Ah! Sono riuscita a scovare un agriturismo praticamente bio pure in Gallura (provateci voi a trovare frutta e verdura bio nel nord della Sardegna e poi mi dite!). Sì, perché ovviamente quello che vi sentirete dire da parenti e amici è: “ma figurati, in Sardegna *è già* tutto bio!! Cosa vuoi che ci mettano, lì sono tutti contadini, gente del posto, la roba cresce pure se la butti là e te la dimentichi” e così via in una serie infinita di varianti multicolori.
Ebbene, ebbene no!! Dove eravamo noi, o andavi al supermercato (frutta e verdura incognite di provenienza italiana, spagnola e insomma insapori e piene di roba sintetica come “nel continente”), oppure all’unico negozio semi-bio di Palau (che udite udite si fa arrivare frutta e verdura bio *da Bologna*, Ecor o.O), o in terza analisi direttamente dal contadino, il quale però alcune cose (tipo zucchine, cipolle, patate) si limita a coltivarle senza “aiutarle”, su altre invece ci mette quella che lui chiama “la medicina” (sic, lì e dappertutto), perché “altrimenti gli insetti si mangiano tutto”.
Si mangiano tutto sì, basta uno sguardo alle piante per capire perché: terra rivoltata, non una pianta spontanea che sia una, niente pacciamatura! Quei poveri insetti che dovrebbero mangiare? Le lumache praticamente trovano un’autostrada senza pedaggio verso gli ortaggi, e il terreno, poveraccio, senza nessuna copertura, in estate perde umidità alla velocità della luce, e quando fa freddo gela.
Così, niente pomodori, niente peperoni e melanzane, niente frutta di nessun tipo (non so se avete notato, ma la cosa più difficile da trovare in versione sana è sempre la frutta, sigh).
Insomma, a meno che non andiate a stare da amici o parenti, in Gallura dovete rassegnarvi a mangiare frutta e verdura insapori, per non parlare del resto. Il triste e incolore cibo del turista :-( È vero che in Sardegna ci sarete andati per il mare, mica per il cibo, ma come sapete sul mio vocabolario la parola “rinunciare” è scritta in caratteri piccolissimi e con l’inchiostro trasparente 8-)
Fatto sta che a forza di chiedere in giro e fare la faccia scocciata la mitica mamma di zac sente parlare di un agriturismo che si chiama Lu Branu, che ha aperto da un paio d’anni uno spaccio, chiamato “La Bruttea”, nel quale vende i suoi prodotti. Con una certa diffidenza faccio prima un giro in rete e trovo il loro sito, dove in un angolo vedo che lavorano in regime biologico e sono certificati AIAB (adesso non più, tra qualche riga vi spiego perché). Tanto basta per prendere la macchina e percorrere i venti minuti di strada che ci separano.
Il punto vendita è grande e molto ben fatto. Siamo riusciti a trovare ottime albicocche (che voglio dire, quest’anno a Roma non ero nemmeno riuscita a sfiorarle!), susine, prugne, e poi insalata supercroccante, rucola, cetrioli, zucchine, bietola, perfino qualche pomodoro e qualche melanzana (lì cominciavano a maturare proprio quei giorni). Inoltre uova felici fresche di giornata, carne di manzo, speck, prosciutto e pancetta senza nitrati!
C’è anche carne di maiale, ma va bene solo se non siete proprio talebani (tra poco vi spiego perché). Salsicce e salumi invece purtroppo avevano nitrati e conservanti quindi, per quanto mi riguarda, nulla di fatto.
Ci sono anche ottimi formaggi di loro produzione, sia di mucca che di capra, e pecorino di un’azienda confinante che – loro assicurano – segue gli stessi princìpi consapevoli. E poi olive conservate in acqua e sale a ottimo prezzo, olii di oliva aromatizzati al ginepro, al lentischio, all’oleastro. E (lo so non è roba sana ma ditelo allo zac che li ha assaggiati *tutti*!!) distillati di elicriso, di latte di capra (!), di oleastro, di mirto e di limone :-)
Vabbeh, poi varie altre piccole cose che per noi hanno significato un mese di cibo buono, oltre che di sole e mare, durante il quale abbiamo potuto ricaricarci senza stressare inutilmente il sistema immunitario che usciva già a pezzi da due anni senza vacanze :-P
Naturalmente dopo tutto ciò *ho dovuto* approfondire, e abbiamo deciso di fare un salto all’agriturismo vero e proprio. Luogo dove ho capito che lo spaccio era solo la punta dell’iceberg :-)
Beh, quando si parla di Sardegna rurale potete dimenticare gli agriturismi ai quali siamo abituati noi cittadini. Qui si parla di roba mooolto più rustica, con una storia vera dietro, una storia di gente rude e forte. Non so da dove cominciare :-/
Ci ha accolti Antonello, uno dei proprietari dell’Agriturismo, e orgoglioso pronipote dell’originaria proprietaria dello stazzo, una donna veramente *di ferro*. Antonello ci ha accompagnato in una lunghissima visita del loro terreno, che di solito viene fatta in gruppo pagando una piccola cifra, e che inizia con la visita dello stazzo originario vero e proprio, molto molto interessante, ed esplicativa di quello che fu la Sardegna due secoli fa, e che in piccola parte è ancora.
Pare che la parola stazzo derivi dal latino “statio”, parola usata per designare un luogo di sosta, un posto di guardia o simili. E in effetti la casa che abbiamo visitato noi era posizionata in modo da vedere eventuali visitatori a chilometri di distanza :-) C’è tutta una storia articolata, a tratti sanguinosa, di questa signora sarda incredibile; se andate a visitare il posto Antonello sarà felice di raccontarvela. Io ovviamente sono rimasta ipnotizzata dallo stazzo in sé, che in questo caso era molto ben fatto (e un po’ rivisitato a posteriori).
Se guardate le foto, potete vedere che la porta d’ingresso sfocia direttamente in un’enorme cucina, che è la camera principale della casa, dove si viveva tutto il giorno (oddio, quelle poche ore del giorno che non si passavano fuori a lavorare, visto che lo stazzo è una vera e propria fattoria a misura d’uomo). In questa cucinona-soggiorno-tutto c’era ogni utensile che vi possa venire in mente, e anche qualche chicca per ricreare l’atmosfera di un tempo (e poi mica tanto, di un tempo… lì il tempo pareva proprio essersi cristallizzato), tipo una grande vescica piena di strutto appesa al soffitto, accanto a un’ingente pezzo di guanciale. Il soffitto era fatto di travi di ginepro e canne, esattamente come all’epoca.
Alla destra della cucina c’era la zona notte, con il letto, una piccola culla bianca, qualche mobile dell’epoca, e un pavimento di cotto assolutamente strepitoso, coperto da una pelliccia di capra. Insomma un vero e proprio museo, completamente fuori dal mondo.
Lo stazzo era perfettamente autosufficiente; in casa c’era un grande cassone per contenere il grano, con una specie di rubinetto alla base; fuori c’era una macina a pietra che veniva fatta girare da un asino.
Poco più in là una casetta con un forno a legna esterno; il pane però si infornava dall’interno, infilandolo in un buco nel muro! Se ci fate caso il muro esterno del forno ha due piccoli scaffali di pietra alti incassati nella parete… servivano per far raffreddare le pietanze e il pane usciti dal forno, senza che gli animali potessero raggiungerli (notate il pavimento di pietra) :-)
C’era persino una dependance, ehm, forse meglio un *rifugio*, per eventuali viandanti che andavano ospitati, per semplice educazione. E un vero e proprio cimitero di famiglia, composto da *un* loculo scavato nella roccia!
Ovviamente non poteva mancare il vigneto casalingo (che vogliamo fare a meno del vino, dell’aceto e di tutto il resto?); c’era un po’ di cannonau e un po’ di uva “caricaggjiola”, un’uva autoctona sarda molto antica, simile al Sangiovese.
Subito dopo abbiamo visitato la vera e propria azienda agricola.
Immaginate 150 ettari di terreno, per buona parte costituiti dalle indescrivibili rocce sarde scavate e modellate dal vento, e per il resto allegramente abitati da una trentina di capre (un incrocio tra capra sarda e maltese) che vagano libere sulle rocce, 200 maiali di razza sarda (somigliano ai maiali rosa convenzionali, ma più piccoli e muscolosi e un po’ più scuri), pure loro pascolanti e grufolanti a piacere (vengono chiuse solo le scrofe quando devono partorire e i “magroni”, che sei mesi prima di essere macellati vengono tenuti all’ingrasso con orzo macinato coltivato in azienda).
Poi una settantina di cinghiali, anche questi più piccoli e magri di quelli che abbiamo “nel continente”, una ventina di mucche sarde (alcune sono… tigrate!), abituate a mangiare anche la macchia mediterranea – quindi immaginate il gusto della carne – e due o tre brune sarde per il latte (la razza tigrata ne produce pochissimo).
E per concludere, una sessantina di galline con i loro dieci galli per l’approvvigionamento delle uova (e che quando vanno in soprannumero vengono usate anche per la carne) e qualche coniglietto saltellante.
Il resto del territorio se lo dividono vari piccoli orti, il grano duro (corso) e quello rosso (tricu rruiu) con il quale in agriturismo preparano il pane e gli gnocchetti sardi. Purtroppo i clienti sono tanti, e non sempre nell’agriturismo riescono a utilizzare i propri prodotti, per cui vi devo dire che per i dolcetti vari come gli acciuleddi e altre preparazioni nelle quali è presente la farina viene utilizzato grano convenzionale. Voi nel dubbio chiedete, e nel caso andiate a stare lì per qualche giorno mangiate le loro cose, ce ne sono tante!
Il discorso è un po’ diverso se decidete di fermarvi semplicemente lì a mangiare una sera. Dovete sapere che in tutti gli agriturismi che ho visitato in Sardegna (io sono stata solo al nord però) se andate a cena non potete scegliere da un menù, perché ce n’è uno fisso che però è veramente super abbondante. Questa usanza, per noi che mangiamo poco (oltre al fatto che ci piace scegliere cosa mangiare), è un grosso ostacolo. Voglio dire, potremmo anche mangiare solo quello che ci va e saltare il resto, ma anche l’idea che tanto buon cibo vada sprecato è inaccettabile. Oltretutto io sono una tipa da una sola portata, e al limite dolce o un antipasto veramente scarso, e quando mi trovo davanti a: antipasto misto di salumi (che comunque non mangerei perché ci sono i conservanti), ricotta salata di pecora con salsa di rucola, crema di formaggio di pecora, olive e pane carasau, poi tre primi (tipo zuppa cuata – che non è una zuppa ma tipo una lasagna di pane, brodo di pecora e formaggio – ravioli, tagliatelle o gnocchi), tre secondi (porcetto allo spiedo e salsiccia arrosto, e cinghiale in umido), contorni di insalata, formaggio e zucchine, due tipi di dolci, frutta, vino, caffè e liquori (il tutto per 30 euro!) sinceramente mi sento moooolto inadeguata. E anche un po’ scandalizzata.
Possibile che ci sia gente che mangia così tanto!!?? E poi si sente dire che non c’è abbastanza cibo per tutti? Lancio un appello a chi decide di andare in vacanza in Sardegna: chiedete agli agriturismi di darvi meno cibo, anche pagando lo stesso prezzo, magari qualcosa riuscirà a cambiare.
Questa che definirei “avidità del turista” costringe gli agriturismi a piegarsi alle logiche del commercio. Nel caso di Lu Branu, che come agriturismo è molto virtuoso, il dover servire a tavola così tanti porcetti significa dover dare alle scrofe un’integrazione mentre allattano, che se ho ben capito è pure OGM (motivo per cui Lu Branu non ha più la certificazione AIAB). Se non si somministra l’integrazione non tutti i maialini che le scrofe partoriscono sopravvivono, a volte se ne salvano solo la metà (anche in natura). Cosa che andrebbe benissimo se i turisti non pretendessero *tutti* e *tutte le volte* il porcetto. E capissero che in questo modo è molto difficile che il porcetto sia locale, anzi il più delle volte è possibile che non sia neanche sardo (ovviamente non nel caso di Lu Branu).
Vabbeh. Ci sarebbero tante altre cose da raccontare, tipo gli alberi di mele che si ammalano regolarmente, tranne un tipo, quello autoctono sardo (ma dài!!!). Grazie al cielo Antonello mi ha raccontato che loro e altri produttori stanno cominciando a rendersi conto di quanto è stato folle ascoltare i consigli pressanti degli agronomi, e adottare piante che hanno bisogno per forza di concimi e pesticidi per crescere, altrimenti soccombono ai parassiti o al clima. E stanno ripiantando le vecchie varietà, ché nell’isola ancora si trovano. Dovrei dirvi del sapore indescrivibile della mela sarda (se ho ben capito si chiama mela di San Giovanni, forse è questa?), croccante, dolce e aspra tempo stesso, meravigliosa. E sanissima, senza alcun bisogno di presidi farmacautici :-) Oltre alle mele Antonello si sta occupando di recuperare anche moltissime specie di pere autoctone, come il Piru Butirru (di cui ho trovato traccia solo qui), il Piru Limone o il Piru Ulzali, innestandole sui peri selvatici.
E gli olivi di varietà Leccino e Bosana (quest’ultima probabilmente di origine spagnola), l’orzo, il grano e l’avena, i maiali che ci sono corsi incontro al galoppo, scendendo da una collina, quando Antonello li ha chiamati, facendo un verso strano tipo cióu-cióu-cióu!. E poi lo spazio enorme che gli animali hanno a disposizione, il loro carattere da animali sardi, teneri e scostanti al momento stesso.
È un modo completamente diverso di concepire il turismo a contatto con la natura, adatto a chi vuole provare a fondersi con lo spirito aspro e taumaturgico di quest’isola incredibile (ve l’ho detto che a due passi da loro c’è la misteriosa Tomba dei giganti (e non solo), un luogo con fortissime energie (per chi ci crede, tipo me :-)) magnetiche guaritrici.
L’unica cosa che non sono riuscita a vedere (eravamo distrutti dopo il giro, è durato tipo cinque ore!) sono le stanze. Ma potete farvene un’idea facendo un salto qui. L’arredamento mi sembra spartano ma funzionale, con spazi conviviali all’aperto, insomma poi vi sfido a rimanere in casa più dello stretto necessario per dormire e mangiare!
Insomma, un’esperienza da fare, o se siete già da quelle parti, un’isola felice per comprare cibo sicuro (e buonissimo), sempre con un occhio alla lista degli ingredienti (per dire, io non ho preso il pesto perché i pinoli erano convenzionali, ma io sono io, e lo sapete quanto rompo, no) :-) E se andate alla Bruttea ricordatevi di salutarci tutti, che a forza di fare la spesa lì ci siamo affezionati! Sono troppo carini :-P
Lu Branu
Strada Statale 125 Arzachena Palau Km 348
07021 Arzachena (Olbia Tempio)
+39.0789.83075
+39.333.1816877
Rimango incantata ogni volta che leggo i tuoi “racconti” per l’entusiasmo che trasmetti a tutti noi… Io non sono mai stata in Sardegna (purtroppo) ma se avrò la fortuna di andarci questo è un posto che segnerò sicuramente sull’agenda.
Ho vissuto e lavorato in Sardegna per 20 anni, proprio vicinissimo al tuo agriturismo e posso, senza ombra di dubbio, confermare le tue parole sia sul discorso cibi, sia sul bio nonchè sulla quantità enorme di cibo che gira, non solo negli agriturismi, ma nelle case e nelle feste sarde con tanto spreco e poca attenzione alla qualità. Per mangiare qualcosa che avesse un qualche sapore, ce lo coltivavamo noi attuando una lotta non indifferente contro vento, sole, carenza d’acqua, volpi, cinghiali, ghiandaie e animali vari che ci mangiavano tutto prima che giungesse a maturazione. Senza contare l’enorme lavoro per coltivare il tutto senza l’uso di pesticidi e affini ma adottando la lotta integrata, proteggendo per esempio gli alberi da frutto con enormi reti, lampade con sensori che tenessero lontani cinghiali e volpi, ecc. ecc. La Sardegna è una terra bellissima (nelle mie vene scorre pure sangue sardo) ma aspra e dura come le sue rocce ed il suo vento di maestrale e viverci non è affatto semplice come può sembrare…., andarci in vacanza si
Per una grandissima fortuna la prima settimana di settembre dovrei essere da quelle parti…penso proprio che ci farò un salto!
Purtroppo il biologico in Sardegna viene concepito come qualcosa di costoso e una mezza fregatura. Le obiezioni che sento di continuo da parte di chi produce, sono sempre le stesse relative ai controlli poco efficaci e che la differenza con i metodi di coltura convenzionali in fondo non sarebbe così tanta, che si butta via troppo raccolto, eccetera..
Da parte del consumatore, non esiste una grossa possibilità di scelta, dettata dal “ricatto” dei prezzi bassi del supermercato in una situazione economica disastrosa.
Per quanto riguarda il commento sull’abbondanza del cibo servito nell’agriturismo, si tratta di un classico (riscontrabilissimo anche nel resto del sud Italia) che non fa altro che rispecchiare quella che è la tipologia di pasto quotidiano dove mangiare primo e secondo a pranzo e a cena è la norma, dove il consumo di carne avviene un giorno si e l’altro pure e dove l’essere vegetariani o vegani è percepito come un disturbo alimentare.
Questa cultura dell’abbondanza è la piena espressione dell’idea vincente del tanto a poco prezzo contro il poco ma buono.
Quanto bisogno di consapevolezza Izn!
Saluti dal Medio Campidano.
Quanto alla quantità di cibo consumato dai sardi nelle occasioni speciali, nelle festività e quindi se decidono andare anche in un agriturismo, è veramente superabbondante, scoppiante, ma fa parte della tradizione di queste persone, e quindi anche le tante portate, e come ultima portata (prima della frutta, del dolce, torta, caffè e ammazzacaffè) il maiale o (e) l’agnello… e come regola, bisogna assaggiare tutto! Quindi non sono i turisti a dettare queste mode, sono i sardi che accolgono in questo modo i loro ospiti!
Ma in Sardegna non si e’ mai mangiato cosi’ tutti giorni. E’ un’abbondanza riservata alle occasioni speciali e agli ospiti, che non possono rifiutare nulla, e’ vero! C’e’ ancora tanta strada da fare per riuscire a offrire al turista servizi adeguati. E in questo anche il turista puo fare la sua parte, sono d’accordo con izn, chiedendo meno cibo e piu qualita’.
Il tuo post, cara Izn, e’ per me pieno di grandissimi spunti, essendo una turista consapevole da una vita (avendo più tempo, sono molto più consapevole in vacanza).
Devo dire che anche qui, nel Nord Italia, in tutti gli agriturismi c’e’ questo problema: menù fisso di un’abbondanza scandalosa, ma tutti mangiano tutto! Poi si infilano in auto e vanno a dormire (una passeggiata nei boschi no, per carità!).
Quanto alla Sardegna c’ero stata tipo trent’anni fa ed era vero paradiso, i miei genitori mi avevano portato anche nell’interno, e le case mi sembra fossero come questa che hai descritto. Ricordo ancora donne vestite di nero, capannelli di uomini in piazza, e quella meravigliosa e aspra natura. Ci sono tornata quattro anni fa, case costruite fin sul mare, ristoranti carissimi e con cibo di scarsissima qualità, yacht lussuosi attaccati ovunque e che scaricano le loro schifezze a tre metri dai bagnanti… siamo scappati cinque giorni prima del previsto.
Mi ricorda la distruzione sistematica delle Isole Greche. È un caso se entrambi (Sardegna e isole Greche) ora sono in gravissima recessione? Ostaggio di interessi economici più grandi di loro (tour operator, trasporti navali, ecc.) alla ricerca di un guadagno immediato e facile hanno perso il controllo della loro terra.
Mi dicono che quest’ anno il turismo in Sardegna e’ crollato , in Corsica nessuna crisi. Ma la’ i Corsi non hanno fatto scempio della loro terra. Spero la crisi qualcosa insegni, nel segno della consapevolezza. Non sono sarda, quindi potrei aver detto sciocchezze, in questo caso ditemelo. Ma da turista consapevole da una vita (lo erano pure i miei genitori, quindi ho imparato da piccolissima) ormai in Sardegna ho rinunciato ad andare. Però in quell’agriturismo…