Da quando ho iniziato ad affacciarmi da questa finestra virtuale e a raccontarvi ciò che faccio sono passati tipo tre anni ormai. E ho imparato talmente tante cose, moltissime proprio da voi che leggete, che me ne sembrano trenta. L’approvvigionamento del cibo sta diventando uno dei punti focali del pasto nudo e di chiunque voglia alimentarsi in modo veramente consapevole, sia nel senso pratico della faccenda, che in quello etico, visto che le due cose dipendono anche moto l’una dall’altra.
mercati bio roma nord
Agli albori mi limitavo a consigliare di preparare il pane in casa con la pasta madre, prima sul sito della mitica Francesca, che ospitò i miei primi imbarazzatissimi passi, poi, dopo una manciata di mesi, sul mio blog neonato.
Parallelamente invitavo ad acquistare prodotti biologici certificati. Poi dopo tante chiacchiere, confronti, discussioni e scoperte ho cominciato a mettervi in guardia sulle certificazioni, che non sempre sono serissime, e a suggerire di guardare bene le etichette (grazie professor Giannattasio :-)), anche tra i banchi dei miei ex carissimi (in tutti i sensi) supermercati bio.

Infine, come avete potuto notare negli ultimi mesi, ho sforato completamente e vi ho buttato lì con nonchalance la nuda e cruda verità, e cioè che chi vuole veramente mangiare in modo consapevole deve necessariamente attivarsi personalmente, imparando piano piano quello che le nostre bisnonne ben sapevano (quel tipo di sapere che ci è stato trafugato progressivamente e con mano silenziosa – infatti a stento ce ne stiamo accorgendo adesso, dopo più di vent’anni).
E cioè come dovrebbero essere allevati gli animali e come andrebbero coltivati i frutti della terra per usufruirne in modo adulto, responsabile, intelligente; vale a dire senza avvelenarci, senza sperperare e distruggere le nostre risorse, e facendo in modo da non farci odiare dalla nostra discendenza.

Può sembrare complicato, ma non è così difficile imparare – il difficile è accedere alle informazioni, perché le persone che posseggono i pezzi del puzzle che ci mancano non sono molte, e inoltre, come vi ho raccontato qui, il tutto è annebbiato ad arte (si fa per dire) da una miriade di informazioni inutili e fuorvianti.
mercati bio provincia di Roma
La regola basilare è una: scrollarsi di dosso la mania del controllo e cercare di interferire con la natura il meno possibile. Gli animali devono mangiare quello che mangerebbero se fossero completamente liberi, pascolando all’aperto durante la buona stagione, e avere un riparo quando fa freddo, senza integrazioni di cereali. Erba fresca o erba secca.
Le piante devono essere accudite ma non dirette, vale a dire niente concimi (o pochissimissimi naturali tipo letame — ovviamente non quello proveniente dagli allevamenti-lager intensivi, perché a forza di mangimi e antibiotici è sterile se non dannoso) e niente pesticidi (non c’è bisogno che vi racconti cosa succede al sistema immunitario quando gli mettiamo le stampelle, vero? – beh la stessa cosa accade alle piante – se le aiutate troppo diventano deboli). Basta — tutto qui.
mercato bio Sacrofano
O meglio, un’altra cosa da sapere ci sarebbe, visto che nessuno ce la dice, e cioè come fare a trovare i produttori giusti e onesti, possibilmente vicini a casa o almeno disposti a mandare le provvigioni per posta, velocemente e con serietà e precisione, senza spendere troppo rispetto a quello che ci si può permettere. La risposta è: frequentare nei fine settimana i mercatini biologici, che ormai ci sono in tutte le città e dintorni, bastano un paio d’ore — saranno due ore spese ottimamente.
Per quello che mi riguarda (già lo sto facendo da un po’) ho intenzione di presentarvi sempre più spesso piccoli produttori che mi sembrano affidabili (dopo un adeguato test pastonudista che consiste nel rompergli le scatole almeno per cinque o sei ore di seguito – se reggono entrano negli eletti); piano piano nell’elenco potreste trovare quelli che magari sono per voi più raggiungibili e avere la possibilità di andarli a trovare – di fare le vostre considerazioni, e di prendere le vostre decisioni.
Ecco. Quindi ieri che ho fatto. Sono andata a Sacrofano, dove Assunta, l’illuminata proprietaria di Alibìo, un negozio biologico che ha aperto da poco le porte in paese, ha avuto la buonissima idea di organizzare un precursore mercatino bio nella piazza di Sacrofano. I banchi erano pochi ma interessanti; per questa volta vi parlerò di un solo produttore, che tanto gli altri dove scappano – ho preso contatti e appuntamenti e vi racconterò presto anche di loro :-)
Potrei dirvi che la mia attenzione è stata attratta da un banchetto in particolare, ma in realtà più che attrazione si è trattato di un buco nero: Antonio Bernardi, alias Uva Clarabella, è il prototipo del produttore di cui in genere mi fido: quello che quando comincia a parlare non lo fermi più neanche con le cannonate, e trasuda passione da tutti i pori, ed emette radiazioni contagiose di energia e combattività, insomma quelli che li guardi e pensi che vanno come un treno (dovete assolutamente andare a leggere come si descrive nel suo sito; a me sono venute le lacrime agli occhi).
funghi cardoncelli
Il signore in questione è il titolare di un’azienda biologica pugliese, precisamente di Castellaneta Marina (in provincia di Taranto) che inizialmente produceva solo uva da tavola (con semi e senza, ci tiene a precisare, perché altrimenti i bimbi fanno fatica a mangiarla etc, etc, etc, etc, etc, eheheh).
Cito testualmente dal suo volantino: “So di dilungarmi troppo come mi dice sempre mia moglie, ma posso farci poco: io dico a tutti che conosco tutte le mie piante di vite, una per una, e se si fa un taglio a una di loro esce il mio sangue”.
Da qualche tempo Antonio ha cominciato a coltivare anche altre meraviglie tipicamente pugliesi, con lo stesso piglio eroico con il quale si è avvicinato all’uva: il banchetto che ho avuto la fortuna di vedere io era un trionfo di pomodori invernali, meloni che si appendono e si mantengono intatti fino a pasqua, melograni (sapevate che quelli spaccati sono i migliori perché hanno raggiunto la quota massima di zuccheri?), olive dolci e funghi cardoncelli.
mercati bio Sacrofano
Io già ai pomodori invernali mi sono sciolta per terra: mi ha spiegato che sono come quelli del piennolo napoletani – e io adoro i pomodori del piennolo!! Sono pomodorini con la buccia un pochino spessa, con i quali si intrecciano delle corone lunghe lunghe, e si tengono appesi al muro in un posto ventilato. Piano piano i pomodorini appassiscono, e più perdono l’acqua più gli zuccheri si condensano; si possono usare anche a natale, e vi garantisco che il sapore di un sughetto fatto con *quelli* vale tutta l’attesa.
Non so se questi facciano la stessa riuscita, ma a quanto mi ha detto Antonio gli darei una possibilità. Quelli che ho comprato io non sono intrecciati, perché facevano parte della schiera dei “caduti”, vale a dire quelli che si sono staccati quando le corone sono state intrecciate. Così sono stata *costretta* a farci un sughetto ieri sera, e se il buongiorno si vede dal mattino quando Antonio si presenterà al prossimo mercatino (forse a quello dell’Altra economia a Testaccio) con le corone io sarò lì accampata con il sacco a pelo ad aspettarlo :-9
Vogliamo parlare delle olive? Bell’e buóno (solita espressione napoletana per dire “inaspettatamente”) Antonio prende una manciata di olive dolci (quelle nere tonde che vedete in foto), le butta in una padella con un filo d’olio e comincia a diffondersi in tutta la piazza un profumo celestiale — immaginate la gente sparsa qua e là che comincia a convergere tipo Uccelli di Hitchcock. In pochi minuti le olive sono appassite e si sono spaccate qua e là; quando me le ha fatte assaggiare mi sono meravigliata, perché avevano un sapore decisamente (piacevolmente) amaro, tipo radicchio, per intenderci. Una cosa pazzesca. E fatta con olive dolci — raccolte al momento opportuno — e olio di olive amare, null’altro. La semplicità fatta ricetta.
Antonio Bernardi
I meloni verdi, autoctoni, facevano parte di tutto un capitolo a se stante: vanno raccolti in una giornata di tramontana, con aria molto asciutta e a mezzogiorno (massì, rasentiamo la stregoneria, tanto dal medioevo ci siamo usciti, no? Ah, è vero, no…). In questo modo si possono appendere in un luogo fresco e conservare fino a Pasqua :-)
Persino i funghi erano speciali: trattasi di cardoncelli originali, *non* di pioppini come potrebbe sembrare a una prima occhiata: crescono sui cardi selvatici e pare abbiano un sapore molto particolare; ancora non li ho provati ma vi saprò dire molto presto (potevo lasciarmeli sfuggire?).
L’uva purtroppo quando sono arrivata io era già finita tutta; Antonio però mi ha raccontato un po’ di cose che mi hanno fatto rabbrividire, sul fatto che moltissimi produttori convenzionali usano sulle uve (illegalmente) un ormone chiamato cpu fenilurea, del quale non si trova traccia a posteriori; l’uva trattata così si riconosce perché è molto grossa, i graspi sono ciccioni e l’attaccatura dei chicchi è grande; il peggio è che quando hanno visto che sull’uva funzionava hanno preso a usarla anche sui carciofi e su altri ortaggi. Che sfacelo :-(
Bene. Mi sa che di Antonio da queste parti ne sentirete parlare ancora. Intanto chi di voi abita dalle sue parti magari ci può fare un giretto (però poi mi dovete raccontare, ehhhh!!?).