Me l’avete sentito dire tante volte ma, avendolo fatto di sfuggita parlando d’altro, forse non l’ho mai sottolineato abbastanza. In sintesi, non si deve pensare agli alimenti bio come se fossero degli integratori: “il pomodoro bio è più buono perché ha più licopene, il vino bio perché è stracolmo di resveratrolo, la fragola bio perché è una riserva di antiossidanti” e via dicendo.

Se fosse davvero questa la ragione per consumare bio, vi confesso che il bio non lo mangerei più perché considero gli integratori una stupidaggine inventata dall’industria per accalappiare i consumatori, quelli ipocondriaci, per intenderci (che stanno diventando sempre più numerosi). Certo, talora possono servire, ma deve essere il medico a stabilirlo. Un’alimentazione equilibrata e di qualità ci dà tutto quello di cui necessitiamo per soddisfare i nostri bisogni nutrizionali.
È su questa base concettuale errata che i ricercatori che vogliono sminuire il valore effettivo del cibo bio, forse in buona fede, forse no, impostano un ragionamento da sofista di questo tipo: abbiamo valutato la letteratura scientifica esistente che ha confrontato il valore nutrizionale dei prodotti convenzionali e bio e siamo arrivati alla conclusione che il bio non vale di più del convenzionale perché ha più o meno lo stesso contenuto in sostanze nutritive.

Altro rischio legato a questo modo di ragionare è il seguente: se accettiamo l’idea che gli alimenti bio sono meglio di quelli convenzionali perché hanno qualche nutriente in più o in maggiore quantità, come la metteremo se e quando il mercato proporrà prodotti transgenici più ricchi di qualche nutriente o addirittura che ne contengono qualcuno che nei prodotti convenzionali è assente (riso che produce provitamina A docet)?
Sarà piuttosto difficile sostenere che il bio è meglio del transgenico e i favorevoli al transgenico potrebbero essere autorizzati a dire che il transgenico vale quanto il bio, se non di più. Quando si ha a che fare con il transgenico la mistificazione è sempre in agguato e bisogna stare all’erta costantemente.

Il ragionamento da sofista di cui sopra è quello che ha portato ricercatori inglesi qualche anno fa e, più recentemente, ricercatori di una prestigiosa università americana a sostenere la tesi che convenzionale e bio “pari son”, o quasi.
Le conclusioni di questi ultimi sono state riportate in un articolo pubblicato il 4 settembre dalla Repubblica, dal titolo: “Più buono, ma non più nutriente”. Il cibo biologico bocciato a metà.
Ah, questi giornalisti che danno ai loro articoli titoli ad effetto per suscitare clamore! Mi chiedo perché il pezzo non sia stato titolato: “Più buono. Il cibo biologico promosso a metà?” Ma anche “promosso al 100%” poteva andare bene considerati i risultati riportati nel paper dei ricercatori americani, risultati che l’autore dell’articolo sulla Repubblica si è guardato bene dal leggere (mannaggia, questi giornalisti che scrivono di alimentazione che non fanno altro che copiare, da perfetti amanuensi, quanto passa loro internet!). Sarebbe molto più utile ai lettori che si documentassero un po’ meglio prima di scrivere i loro articoli.
Io per mestiere e per interesse (e un po’ per darvene conto) mi sono preso la briga di leggermi il paper (Are organic foods safer or healthier than conventional alternatives? Annals of Internal Medicine, 2012).
La conclusione dei ricercatori (prima parte) è la seguente (traduco testualmente): “La letteratura pubblicata manca di una forte evidenza (in inglese: the published literature lacks strong evidence) che gli alimenti biologici sono significativamente più nutrienti degli alimenti convenzionali”.
Mia perplessità: l’espressione “manca di una forte evidenza”, non significa che non ci sono prove, ma che le prove ci sono, solo che sarebbe più convincente averne delle altre. Se non fosse così, gli autori avrebbero detto papale papale: Non ci sono prove.
Conclusione (seconda parte): “Il consumo di alimenti organici può ridurre l’esposizione a residui di pesticidi e a batteri antibiotici resistenti”.
Vi pare che questo significhi che il bio non è meglio del convenzionale? Questione lapalissiana: non è forse meno nocivo ingerire meno residui di pesticidi e infettarsi con un minor numero di batteri antibiotico-resistenti (mangiando cibo bio), che ingerire più residui di pesticidi e infettarsi con più batteri antibiotico-resistenti (mangiando cibo convenzionale)?
Per avere un’idea di quanto male possano fare i pesticidi al nostro organismo e soprattutto a quello dei nostri bambini, consiglio la lettura del mio articolo “I pesticidi nel piatto” sul numero 37 di Valore Alimentare magazine. I pesticidi fanno male al punto tale che ricercatori della prestigiosa Università di Berkeley (California) hanno lanciato dal sito ufficiale della loro Università questo messaggio: “Consumate cibo biologico quando è possibile perché in questo modo si può ridurre l’esposizione ai pesticidi presenti negli alimenti”.
Un invito che anch’io rivolgo a tutti, ma soprattutto alle mamme in attesa, che stanno allattando al seno o svezzando. E poi c’è il prof. Belmonne, docente di oncologia clinica all’Università di Parigi, che nella presentazione del film “I nostri figli ci accuseranno” sostiene, a ragion veduta, che “le prove scientifiche della nocività dei pesticidi ci sono, ma quella che manca è la volontà politica di risolvere la questione”.
E per quanto riguarda il diffondersi dell’antibiotico-resistenza è bene che si sappia che l’agricoltura convenzionale è una della cause primarie di questo fenomeno e che quella bio è ritenuta uno dei possibili rimedi. Ecco quanto affermano gli Autori di due lavori scientifici pubblicati recentemente sulla prestigiosa rivista Environmental Health Perspectives: “il trend nell’antibiotico-resistenza può essere rapidamente invertito in alcuni ceppi batterici passando alle tecniche di agricoltura bio” e che “la transizione alle pratiche bio è associata ad una minore prevalenza di enterococchi antibiotico-resistenti”.
Ma non è finita. Leggo tra le righe della discussione del paper: “Troviamo anche più alti livelli di fenoli totali nei prodotti biologici, più omega-3 nel latte biologico e nella carne di pollo, e più acido vaccenico nei polli organici rispetto agli alimenti convenzionali”. Tutte queste sostanze hanno un valore salutistico importante se sono presenti naturalmente negli alimenti. Poiché mancano nei prodotti convenzionali, ecco che una furbetta come la Parmalat ti aggiunge un po’ di olio di pesce (naturalmente ricco di omega-3) al suo latte (che di omega-3 non ne ha perché le mucche provenienti da allevamenti convenzionali mangiano troppo e male) e lo reclamizza come il non plus ultra per la salute del cuore.
Gli autori del paper, forse per limitare la portata di questi risultati a favore del bio, affermano che i risultati riguardanti gli acidi grassi (di cui l’omega-3 e l’acido vaccenico sono rappresentanti) sono pochi. Ma non possono non dire che sono “statisticamente” (statistically) significativi. Dunque sono risultati incontestabili.

Una riflessione e una conclusione

Se i nostri ricercatori americani avessero anche valutato il minor impatto ambientale dell’agricoltura bio rispetto a quella convenzionale (quindi terreni più sani, minor impiego di pesticidi, minor consumo di acqua, minor costo energetico, minore strage di api, uccelli ed animali terricoli) non avrebbero non potuto dare al bio la medaglia d’oro della buona qualità. Ma così va talora il mondo della ricerca, si valuta un pelo per giudicare la trave.
Perché — e concludo — la valutazione della qualità del cibo deve essere fatta a tutto tondo, cioè non solo il valore nutrizionale, ma anche quello organolettico (sapore, fragranza), salutistico (contenuto in sostanze benefiche per la salute), igienico (presenza o assenza di patogeni), e sanitario (presenza o meno di residui di pesticidi, antibiotici ed altri contaminanti), e, perché no, etico-sociale (rispetto dell’ambiente, della biodiversità, del benessere degli animali e delle condizioni di vita degli agricoltori).
Altrimenti dovremo assistere per l’eternità a diatribe tra “scienziati” sulla qualità del bio e leggere articoli come quello apparso su Repubblica che non informano, ma disinformano.
Vi annunzio che domenica 14 ottobre si terrà l’incontro “Seminare il futuro” in 254 aziende biologiche e biodinamiche italiane per lanciare un messaggio a sostegno della biodiversità e per ribadire il no agli OGM. Io sarò alla Zelata per un incontro su questo tema: “Perché tante allergie e intolleranza alimentari: gli esempi del grano e del latte”. Vi aspetto.