Finalmente le cose si stanno normalizzando un pochino, concetto piuttosto eretico da esprimere in casa zac; persino il lavoro che riprende a decollare in questo momento mi sembra quasi riposante rispetto al delirio che ha regnato sovrano negli ultimi mesi del 2014.
È così che, con faccia colpevole e finto-indifferente (che faccio, fischietto?), oggi ho pensato bene di raccontarvi di un’azienda agricola biodynamica che ho visitato nientepopodimeno che a… settembre.
Per cui non stupitevi se vedete angurie e pomodori, in questo caso non si tratta di serre, ma di blogger molto indaffarata, e di una certa Antonella, molto paziente e comprensiva, nonché al momento fornitrice ufficiale della felicissima verdura che si aggira nella nostra cucina.
Più guardo e riguardo le foto che ho scattato alle Spinose più mi rendo conto che non ho conosciuto *un’azienda* agricola, ma *l’Azienda*, con la A maiuscola; quella che io credo dovrebbe essere l’esempio della vera e pura sostenibilità, e adesso vi spiego perché.
Antonella Deledda è di origine sarda ma può dirsi a buon titolo cittadina del mondo. Dopo una vita svolta a lavorare come funzionario pubblico nazionale e internazionale, si è reinventata imprenditrice agricola, assieme alla famiglia di Sherpa nepalesi che ha adottato e che sono diventati a tutti gli effetti la sua famiglia, con la quale nel 2004 ha deciso di creare un’azienda, inizialmente biologica, a Magliano Sabina, nei pressi di Roma. Al nucleo familiare si sono uniti poi anche Stella e Caterina, due bellissime maremmane, e svariati altri cuccioli e non, tra stanziali, imboscati, e di passaggio verso nuove avventure.
Il cammino delle Spinose è stato graduale. Quando Antonella ha acquisito la tenuta (parliamo di 18 ettari, 12 coltivati e 6 lasciati a bosco) lavorava ancora, e quindi un po’ gestiva l’orto, un po’ seguiva i corsi per la certificazione biologica, un po’ si occupava dei vari adempimenti burocratici, e di tutte le altre cose necessarie per mettere in piedi il tutto. Solo nel 2010 ha cominciato a vendere il raccolto, gradualmente, soprattutto tramite gli amici e il buon vecchio passaparola, e dal 2011 ha iniziato a consegnare personalmente a domicilio, un giorno a settimana.
Dopo un po’ è stato necessario assumere una persona che facesse le consegne. Poi nel 2014 i lavoranti sono diventati 5, e da poco Le Spinose ha dato lavoro ad altre due persone, oltre ai Wwoofer, che ruotano (ne vedete due troppo carini nella foto qui sotto, a sinistra. Quello a destra non lo guardate, è *solo* il mitico Giorgio di Piccola Bottega Merenda.
Questa del Wwoof è un’altra cosa molto bella collegata alle piccole aziende agricole, e che ho scoperto solo da poco. Si tratta di ragazzi (ma anche persone adulte) che fanno volontariato rurale in cambio di vitto e alloggio; loro offrono aiuto per tutto quello che può servire e l’azienda dà in cambio il proprio know how.
In questo modo anche i bambini che Antonella ha “adottato” (la grande nata nel 1997, la seconda nel 2000, poi ci sono un maschio del 2003 e il piccolino del 2008) possono avere scambi culturali molto intensi: studiano tutti nei dintorni, ma parlano in continuazione inglese, con mille accenti diversi.
Come vi dicevo poc’anzi, l’azienda di Antonella è veramente l’esempio di come dovrebbero essere tutte le imprese agricole veramente virtuose. In pieno spirito biodynamico, il circuito è chiuso; vale a dire ci sono l’orto, gli alberi da frutto, i polli e le galline ovaiole, due o tre mucche (che non vengono munte, per lasciarle il più tranquille possibile), e qualche pecora di razza bergamasca (un tipo di pecora piuttosto grande, che non elargisce latte), tutto in piccola scala.
La mia visita alle Spinose ha fatto pensare alle fattorie che da piccola immaginavo durante i miei giochi solitari, o a quella di Nonna Papera, uscita direttamente dalla testa di Walt Disney. È un po’ il tipo di organizzazione che spesso teorizzo per il futuro dell’umanità. Moderata, sufficiente a se stessa, serena, bastevole per molte famiglie, ma senza dover essere costretta a fare compromessi (cosa che invece succede immancabilmente quando si cresce troppo).
Le galline (in tutto saranno una settantina) sono due razze diverse di livornesi (quelle che fanno le uova bianche); ci sono una quindicina di ovaiole e un paio di galli. Si trovano tutte in un grande recinto, all’aria aperta e alla luce del sole; Antonella mi ha raccontato che siccome una delle due razze di galline può volare (diciamo volicchiare, non è che sono tipo aquile, eh) sono stati costretti a spuntargli leggermente le punte delle penne delle ali con le forbici, per evitare che escano dal recinto e i cani gli facciano fare una fine prematura :-P
Per il resto, tutto si svolge nel modo più naturale possibile; le uova vengono raccolte e inviate ai (pochi e fortunati) clienti dell’azienda insieme alla cassetta (che nella fattispecie è un bustone di carta) di verdure. Una gallina “covata”, e quindi nata in condizioni naturali può covare a sua volta (la cova si svolge tra aprile e giugno e dura 21 giorni) anche 20 uova all’anno (ma voi lo sapevate che le galline nate in incubatrice non covano?).
Nel recinto delle galline ci sono pure 4 o 5 oche buffissime; la popolazione sarebbe anche più numerosa, ma dovete sapere che di oche se ne salvano pochissime rispetto a quelle di partenza. Alcune muoiono schiacciate dalle mamme, altre si sdraiano sulla schiena e non riescono più ad alzarsi, altre annegano nell’abbeveratoio (!).
La cosa bella, come sicuramente saprete, è che con le loro splendide uova si può fare una pasta meravigliosa (oppure esperimenti assurdi come il mio di qualche tempo fa); il difficile è riuscire a metterci le mani sopra, perché quando una delle oche comincia a covare tutte le altre fanno “la guardia”, cioè covano a turno e le oche sono belle aggressive o.O Piccola indiscrezione: se trovate il tonno di oco da Bonci, sappiate che è molto facile che provenga da questo posto incantato!
Quando siamo stati da loro la prima cosa che siamo andati a guardare è stato ovviamente l’orto. Ero curiosissima di vedere gli ortaggi biodynamici in pieno campo, e sono rimasta stupefatta di quanto siano… belli, in barba alle chiacchiere ormai superatissime (spero) sul fatto che le verdure coltivate senza aiuti sintetici sono piccole, storte e mezze mangiucchiate.
Voglio dire, adesso a parte il portatore di porri *molto attraente* che vedete a destra nella foto qui sopra (intento nel suo sport preferito, cioè rompere le scatole alla sottoscritta perché si attarda a fotografare), guardate che bietole, e che file di porri!!
E che vogliamo dire di questi pomodori!? Sembrano finti da quanto sono belli! A me viene voglia di disegnarli, ma qua entriamo nel campo della deformazione professionale (uhm li disegno a matita e poi li acquerello o vado direttamente a olio sulla tela!?) :-P
All’inizio di settembre stavano ancora maturando dei San Marzano strepitosi, ed erano in ottima compagnia con molte altre famiglie di pomodori; diciamo che sul campo delle Spinose la biodiversità è un po’ una parola d’ordine, come potete vedere anche dalla famigliola di melanzane qui sotto, in braccio alla minizac :-)
Come vi accennavo sopra, la coltivazione è byodinamica, ma non è certificata demeter (in questo caso “biodinamico” è scritto con la “y”). Questo perché Antonella segue la scuola australiana di Alex Podolinsky; delle differenze tra le due scuole e di varie altre cose interessanti ve ne parlerò presto in un articolo che sto scrivendo proprio sul pensiero di Podolinsky, che ho avuto la fortuna sfacciata di conoscere personalmente sempre a settembre, sempre grazie alla santa donna di cui sopra.
Se guardate attentamente le immagini e avete un po’ di dimestichezza con gli orti, noterete che il portamento delle verdure biodynamiche è un po’ diverso da quelle convenzionali: sono più erette, più vitali. Le cipolle, ad esempio, vanno dritte verso l’alto, mentre quelle convenzionali hanno un’andamento un po’ caotico, forse perché sono forzate a crescere con prodotti sintetici.
L’anno appena passato Antonella ha piantato anche (per la terza volta) un grano antico, il Verna che vedete qui sopra, che qualcuno di voi già conoscerà se seguite il pasto nudo da un po’. Un ettaro di collina seminato con questo grano e coltivato in regime biodinamico dà un raccolto di circa 20/30 quintali. Quest’anno la superficie è stata ampliata a due ettari e mezzo.
Il Verna (e anche un ottimo vino sfuso, sempre biodynamico), a differenza della produzione dell’orto, che ormai è praticamente tutta prenotata, lo potete acquistare direttamente da loro, anche sotto forma di farina (viene macinato in un mulino a pietra semiprofessionale di Partisani da 30 chili l’ora).
Visitare questo tipo di orti è sempre super interessante per me, perché finisco per imparare piccole cose che però sono importanti e… *vere*. Cose che magari le nostre bisnonne sapevano, e che ci siamo tragicamente persi per strada. Per dirvene una, dovete sapere che la pianta delle zucchine muore perché invecchiando le foglie vengono attaccate dall’oidio (anche detto “mal bianco”), cioè una specie di muffa polverosa che si attacca alle foglie (potete vederla qui sopra, nella foto a sinistra).
Sperimentando “sul campo” Antonella si è resa conto che potando i rametti della zucchina man mano che la pianta invecchia (e quindi asportando le foglie) la zucchina si sposta sul terreno e si mantiene sana, come vedete nella foto a destra (spero si capisca!). La zucchina che vedete è stata piantata a marzo, fotografata a settembre e ha continuato a produrre fino a novembre.
Sono tante le nozioni che apprendo durante queste stupende escursioni, e riesco ad approfondire anche argomenti che mi stanno molto a cuore come il “ciclo chiuso” biodinamico.
Parlando ad esempio con Antonella delle mucche ospitate in azienda (perché queste mucche sono ospiti a tutti gli effetti, da come la vedo io, protette, nutrite e rispettate per tutta la loro vita), ho capìto che queste ultime, insieme alle pecore, hanno una funzione importantissima all’interno dell’azienda (ma forse dovrei chiamarla “fattoria”): questi animali riforniscono il letame che poi viene fatto “maturare” con il metodo biodinamico e viene utilizzato sui campi in vari modi (ve lo racconterò meglio nel post su Podolinsky).
La paglia che si ricava dal grano che viene coltivato in azienda viene poi utilizzata soprattutto per le lettiere di questi animali oltre che per pacciamare (cioè ricoprire) il terreno, per fare il compost etc.
Sulle mucche (sono meticce, di razza frisona e limousine, Antonella ha adottato quelle che al momento sono più diffuse sul territorio) vi posso raccontare che al momento ce ne sono 5, tre vacche e due vitelli. Come vi ho già raccontato qualche tempo fa in un controverso articolo sugli agnelli pasquali, quando i maschi raggiungono una certa età (nel caso dei vitelli parliamo di sei o sette mesi) cominciano a litigare, per cui non se ne possono tenere molti.
Anche per quanto riguarda le pecore succede la stessa cosa: in un’azienda così piccola non è possibile tenere più di un montone (di solito se ne tiene uno ogni 50 pecore), per cui se si vuole avere nuovi agnelli deve ricomprarne uno ogni due o tre anni per evitare la consanguineità.
Tutto quello che vi ho raccontato in questo post potrei riassumerlo in un solo concetto, nel quale credo svisceratamente, e che è stato celebrato dalla FAO durante l’anno appena passato: Family Farming, o “agricoltura familiare”. Questo tipo di coltivazione, che è ancora molto presente in alcuni paesi poco industrializzati del sud del mondo, in Europa sta scomparendo, e quindi è importantissimo fare tutto il possibile per difenderla e promuoverla.
La scelta politica, che è stata fatta dopo la seconda guerra mondiale, del privilegiare l’agricoltura industriale ha penalizzato le piccole aziende anche dal punto di vista degli incentivi europei, che sono andati principalmente alle grandi aziende, per lo più a carattere convenzionale, quindi forti utilizzatrici di supporti sintetici molto inquinanti e pessimi per la nostra salute.
La piccola azienda di Antonella è in grado di sostenere l’alimentazione di cinquanta famiglie (ma lei è certa che si possa arrivare anche a un centinaio). Senza concimi sintetici, senza pesticidi, senza OGM, senza incroci selvaggi, senza animali vessati e torturati. Devo dire altro? Voi come la vedreste una società nella quale ogni 100 famiglie ce n’è una che produce cibo (felice)? Io meravigliosa. Parliamone :-)
Azienda Agricola Le Spinose
Loc. Colle Croce snc — 02046 Magliano Sabina (Rieti)
info@lespinose.it
+39.0744.91706 oppure +39.335.5740161
Favoloso!
Ecco, questo mi fa venire voglia di ritrasferirmi a Roma, sempre che una delle famiglie fornite dall’azienda dia forfait (ma immagino succeda solo in caso di trasferimenti altrove, perchè altrimenti dovrebbe farlo?) e faccia posto alla mia. Davvero un’azienda eccezionale, e direi che visto l’impegno con cui ce l’hai raccontata il ritardo è assolutamente perdonato :)
P.S: Però m’hai fatto venire una voglia tremenda di pomodori, moooolto male…
P.P.S: Curiosissima di leggere di Podolinsky!
ma vendono i prodotti al pubblico direttamente?