Siamo già alla terza puntata dei formaggi di pecora felice di Monzitta e Fiori; ormai questa azienda la conoscete bene ed è inutile che vi racconti della sua bella Sardegna, del Logudoro, dei profumi di macchia mediterranea nei quali l’azienda è immersa, e di tutto il resto che peraltro vi ho già illustrato quest’estate qui sul blog.
Di questo pecorino semistagionato, a pasta morbida e a latte intero crudo, posso dirvi che è stagionato più di 5 mesi, e che è un “canestrato”, vale a dire che tradizionalmente viene stagionato in un canestro di giunco, che lascia la sua texture stampata sulla crosta, come potete intravedere nelle immagini, e che ha un sapore molto deciso e intenso.
Quando ti trovi tra le mani un formaggio di questa portata, che sarebbe già di per sé un piatto completo (non faccio mai il conto delle calorie, lo trovo riduttivo, ma qui parliamo di 410 calorie per 100 grammi!) accostato a una fetta di pane e un bicchiere di buon vino, la scelta che ti si presenta è usarne pochissimo per offrire una sfumatura particolare ad un piatto che abbia già una sua – preferibilmente non spiccata – personalità (sapori troppo delicati verrebbero annientati da cotanta volitività) oppure usarlo abbondantemente con un compagno dal carattere poco definito, che accetta, anzi desidera, essere guidato ed esaltato.
Chi meglio delle patate sarebbe perfetto per questo matrimonio? È vero che in questi anni ho giocato un po’ con tutto; gli aficionados di questa rubrica forse ricorderanno il pane dell’ultima volta, la polenta dello scorso ottobre, la quinoa di questa estate, ma anche il riso con i finocchi di un maggio molto trascorso, o le cipolle, la lattuga, le mele, la barbabietola, le uova e tanti altri piatti che sono passati su questo schermo da quattro anni a questa parte.
Ma le patate normali non mi bastavano, oltre al fatto che qui in casa zac al momento siamo in fase di esperimenti, e quindi da qualche mese insieme alle mie amate patate gialle, bianche o rosse che siano, sto giocando con la batata americana, che – badate bene – *non è* una solanacea (come i pomodori), bensì una convolvulacea, famiglia di piante dai bellissimi fiori. Un tubero che tra l’altro pare avere straordinarie proprietà nutritive, con un sapore a metà tra la patata e la zucca, e che a differenza della sua cugina (adottiva) può essere consumata anche cruda, anzi, proprio da cruda estrinseca meglio tutte le sue proprietà. Preciso che questa meraviglia viene coltivata in Italia da molto tempo, anche in versione biodinamica, ai margini del Parco Nazionale del Circeo.
Solo che a memoria d’uomo, anzi di donna, anzi mia, non avevo alcun tipo di nozione per cucinare questo tubero, per cui mi sono messa a cercare un po’ di opzioni interessanti che prevedessero l’uso del formaggio (o che fossero inclini all’upgrade). Dopo qualche giro ho trovato questa bella ricetta sull’elegantissimo blog di Heidi che mi ha fatto molta gola, soprattutto per la presenza dell’aglio che secondo me avrebbe attenuato un po’ il dolciastro della batata.
Ho apportato qualche piccolisssssima modifica (tipo sostituire l’ingrediente principale, ehm), e una semi-fusione con i suggerimenti di quest’altra pagina, e alla fine sono rimasta molto soddisfatta di questo piatto, che ha passato anche egregiamente le prove zac e minizac.
Bisognerebbe fare una prova in doppio cieco con queste ricette. Purè con Iscala Murada e purè con pseudoformaggio del supermercato. E dal risultato gustativo decidere le prossime scelte alimentari :-) Intanto ricordate che adesso finalmente è possibile acquistare alcuni caci-bradi direttamente sul Mercato del Formaggio di Stefano. La ricetta invece la trovate qui!! :-)
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