È incredibile come in Sardegna sia tutto diverso, anche la natura, più potente, più ruvida, impressionante, fortissima. Questo luogo incantato l’ho conosciuto grazie alla mia amata rete e precisamente su facebook. Mi trovavo perfettamente in linea con tutto ciò che Roberto, l’illuminato conduttore dell’azienda (che poi chiamarla azienda è piuttosto riduttivo), postava giornalmente.
Quando poi siamo approdati in Sardegna, a una mezz’oretta da lì, non potevo certo esimermi dall’andare a dare uno sguardo (indagatore) in loco. Anche se sapevo che la Tenuta Le More è nata da poco (nel Natale del 2012!), e che hanno dovuto ricominciare tutto da capo dopo l’alluvione che c’è stata lo scorso novembre.
A proposito di alluvione, sapete cosa ho imparato? Che i muretti a secco, tipici della tradizione sarda, costruiti incastrando i sassi del territorio uno sull’altro, senza cemento né alcun altro “collante”, non sono pensati solo per poterli smontare facilmente, e per dare un ricovero a insetti e rettili, ma anche perché l’acqua gli passi attraverso senza buttarli giù e senza fermarsi formando acquitrini. Io li trovo un miracolo architettonico :-P
Devo dire che ormai ho una specie di istinto per le aziende che veramente meritano di essere scoperte dal mondo, forse perché mi sto letteralmente immolando alla causa! Anche stavolta sono stata molto contenta di aver ascoltato la vocina malefica che mi diceva: approfitta di questa giornata un po’ nuvolosa per andare a vedere la Tenuta Le More invece di rilassarti.
Ho capito subito che ne era valsa la pena quando Roberto per prima cosa ci ha presentato Rosa e Burro, due dolcissimi abitanti del luogo! Mai visti due asinelli così confidenti e affettuosi <3
Non avevo mai visitato un’azienda allo stato iniziale, e devo ammettere che è stato molto emozionante, un po’ come quando vai a trovare un bimbo appena nato. Il posto originariamente era un’area palustre depressa e asfittica, usata per anni per far pascolare il bestiame.
Piano piano, rispettando la terra secondo i dettami della biodinamica (e della permacoltura), ha cominciato a cambiare aspetto, tanto che adesso inizia a diventare un riferimento per chi studia coltivazioni sperimentali.
Siccome tra un campo e l’altro c’erano delle strisce belle larghe di erbe alte non tagliate ne ho chiesto il motivo a Roberto, il quale ci ha spiegato che hanno deciso di lasciare delle siepi che non solo fungono da frangivento, ma servono per creare una sorta di passaggio sicuro per gli animali selvatici, come il biacco (un serpente che può raggiungere i due metri e mezzo!), e poi lucertole, rospi e raganelle.
Ovviamente ci sono anche un sacco di altri abitanti, come ad esempio ragni e mantidi religiose (preziose perché mangiano una quantità enorme di insetti tra cui zanzare) che non si azzarderebbero mai ad attraversare un terreno completamente sgombro. Io intanto, per non saper né leggere né scrivere, ho visto un meraviglioso insetto stecco (lo vedete nella foto sopra, a sinistra?). Ci ho messo tre ore per capire qual era (è lì vedi? o.O Qui guarda?! O.O Qui! Eccolo! Lo sto toccando!! Ah sì sì!) ma alla fine l’ho visto eh.
A proposito di biodiversità, nel bellissimo bruco del Macaone (qui sopra) vi ci eravate mai imbattuti? Diventa una farfalla meravigliosa, e mangia un sacco di finocchio (selvatico), e con equilibrio, eh, come dice Roberto. Parole sue: “I finocchi coltivati in campo non sono stati sfiorati nemmeno per sogno dai macaoni. A 60/70 metri dalle coltivazioni, abbiamo seminato il finocchio selvatico che è notevolmente più aromatico di quelli coltivati ed i ghiotti macaoni preferiscono appunto loro. Quando parlo di equilibrio intendo l’osservazione ed il mantenimento di un sistema in grado di contenere e compensare eventuali squilibri, in genere causati dall’uomo.”
Dovete sapere che la pratica biodinamica prevede il sovescio, cioè le erbe presenti (o seminate appositamente) vanno tagliate e poi leggermente interrate con il “ripuntatore”, un attrezzo che le fa penetrare un paio di centimetri sotto la terra, cioè le “inerbisce”. Roberto ha deciso di non fare questa operazione nelle sue aiuole di coltivazione; la terra non viene proprio toccata in quelle aree, viene solo sfalciata leggermente a mano, cioè le erbe spontanee vengono tagliate in modo che non sovrastino le piante coltivate (non estirpate) e rimesse sul terreno.
È anche l’insieme delle radici vive e morte che contribuisce a creare l’humus nel terreno, e non solo lo fa rimanere stabile, ma tende a farlo aumentare, ed è fondamentale per far crescere sane ed equilibrate le piante (non è che vi ricorda qualcosa che abbiamo già osservato, no? :-)).
Ovviamente fanno molto anche i preparati biodinamici, come ad esempio il cornoletame (o P500), che è fondamentale. Le erbe, che vengono tagliate e lasciate seccare (tipo i cardi), oltretutto apportano anche carbonio, tramite la lignina, che si trasforma in sostanza organica, e dà struttura al terreno.
Nella tenuta solo i bellissimi olivastri e gli altri alberi autoctoni (come il salice gallurese che vedete qui sopra, in compagnia dello zac) sono stati lasciati, e si ergono lì come dei vecchi custodi a sorvegliare il tutto; il resto è stato trasformato in aiuole e altre aree, come quella tra gli agrumi e il meleto, dove viene fatta una coltivazione consociata di carciofi e altri filari di ortaggi.
Anche il laghetto (che ha un’area di circa 3500 metri quadrati) ha tutta una storia sua. Roberto lo definisce “il cuore umido” dell’azienda. Ha una funzione molto importante perché regola appunto l’umidità di tutto l’ambiente circostante. Si trova nella zona più bassa e raccoglie tutte le acque che passano nella tenuta, quelle piovane, comprese quelle reflue (eventuali) delle irrigazioni, facendo sì che non si crei di nuovo la palude.
A differenza della parte alta della tenuta, che ha un terreno più sabbioso, siliceo, che raggiunge temperature piuttosto alte e tende a formare la crosta (l’inerbimento serve proprio a evitare questo problema, perché mantiene un grado di umidità alto), nei dintorni del laghetto la terra è argillosa.
Il laghetto è stato progettato per avere profondità diverse (dai 2 ai 3 metri e mezzo in alcuni punti, dai 40 centimetri ai 70 centimetri in altri), in modo che le acque fredde e calde si ricambino e l’acqua non si surriscaldi e stagni.
È intensamente popolato: è circondato da rovi di more (da cui il nome della tenuta), ci sono menta acquatica selvatica e ninfee, che con le foglie galleggianti creano ombra e riparo per gli animali acquatici, e poi una grandissima varietà di libellule (guardate che meraviglia questa qui sotto, fotografata proprio da Roberto!).
E poi rospi, raganelle, tartarughe Emys, una specie palustre selvatica a rischio quasi dappertutto in Italia, e poi oche selvatiche e gallinelle d’acqua, e svariati pesci tra cui le bellissime carpe koi (portate da Roberto), un sacco di gambusie e purtroppo molti voracissimi pesci gatto, che hanno invaso il laghetto quando c’è stata l’alluvione (per fortuna le tartarughe Emys ne sono ghiotte!)
C’è anche un piccolo corso d’acqua non collegato al laghetto, che corre lungo il confine, attraversa la tenuta e poi esce in un altro possedimento limitrofo, vicino al quale Roberto ci ha fatto notare il sedano d’acqua, la camomilla selvatica, una vite maritata che si arrampicava su un perastro selvatico, e un sacco di carote selvatiche (ne vedete un esemplare nella foto qui sotto — ecco cosa sono quei fiori che si vedono molto comunemente anche qui da noi ai bordi delle strade di campagna!).
Che altro. Ah, sì, giusto un particolare. Le coltivazioni! :-D Beh, io oltre all’orto in fieri (erano ancora tutti ortaggi neonati) e a fichi d’india in sala d’attesa (per essere piantati), ho visto (e assaggiato!) soprattutto fragole assolutamente strepitose (quelle che erano un po’ appassite sulla pianta sembravano caramelle, giuro! Ma che dico. Cento volte meglio delle caramelle) che tra l’altro non essendo “spinte” da concimi sintetici e company durano da giugno a settembre.
Poi mandorli piccoli ma molto promettenti (a giudicare dal sapore delle mandorle che sono riuscita a rubare), susini inselvatichiti che danno frutti piccolissimi, varie piante di aloe arborescens (nella foto che vedete sotto erano un po’ sofferenti perché erano state trapiantate da poco) che l’anno prossimo tra le altre cose verranno frullate insieme al miele per ottenere un preparato disintossicante per l’organismo.
Roberto ci ha parlato anche di diverse varietà antiche di pere dei vivai Belfiore, di ciliegi di bonannaro e altri tipi di ciliegi (che danno frutti gialli!), e poi di mele antiche come l’Apiu (o appiola) e l’Errina, e la Miali; e poi un vigneto di uve da tavola e vari tipi di agrumi come la Pompìa, un agrume endemico Sardo presidio Slow Food coltivato soprattutto nella zona di Siniscola, con il quale si fanno marmellate, canditi con il miele, vari tipi di dolci appetitosissimi con le mandorle, e un liquore che si chiama pompinello).
Ci sono anche alcuni progetti in fieri, come le arnie, ne verranno inserite dalle 3 alle 4 per ettaro (inutile dirvi quanto sia importante prevedere le arnie all’interno di un’azienda agricola). Le api verranno allevate con il metodo biodinamico, che ovviamente esclude qualsiasi tipo di farmaco di sintesi e combatte la varroa (un parassita che colpisce quasi tutte le api) senza gli antibiotici che si usano normalmente (un giorno ne parleremo diffusamente, di questa cosa assurda).
Poi c’è anche in progetto una fattoria didattica, ma visto che questo posto meraviglioso siamo riusciti a convenzionarlo (potete leggere tutte le specifiche come al solito nella pagina dei vantaggi per i soci o localizzarlo sulla nostra mappa dei produttori), delle novità vi parlerò nella newsletter (siete iscritti, veroooo?!) man mano che Roberto me le comunicherà.
Per quel che mi riguarda non posso fare altro che ammirare questo progetto e supportarlo come potrò, perché è veramente bellissimo e anche… romantico, perché è coraggioso e ambizioso, senza compromessi e con una buona dose di follia, come tutti i progetti consapevoli.
Certo, il mio concetto di romantico è un po’ peculiare, me ne rendo conto. Trovo romantiche le ali delle libellule, il fatto che vivano un solo giorno, che abbiano un assetto di volo talmente perfetto che riescono a stare immobili nell’aria, e che le rende in grado di volare anche quando il vento è molto forte. La presenza delle libellule è un indicatore molto preciso della pulizia dell’acqua del luogo in cui si trovano. Se vedete libellule in un’azienda potete essere abbastanza sicuri della sua consapevolezza :-)
Vabbeh, chiudo prima di far diventare il blog un’enciclopedia sull’agricUltura! Avete letto del potere antidepressivo che ha il contatto con la terra? Ho ancora svariate aziende interessanti da farvi vedere, chissà se tutto questo scartabellare tra foto di piante e animali non faccia bene anche a me, anche se è solo virtuale! Intanto comunque a forza di conoscere queste realtà io imparo, eh. Quest’anno per la prima volta ho anche i pomodori sul balcone. E il peperone crusco. Una soddisfazione pazzesca :-)
Tenuta Le More
strada provinciale 59, località Picuccia — 07021 Arzachena (Olbia Tempio)
lemorebio@libero.it
+39.345.9001247
Bellissime foto… i particolari nel dettaglio, sembrava una passeggiata insieme… bel progetto nella terra… la natura ringrazia ed io con lei..;-)
Ma che meraviglia!! Un posto davvero fantastico… complimenti a Roberto!
p.s. hai il peperone crusco? E non mi hai dato i semi?!? Non credo ti perdonerò…
magnifico e coraggioso progetto, da sostenere senza dubbio! molti complimenti a Roberto.
Belle le foto e il racconto, come sempre.