Tra i cinque seicento input che quel deus ex machina di Roberto Liberati mi ha riversato addosso quando un mesetto addietro sono andata a trovarlo, e che vi sciorinerò man mano nel tempo (ci vorranno quei tre o quattro anni per esaurirli tutti, e comunque Roberto me li upgrada periodicamente) c’è stato anche questo libro sorprendente, che il suddetto mi ha allungato dicendo solo una cosa: leggilo :-)
Giovanni Bietti
Nonostante la mia ormai ben nota curiosità, devo ammettere che un manuale sul vino non sarebbe stato proprio tra le letture che agogno, più che altro per una mia rigidità mentale, perché ero portata a credere che fosse un mero elenco di vini, dei quali capisco poco o nulla, se non il fatto che quelli buoni – e in genere, sigh, costosi – mi piacciono, e molto.
Tornati a casa però zac me l’ha sequestrato e se n’è letto una ventina di pagine, dopo di che mi ha detto: leggilo. Due leggilo in ventiquattr’ore non si possono ignorare. Ho cominciato a scorrere le prime pagine e ho ritrovato tutto le cose in cui credo, e che cerco di condividere, trasposto in chiave vinicola :-)

Prima di tutto, l’autore del libro, Giovanni Bietti. Musicista e compositore, appassionato di un certo tipo di vino, che mi ha fatto pensare per larghe linee a Pollan (per chi non lo conoscesse, Pollan è lo scrittore che ultimamente ci sta raccontando come funzionano alcuni orrori nell’ambito della coltivazione intensiva, dell’allevamento industriale e dell’alimentazione che ne deriva), e del quale lui infatti nel libro cita svariati passi dal “Dilemma dell’onnivoro”.

Per quanto mi riguarda io il Bietti l’ho già santificato, anche solo perché nel capitolo “vino senza zolfo: un’utopia?” sostiene che l’anidride solforosa, che viene normalmente utilizzata come antiossidante e antisettico (e che è ritenuta responsabile di moltissimi malesseri che siamo ormai soliti attribuire al vino in sé, e di altri, come asma e problemi all’apparato nervoso, che invece fino adesso non erano stati ricondotti al vino) si può eliminare dal processo di vinificazione, e si può farlo *senza* escamotage (come l’aggiunta di tannini e polifenoli a uve frutto dell’agricoltura industriale).
Giovanni Bietti
La chiave di volta perché questo miracolo possa accadere starebbe semplicemente (eehhh…) nell’utilizzare uve sane, che producono da sole il loro antiossidante naturale; vale a dire uve che non abbiano subito trattamenti chimici di nessun tipo, che abbiano fermentato da sole (senza aiuti) e per tutto il tempo necessario.
Oltretutto secondo l’autore il vino senza solforosa fatto per bene, sarebbe non solo più interessante per chi lo degusta, ma anche più digeribile (smack!!! scusa, eh, Giovanni, ma adoro questo tipo di notizie – non so come dire – mi dànno una speranza). Certo, nel libro ho scovato anche un po’ di pessime notizie del tutto inaspettate (per me che sono il tipo che i gialli non li capisce neanche quando glieli spiegano, magari voi ‘ste cose le avevate già arguite).
Ad esempio, ero totalmente all’oscuro del fatto che nel vino ci potessero essere una varietà incredibile di cose strane che con l’uva non c’entrano neanche di striscio, come lieviti per vinificazione, solfato di ammonio, diclodrato di tiamina (ma che è??!), carbone per uso enologico, gelatina alimentare, caseina, ovalbumina, lattalbumina, bentonite, diossido di silicio, caolino, acido sorbico, acido tartarico, bicarbonato di potassio, carbonato di calcio, resina di pino, polivinilpirrolidone (eehhh??!), batteri lattici, ferrocianuro di potassio, gomma arabica, caramello, (queste sono quelle legali, che però non devono comparire in etichetta – ma questo è un particolare); e poi tra quelle illegali glicerina e aromi.
libri sul vino bio
Scusate, devo riprendere fiato un momento. Il fatto è che noi zac, fino a prima di leggere ‘sto libro, l’unica cosa su cui derogavamo era proprio il vino; i vini biologici che avevamo assaggiato non ci erano parsi un gran che (ovviamente acquistavamo però quelli molto economici, in genere da natura sì) e quindi spesso ripiegavamo su quelli che trovavamo sugli scaffali del supermercato. Da adesso mi sa che se avrò la possibilità di acquistare un buon vino naturale bene, altrimenti ripiegherò sull’acqua e limone. Eh. Solo perché l’acqua da sola a pasto non riesco proprio a berla, una tara familiare, neanche mio padre ci riusciva, doveva sempre metterci qualcosa dentro.
Un’altra osservazione interessante di Giovanni, e che vorrei sottolineare e sottoscrivere, è che il principale nemico del vino naturale è l’approccio esoterico, il linguaggio da iniziati, che mette in soggezione chi magari sarebbe curioso di saperne di più, e che rende difficile la diffusione della realtà delle cose. La parte discorsiva occupa la prima metà del libro; nella seconda metà ogni territorio è rappresentato da un singolo produttore, che viene descritto in modo dettagliato, ma viene fatto cenno anche alle altre case vinicole che Giovanni ritiene degne di nota.
In verità il libro è *tutto* interessante, trasmette una reale e approfondita conoscenza dell’argomento, è scorrevole, e leggerlo è veramente un piacere. Le due cose che vi ho citato non rendono veramente il contenuto di queste 140 pagine, che straripano di concetti, espressi però in modo semplice e comprensibile anche a… me.
È il primo di una serie di quattro che percorreranno tutte le regioni italiane. Questo che mi ha regalato Roberto è dedicato all’Italia centrale, quindi Lazio, Toscana, Umbria, Marche e Abruzzo; sono già in preparazione e saranno presto pubblicati il nord-ovest, il nord-est, il sud e le isole. Alla fine del libro c’è anche un elenco di 50 bottiglie che secondo l’autore rappresentano bene il vino naturale del centro Italia, divise per tipologia (bianchi, bianchi macerati, rosati, rossi, rossi strutturati e vini da dessert); in più i vini che si dovrebbero poter trovare entro i 15 euro sono segnalati con un asterisco.
Se siete interessati all’argomento, mi sento veramente di consigliarvi questa lettura, sotto l’ombrellone e non. In rete lo trovate sul sito della casa editrice, qui. Un libro assolutamente pastonudista :-)