita presente e attiva nei primi strati del terreno”.
Se la terra non viene mai lavorata, le piante si difendono benissimo da sole dai cosiddetti parassiti nell’equilibrio complessivo dato dalla ricchezza in bio-diversità dell’ambiente e, ovviamente, non è necessario alcun tipo di diserbante. Le piante vengono annaffiate con circa un decimo di acqua rispetto alle necessità di un terreno lavorato e concimato chimicamente (eccettuate le irrigazioni che servono a far germinare i semi).
Le erbe spontanee non vengono mai estirpate ma solo tagliate; questo serve ad aggiungere alla ricchezza sotterranea anche la presenza di tante diverse varietà di radici vive, tra le quali convivono in armonia quelle delle piante coltivate. L’acqua torna alle falde migliorata dal passaggio attraverso lo strato di erbe tagliate (pacciamatura) che ricopre costantemente il suolo. In questo modo lo strato di humus aumenta naturalmente e rende inutili persino le concimazioni organiche e il tanto mitizzato compost.
È agricoltura a costo zero, con un minimo apporto di lavoro umano – non specialistico e affrancato dalla fatica – e con la massima garanzia di resistenza delle piante rispetto al gelo, alla grandine e alla siccità.
Quest’anno per la prima volta al campo stanno provando a produrre farro, (il mais ha già avuto successo l’anno passato). Le varietà di verdure coltivate sono centinaia, solo di pomodoro oltre trenta varietà, almeno quindici di peperone, una ventina di insalate e così via, tutte ritrovate nel catalogo della vita millenaria dell’agricoltura.
Lo scopo dell’esperimento di Gian Carlo, a parte svolgere un’attività che lo rende felice, e l’avvicinare la gente inesperta alla terra, quella vera, è che questo tipo di piccole realtà produttive locali si diffondano in numero sempre maggiore, al posto di poche realtà estensive e decentrate.
Questa che a molti può sembrare un’utopia si sta già avverando in silenzio e cresce costantemente, sia nei paesi ricchi che in quelli poveri, a patto che ci sia una diffusione capillare dei punti di produzione. Per non interrompere questa tendenza è necessario che i semi rimangano nelle mani di chiunque voglia coltivarli. I semi autoriproducibili, cioè di piante non coperte da copyright, sono in grado di dare tutto il nutrimento e il cibo gustoso di cui c’è bisogno.
Chi difende, anche dal mondo accademico, le arature, la semina di OGM “Round-up free”, la somministrazione di sostanze chimiche al terreno e nell’ambiente e l’attuale struttura del mercato, d’ora in poi dovrà confrontarsi – sia sotto l’aspetto agrotecnico che sociale – con tante realtà come questa di Gian Carlo, che stanno nascendo ovunque.
Last but not least, va anche tenuto conto che l’aratura, come tutte le lavorazioni previste dall’agricoltura convenzionale, ha un costo ormai insostenibile, oltre che in termini ambientali, proprio in termini economici, perché dipende dal petrolio per l’impiego dei trattori e di tutte le altre macchine agricole.
Prima di lasciarvi vi segnalo la pagina su facebook della Civiltà dell’Orto, dove trovate tutte le foto del lavoro quotidiano nell’orto e potete seguire la coltivazione, i consigli e le spiegazioni di Giancarlo.
Molto interessante questo post! Acc, mi piacerebbe partecipare al concorso *faccia da orto*… ma non sto proprio dietro l’angolo, peccato :(
L’idea di non arare sembra rivoluzionaria, sebbene di fatto si tratti di qualcosa che non rivoluziona affatto, anzi tende a conservare l’equilibrio com’è perché ha fiducia che la natura sappia da sola creare le condizioni favorevoli alla vita. La rivoluzione vera sta nel rigirare il terreno ogni volta: mi immagino tutti gli organismi che lo abitano trovarsi nel bel mezzo del cataclisma del loro piccolo mondo, una vera rivoluzione!
Anche Fukuoka, se non sbaglio, predica pensieri similari di non intervento (anche se più estremi ancora). Ho sempre pensato che questo approccio abbia qualcosa di profondamente saggio ed evoluto e i risultati di Olmontano lo dimostrano, fatti alla mano.
Sono molto contenta di leggere che il suo esperimento non è unico e che anche altri, in altri luoghi, stanno provando a fare cose simili. Se mai riuscirò nel mio intento di avere una casa con un pezzo di terra, seguirò gli stessi principi (dopo aver seguito un corso però, che al momento non mi sento molto all’altezza :-).
@ Ma perchè non viviamo vicini? Sarei sempre lì, nell’orto di Olmontano…Una semplice domanda, da profanissima: la zappatura a mano (che qui tutti praticano nei loro orti, ed è faticosissima, per preparare il terreno) allora è inutile? E posso piantare le mie piantine di erbe/pomodori/insalata così, direttamente nel suolo?
Il mio giardino è pieno di “erbe matte”, soprattutto gramigna ma anche altro, allora le devo solo tagliare e non estirpare (che goduria…) anche se non è un orto?
Grazie mille per le eventali risposte.
@Graziella. Ogni giorno sul profilo FB civiltadellorto pubblico un fotodiario del lavoro svolto quotidianamente. Tienilo d’occhio, anche da lontano! Non è semplice spiegare le cose semplici a chi confonde la professionalità con la complessità, ma con te “profanissima” è diverso, quindi mi ci provo.
Il terreno migliora quando è costantemente coperto e la miglior copertura è quella prodotta dall’erba spontanea nata sul posto. Il miglioramento del terreno aumenta le varietà di erba e così la copertura si arricchisce, cambia di stagione in stagione, sempre secondo natura. È un processo virtuoso, grazie al quale i prodotti dell’energia solare – captata dalla fotosintesi clorofilliana nelle foglie – vanno a nutrire la vita sotterranea. Il terreno vivo mantiene sane e vigorose le piante coltivate senza bisogno di nessun tipo di concime, neanche organico.
La concimazione produce un sovrappiù che spinge la pianta ad una crescita non riconosciuta da una specifica forma di vita dell’ambiente circostante (che varia a seconda dei casi) dalla quale viene attaccata con successo. E la chiamano malattia, ma è un utile invito alla prudenza. La fretta non è una buona consigliera, puoi iniziare a tagliare l’erba e lasciarla sul posto, ricordandoti di forare il terreno con un forcone almeno un paio di volte l’anno: l’ossigeno riduce le perdite di azoto naturale.
L’agricoltura convenzionale è il frutto degli errori caparbi che hanno impoverito la terra nei millenni, sostituendo calorie animali e idrocarburi all’utilizzo diretto dell’energia regalataci del Sole, disponibile nelle più umili erbe sotto i nostri piedi.
@Olmontano: chi non ha facebook come fa a seguirvi?
Potete fare una pagina pubblica o un blog o qualcosa che permetta di vedere il vostro fantastico lavoro anche senza socialnetwork?
Sono molto interessata in quanto ho idea di intraprendere un esperimento di ortourbano.
Grazie
@ Grazie Olmontano, sicuramente da oggi in poi leggerò il suo diario quotidiano. Ma mamma mia quante domande vorrei farle…credo diventerò il suo incubo.
E’ in allestimento il blog della civiltà dell’orto, quindi qualcosa in più del profilo FB attuale, sul quale comunque resteremo attivi. Grazie e a presto
@Marjanne. ma se vai su Internet e scrivi su questo blog puoi avere anche facebook! vai su facebook.com e ti iscrivi. Non paghi nulla. Se sono stata capace di farlo io…
@Graziella: Ero su facebook e mi sono cancellata più di un anno fa.
Non è il social network che fa per me.
Sonia, io mi confondo un po’ nei nomi e nei tempi, ma stiamo parlando dello stesso orto presso cui abbiamo fatto l’incontro pastonudista, da Giancarlo? :)
Mi sono rimaste impresse tante delle riflessioni che Giancarlo ci ha regalato quel giorno, e tante di queste le sto cercando di riportare nel nostro orto neonato, nella nostra casa in campagna. Vediamo se riusciremo a metterle a frutto, intanto vi seguo sempre :)
Un abbraccio
La terra è non dappertutto uguale, e pure le precipitazioni, l’humus e altri fattori e per questo non esiste “la buona pratica generale”. L’orto è UN discorso, uliveti, vigne o campi un altro.
Per esperienza personale posso dire che non lavorare mai il terreno sotto gli ulivi (usando l’estirpatore, frangizolle o anche arature di 20-25cm massime d’inverno) in Toscana centrale NON è praticabile, basta vedere. Se piove poco l’acqua non filtra, un eventuale incendio brucia tutto e gli ulivi non hanno sviluppo nella terra soda. Coltrare la terra può anche essere visto come stimolo, tutto si reorganizza in breve tempo.
@ste: l’erba tagliata e non estirpata resta distesa a proteggere la terra dall’impatto della pioggia, dagli sbalzi di temperatura e di umidità, dall’irraggiamento diretto del Sole e dalle conseguenze del gelo.
Indipendentemente dalla tipologia di terreno e dalle condizioni climatiche, chi ne trae vantaggio è l’humus, che può svilupparsi a maggior ragione per la presenza delle radici delle erbe, cioè di una componente essenziale – e mai tenuta in considerazione – della bio diversità ipogea. E più sono le varietà di erbe spontanee a fronte di assenza di lavorazioni, più la bio diversità indispensabile all’incremento dell’humus agisce positivamente. Queste valutazioni prescindono anche il tipo di coltivazione in atto.
Considera inoltre l’evidente risparmio in termine economico, non solo riguardo l’uso semplificato di macchinari (il trinciasarmenti e la carotatrice per l’oliveto e il vigneto), ma anche l’affrancamento che in breve tempo si ottiene dall’acquisto di concimi e pesticidi: infatti oltre il 2% di humus attivo il terreno nutre naturalmente le piante, con una vigoria della vegetazione tale da renderle inattaccabili (fillossera, cioè Phylloxera vastatrix, o Viteus vitifoliae, a parte).
La riorganizzazione, come tu la definisci, del terreno dopo le lavorazioni non porta alla formazione di humus attivo. Quindi non erba lasciata crescere e basta, ma erba tagliata, trinciatura dei residui delle potature e foratura del terreno: questi sono i pilastri di una coltivazione naturale applicabili ad ogni casistica.
@Olmontano: coltivo ulivi bio da 25 anni. So che se trinci solo l’erba e la frasca della potatura perdono ogni vigore nel giro di due anni, lo stesso vale per l’uva, basta vedere gli uliveti trattati così – e teoria bella da tavolino per me qui. Per l’umus portiamo letame delle pecore, con trenta pecore concimiamo 400 olivi, orto e vigna – secondo me il vero problema oggi è fare agricoltura senza avere animali.
Può essere un sistema valido in certe zone con certi terreni, ma non si può fare di tutto l’erba un fascio. E spiegami come seminare un campo di erba medica per esempio, senza coltrare (e non dirmi usare il diserbo). La rotazione antica – medicaio per anni (che non si coltra ma serve per il fieno e genera umus) – grano – granturco+letame – medicaio era una cosa ottima.
La carotatrice nel oliveto a cosa servirebbe?
@ste: il tavolino non ce l’ho, coltivo un orto di 5.000 mq. Nell’oliveta che curo qui (a Sacrofano, a nord di Roma) da 4 anni il vigore è sempre aumentato e la mosca che lo devastava se n’è andata.
Sulla vigna ammetto di avere meno esperienza, quindi non insisto nello specifico, ma la logica mi suggerisce che se la terra migliora la coltivazione la segue. Se trinci e basta i progressi sono lenti e nei primi anni non c’è confronto rispetto alla spinta della letamazione, ma il letame non fa humus stabile, tanto meno se lavori la terra. La pratica della trinciatura supera la forza del letame già dal primo anno solo se è accompagnata da due forature l’anno o carotature (inizio e fine inverno), a maggior ragione se praticata su un terreno compattato negli strati medio-profondi dalle fresature e arature.
La tendenza all’allevamento in libertà è giusta e sta diffondendosi, quindi il letame sarà sempre meno reperibile, così come la carenza di petrolio rende necessario cercare sistemi alternativi alla meccanizzazione eccessiva e all’uso di derivati. Non ho un’esperienza specifica riguardo i medicai e quest’anno per la prima volta ho seminato il farro senza lavorare la terra nè concimare. Ti saprò dire.
Non ho mica detto che non funziona e concordo che si devono assolutamente trovare altre strade e sviluppare altre pratiche alternative; ho solo detto che non è applicabile a tutte le situazioni, dipende dai fattori locali e qui l’olivo si addormenta e basta, non è il letame che lo sveglia ma la lavorazione. Il vecchio Cato non aveva tutti torti quanto scrisse: primo arare, secondo arare, terzo concimare.
L’animale sempre a pascolo rovina lo stesso pascolo con il troppo letame, a parte che con i lupi in continuo aumento le pecore di notte stanno meglio dentro e chiuse.
Mi interessa davvero come poter seminare ettari con questa tecnica, farro o medicaio che sia.
@ ste: l’arricchimento dell’humus può essere solo una conseguenza della protezione del terreno realizzata con la pacciamatura prodotta dall’erba tagliata, questo vale per qualsiasi terreno a qualsiasi latitudine, come dimostrano le esperienze dei coltivatori che applicano metodi naturali in tutto il mondo. Alcuni dettagli possono variare da zona a zona, ma sono solo dettagli. Il livello di humus è decisivo per la crescita e la forza della pianta. Le arature praticate nella storia dell’agricoltura sono il frutto di una mentalità di sfruttamento che ha portato guerra, fame, malattie e ingiustizie sociali. L’agricoltura è nata dove sorgevano i giardini più belli del mondo, oggi restano pietre e deserto. Così su tutto il percorso seguito da oriente verso occidente, da sud verso nord dall’agricoltura convenzionale. A forza di arare i contadini sono oggi costretti a spese insostenibili e non guadagnano più, sono a un passo dal cadere nel ricatto di piante modificate a livello genetico per produrre ancora qualcosa da terreni ormai privi di struttura e di humus. La risposta tecnica, umana e sociale è: credere di più nei processi naturali e puntare risorse ed energie per far sì che si superino i livelli produttivi derivati dalla meccanizzazione, dalla chimica e dalla manipolazione genetica. Questi fattori distruttivi godono invece di investimenti sovradimensionati. In questo orto sperimentale le calorie impiegate sono un decimo di quelle prodotte (nell’agricoltura convenzionale è l’opposto) e non c’è un minimo sostegno da parte del mondo accademico nè, ovviamente, industriale. Andiamo avanti per dimostrare che lavorare la terra e concimarla fa male nel medio e lungo periodo, a fronte di risultati ottenuti solo anno per anno e con spese crescenti. Almeno dai colleghi ci piacerebbe essere incoraggiati. ps.: qui lavorano volontari che in cambio ricevono il prodotto dell’orto. La verdura quindi non viene venduta, per evidenziare come lo scopo della coltivazione sia la sperimentazione pura. Altre realtà iniziano a coltivare con gli stessi metodi in tutta Italia.
“Le arature praticate nella storia dell’agricoltura sono il frutto di una mentalità di sfruttamento che ha portato guerra, fame, malattie e ingiustizie sociali.”
Scusa tanto, ma questo è degno di fondamentalista religioso e non è un affermazione sostenibile, inoltre offendi tutti gli agricoltori che lavorano la loro terra con amore per essa. Ho un po’ di problemi di discutere con persone che sono in possesso della verità assoluta.
Cmq ripeto: ben vengano esperimenti per migliorare la vitalità del terreno, anch’io gli ho fatti e tirato le mie somme. Una lavorazione minima è indispensabile qui dove vivo io, anche gli studi fatti dal FIBL parlano di una lavorazione minima/ridotta ma non assente, trovo questo in italiano, pagina 4.
@ ste: la concimazione organica non è sufficiente a reintegrare i danni arrecati dall’aratura alla stratificazione del terreno, quindi alle condizioni per la formazione di humus; per questo motivo chi ara somministra concime chimico o concimi organici concentrati, frutto di processi industriali ancora più inquinanti. Prima dell’introduzione dei concimi di sintesi la terra coltivabile ha subito anno dopo anno, da migliaia di anni, la depauperazione del contenuto di humus “storico”. La progressione dell’impoverimento causato da aratri di legno tirati da buoi è più lenta di quella provocata da un trattore coi vomeri di metallo, ma è comunque inesorabile. Le popolazioni con una agricoltura più avanzata, per i tempi, di fronte alle carestie causate dall’impoverimento della terra agricola hanno sfondato i confini e fatto guerra ai vicini per impiegare più manodopera e per sottrargli la terra. L’ingiustizia sociale che ne deriva è lo sfruttamento dei vincitori sui vinti che ne è derivato. Ancora al tempo dei Romani il nord Africa e il Portogallo o la regione dell’Arcadia erano ricchi di foreste, ridotte a quel che sono oggi dall’espansione prima militare poi agricola dell’Impero. Gli esperimenti sporadici non danno risultati, bisogna avere un progetto preciso e perseguirlo per anni: il nostro progetto è di produrre senza concimazione e senza lavorazione, di più e meglio di quanto faccia l’agricoltura convenzionale. E i risultati ci raccontano che la ricerca accademica e industriale corrono veloci sulla strada sbagliata. Le lavorazioni minime fanno danni minori rispetto a quelle profonde, ma la ricerca che porta a risultati spendibili per un futuro ormai prossimo riguardano tutt’altro: l’arricchimento della biodiversità sul campo coltivato. Amare non si scrive come Arare, per chi vive la terra è un malinteso in buona fede.
Non si può discutere con uno che capisce tutto meglio di tutti gli altri che per millenni hanno lavorato la terra arandola. Non c’era alternativa e anche adesso senza una minima lavorazione non fai agricoltura (non dico ortocoltura ma agricoltura).
Buon lavoro.
Una discussione richiede argomentazioni e non mi pare che tu ne abbia più già da un pezzo, infatti è già la seconda volta che attacchi sul piano personale e fai affermazioni superficiali. Esistono anche tra i conservatori come te persone aperte e degne di rispetto, che non hanno il terrore di guardare oltre la siepe. Le alternative all’aratura ci sono da decenni e la ricerca va avanti tra le mille difficoltà create da chi ti vuol vendere aratri e trattori, carburanti e prodotti industriali di cui l’agricoltura non ha bisogno. La possibilità di comunicazione legata alla rete rende possibile a tutti di informarsi del pro e del contro, ma se non ti va di approfondire sui libri o sul web tra poco lo trovi scritto anche su Topolino, perchè senza petrolio sventrare la terra non sarà tra poco più comunque possibile. Malgrado la polemica siamo dalla stessa parte, quella di chi ha dedicato tutta la vita alla terra (ho 55 anni e ci lavoro ininterrottamente dal 1972). Quindi va bene anche così, perchè scrivere qui è come parlare in piazza per tutti i presnti. Piove, se no a quest’ora sarei sul campo! Buon lavoro anche a te.
Non era mia intenzione di attaccare sul piano personale, se ho sbagliato tono mi scuso.
Ho guardato le foto del orto tuo, vedo un tosaerba e tanti fori, il carburante ci vuole anche a te.
Per gli argomenti: se tu non vuoi accettare le mie osservazioni nei oliveti qui dintorno perché sono diversi ci posso fare poco. In fondo non siamo così distanti, l’aratura è solo una tecnica con vari aspetti come tutte el tecniche, ogge ne esistono altri e vanno provate, come no. Ma se tu vedi come IL MALE ogni lavorazione della terra anche se solo superficiale c’è poco da discutere, abbiamo opinioni troppo diversi.
A proposito di argomenti: Già solo l’aspetto del incendio estivo è un argomento forte per lavorare la terra e non lasciare l’erba secca in giro nei uliveti. Adesso con quest’abbandono crescente qui dintorno un eventuale fuoco che parte non trova più barriere.
Pannelli solari e attrezzi elettrici, niente carburanti. Se rispondo ancora è perchè sono convinto della tua buonafede. L’aratura non è IL Male, ma semplicemente un male, lo dico perchè sperimento la coltivazione senza arare e ho verificato nella pratica che così è meglio, oltre che possibile, insomma: che questa è la strada giusta. Rileggendo gli interventi precedenti vedrai che qualcosa ti è sfuggito: l’erba non va lasciata crescere e seccare, ma deve essere trinciata e lasciata sul posto per proteggere la terra e rilasciare le sue sostanze, aiutata dalla foratura. Naturalmente non si riduce tutto a queste semplici operazioni, ma il nodo centrale è questo: se riduci la biodiversità nell’ambiente di coltivazione -sopra e sotto la terra- poi succede qualcosa di brutto che ti costringe a lavorare di più al posto delle forme di vita che hai eliminato. E prova a riflettere su quante vittime provoca l’aratura tra gli abitanti del suolo… si parla di miliardi di esseri viventi al cm cubo, tutti indispensabili al ciclo della crescita di cui sia noi che le piante coltivate siamo parte. Grazie per aver abbassato i toni della polemica, così è un piacere discutere, anche animatamente.
Ho benissimo capito il concetto del erba tagliato, ma se non piove per mesi come succede spesso qui il pacciame trinciato brucerebbe come nulla, inoltre sotto schianta il terreno e il sole entra, per avere il trinciato più sfatto dovrei trinciare più volte e consumerei la stessa quantità di carburante come con frangizolle. I primi dieci anni ho lavorato in quel modo, non avendo il trattore ho solo tagliato l’erba e gli olivi erano fermi quasi. Come ho già detto: ho visto. Questo vale per molti posti qui sulla collina di tufo, ci sono altri posti dove può funzionare meglio, la terra è diversa ovunque, e le tecniche agricole vanno valutate dopo averle provate. Se solo tagliare l’erba funzionasse qui lo fa farebbero tutti subito, la trincia l’hanno quasi tutti.
La vita nel suolo si reorganizza molto velocemente dopo un intervento con lo stirpatore o il frangizolle ma anche con il coltro, un po’ come dopo un incendio che sembra di distruggere tutto, ma basta vedere dopo due anni come la vita torna di galoppo trovando spazio di sviluppo e la vegetazione è più vigorosa e sana di prima. Se poi pensi alle povere piantine che tagli di continuo: è vita anche questo e non saranno contenti di vedersi impedito lo sviluppo naturale continuamente – questo per dire ogni tecnica agricola è un intervento che anche ferisce e uccide, la vita è fatto anche di questo.
saluti
Per vivificare la terra uso letame stagionato di un anno e il compost normale nel orto; la mia idea è quella di un organismo agricolo a circuito chiuso: prato pascolo e fieno che nutrono gli animali che danno letame per rendere fertile il tutto. L’arrivo dei trattori ha rimpiazzato gli animali da tiro e questa ferita nel circuito chiuso normalmente non si può più chiudere in modo economico oggi, c’è qualche viticoltore biodinamico francese che ha reintrodotti i cavalli ma per gli agricoltori comuni non è possibile di tornare ai buoi.
Il taglio dell’erba è obbligatorio in tutta Italia proprio per la prevenzione degli incendi. Più è grossolana l’erba tagliata, quindi anche non trinciata ma solo sfalciata, e migliore e più duratura è la pacciamatura. Quando fresi o ari la terra fai esattamente ciò che fanno in Pianura Padana o in Brianza o nella Sila o in Maremma o nel Wisconsin (etc) i coltivatori convenzionali; quindi non è chiaro perchè tu debba considerare indipendente dalla situazione locale la lavorazione del terreno e non l’applicazione di una agricoltura più naturale. Gli incendi per autocombustione sono casi rari in Natura e distruggono anche la fauna, oltre che la flora; dopo due anni appaiono le prime erbe pioniere e ci vogliono decenni per reintegrare il patrimonio andato distrutto. Fresando due o tre volte l’anno la Natura non ha il tempo di ricostruire la struttura e la vita del terreno. Se il prefisso BIO significa etimologicamente vita, non capisco come lo si possa attribuire ad una coltivazione che diminuisce le forme di vita presenti nell’ambiente: semmai si dovrebbe chiamare coltivazione NECROlogica. Il letame serve se impoverisci la terra con le lavorazioni e non basta a riportare un decimo del valore nutritivo detratto con lo sconvolgimento degli strati del terreno. Parlo di prove fatte e confrontate per anni da me e tutt’ora in corso quotidianamente, non lette sui libri. Le convinzioni relative all’utilità dell’uso dei macchinari (e di tutto il resto che va contro i processi della Natura) sono il frutto del martellamento pubblicitario e accademico perpetrato dall’industria del settore, da decenni a questa parte. Agli agricoltori manca l’altra campana sin dai tempi della formazione alla scuola agraria. Confondere la ricerca con il ritorno ai buoi è frutto di questa confusione, dalla quale non è facile uscire se non cambiando innanzitutto mentalità.
Non so come dirtelo ancora: ho visto e sperimentato il metodo qui.
Sugli incendi ti sbagli, qui è bruciato un ettara di bosco e ti farei vedere la vegetazione che ci è ritornato in pochi mesi. Non ho parlato di autocombustione ma di fuoco che scappa o che viene appiccicato. Per il resto abbiamo punti di visto troppo distanti, il letame e i compost portano molto più forza vitale che erba tagliata. Tu continui a dirmi che sono un necro-agricoltore ispirato dalla propaganda e delle scuole agrarie (che ho mai frequentate) ma fori la terra con un trapano mentre io uso il frangizolle.
Credo che a questo punto meglio che passiamo ad altro, ciao.
Grazie. Grazie perché avete dimostrato come si possa discutere senza insultarsi (non mi sono ancora ben ripresa dal trauma della rubrica sugli ogm ;-)). Si sente da come scrivete che siete tutti e due in buona fede, e che amate appassionatamente il vostro lavoro. Ed é istruttivo leggervi, tutti e due. Ma perché non vi incontrate? Secondo me ci sono ottime basi per un gemellaggio: Olmontano va a trovare Ste che poi va a trovare Olmontano. Siete troppo esperti, mannaggia, perché finisca tutto cosí…;-)
Va bene, passiamo ad altro. Siamo stati, in questo confronto di idee, come quei cowboys che si affrontano nella strada deserta, ma da ogni finestra qualcuno sta a guardare. So che ci hanno seguito in molti e mi fa piacere di aver provocato con Ste tanto interesse su temi agricoli. Ognuno ora si farà una sua opinione andando a rileggersi gli interventi dei giorni scorsi. Grazie Claudia e grazie Ste!
Anche da parte mia sono contento che il confronto delle idee diverse interessava più di due :-)