Immaginate la luce obliqua delle tre del pomeriggio, che entrava dalle enormi porte finestre del mulino Floriddia e accarezzava nel silenzio più assoluto (in quel momento non c’era nessuno) le macchine tra il grigio e il crema, i sacchi di farina accatastati e gli scaffali pieni di scatole perfettamente ordinate, il tutto immerso in un’atmosfera di calma pacata assolutamente irreale.

E Rosario Floriddia che mi spiegava per grandi linee il funzionamento di ogni singola macchina.
Trasportatevi con me nel bel mezzo della Toscana più pittoresca, e scopriamo insieme da dove vengono (e come) quelle che al momento in Italia secondo me sono lo stato dell’arte della farina, le migliori in assoluto, e incredibilmente, anche quelle con il prezzo più ragionevole.
Naturalmente tutto parte dalla mietitrebbia, che taglia e raccoglie le piante di grano e che al suo interno separa le spighe dalla paglia (il culmo con le foglie), sgrana le spighe e con un sistema di vento e setacci riesce a ottenere i chicchi di grano, mescolati a polveri e chicchi simili di altre piante erbacee.

Questi chicchi dalla mietitrebbia vengono trasportati e travasati nel silos che vedete in fondo a sinistra nella foto sotto, e poi vanno in quella macchina verde (a destra nella foto) che opera una specie di prepulitura, separando il grano vero e proprio da gran parte delle impurità (ad esempio fogliame verde e polveri che possono contribuire a scaldare e favorire la presenza di insetti e muffe).

Il tutto viene poi imballato in sacchi giganteschi (ognuno ha una capacità di circa 10 quintali) e finisce in un magazzino (quello che una volta si chiamava granaio) ordinatissimo e silente, in attesa di accedere al selezionatore vero e proprio.

I chicchi vengono poi portati nell’edificio del mulino, dove passano in un’altra macchina che li seleziona ulteriormente per grandezza, peso specifico e colore (in questa fase vengono anche eliminati tutti i semi che possono essere nocivi come ad esempio la segale cornuta, che è velenosa) e poi in un’altra ancora che fa la spazzolatura, cioè li sgrossa e gli toglie la prima pellicina, che è la parte esterna della crusca, e eventualmente i funghi (in gergo questa si chiama spazzolatura, o perlatura).

Solo dopo tutti questi passaggi il grano passa ai due mulini a pietra, che lo macinano; la farina, integrale, che esce da queste due macchine viene poi risucchiata da un pazzesco sistema di tubi pneumatici verso un’altra macchina (il plansichter) che ha tanti setacci successivi sempre più fitti (immaginate una serie di cassetti larghi e bassi con il fondo costituito da una retina simile a quella dei setacci che si usano in cucina), che la separano dalla crusca e dal cruschello.

E non finisce qui. Siccome quando la farina esce dal plansichter ha perso una buona percentuale del germe di grano (che è una delle parti più importanti del frumento dal punto di vista nutritivo, e che nei normali mulini a pietra rimane in buona parte nel cruschello e nella crusca), la crusca e il cruschello scartati passano in un’altra macchina che ne recupera una gran parte e la riversa nel sacco della farina di cui sopra, in modo da ottenere finalmente la farina semintegrale Floriddia, che ha appunto la caratteristica di essere ricca di germe di grano.

Per una serie di coincidenze e curiosità, i Floriddia hanno pensato bene di mettersi a produrre direttamente anche la pasta (integrale) con la loro semola di grano duro (antico, ovviamente). Per adesso la fanno fare in un pastificio di loro fiducia che si trova dalle loro parti, ma è in costruzione in questo momento il loro pastificio privato, e io ho avuto l’onore di vedere personalmente i primi mattoni (bio-therm) che venivano messi uno sull’altro :-)

Per chiarirvi il discorso integrale-semintegrale, devo dirvi che il procedimento che segue il grano duro è leggermente diverso. Il problema è che nella macinatura il grano tenero si sfarina (perché la consistenza del chicco è elastica), mentre il grano duro si sbriciola (perché la consistenza è vitrea). È per questo che dal grano duro non si ottiene farina, ma semola, di granulometria più grande rispetto alla farina, e di forma diversa.
Una volta macinato il grano duro va separato il cruschello, e a seconda di quanto se ne separa (cioè la percentuale di “ceneri” che rimarrebbe se si bruciasse la farina) si ottiene la semola, il semolato o la semola integrale.

Il loro mulino però per adesso non è in grado di separare la semola dal cruschello in quantità sufficiente per ottenere un semolato, e per questo la pasta che producono in questo momento è solo integrale, ma si stanno attrezzando per produrre anche la semintegrale, e personalmente non vedo l’ora di metterci le mani sopra :-)))

Intanto comunque qualche pacco di pasta non abbiamo potuto evitare di portarcelo a casa (si è nascosto nel bagagliaio della macchina mentre non guardavamo), e quindi presto ve lo farò vedere in tutto il suo splendore; datemi solo il tempo di trovare un condimento degno di cotanta farina :-)