La verità: non amo molto il tofu, e la soia in generale, se vogliamo proprio dirla tutta tutta. Soprattutto dopo la descrizione della pianta (bruuuttaaa…) che il professor Giannattasio ha fatto in una delle sue conferenze che ho seguito, e gli avvertimenti della bioterapia nutrizionale, che la relega tra i cibi poco utilizzabili, per vari motivi.
tofu fatto in casa
È vero che, pur essendo una leguminosa, la soia ha una composizione molto differente dalle altre sorelline della famiglia, e possiede molti più grassi e proteine. Purtroppo però ha anche una grande quantità di fitoestrogeni, motivo per cui ad esempio l’accademia della pediatria Americana ha escluso l’utilizzo del latte di soia durante lo svezzamento almeno nel primo anno di vita dei bimbi; inoltre pare che possa provocare problemi intestinali, ed è sospettata di influenzare negativamente la tiroide.
E non contribuisce a rendermela simpatica il fatto che ogni volta che parlo con qualcuno che non si è mai avvicinato all’alimentazione consapevole, quando sente la parola “biologico” mi dice: “ah, ma tu sei di quelli che mangiano quelle cose senza sapore, la soia, il tofu, quella roba lì”.
tofu fatto in casa
Che poi in effetti la delicata sfumatura di sapore del tofu (alias “caglio di semi di soia”) di cui tanti parlano non l’ho mai avvertita. O per quel poco che ho potuto sentire, non è particolarmente gradevole, almeno per me.
Qualche tempo fa però ho letto, mi sembra sul blog di Sigrid (non sono più riuscita a ribeccare la pagina – ho trovato solo questa; se qualcuno se la ricorda me la segnala che ci metto un link?) che il tofu che compriamo noi è praticamente insapore perché è troppo vecchio: per poterlo apprezzare bisognerebbe consumarlo nell’arco di ventiquattr’ore.

Ovviamente questa notizia mi ha messo subito una grande curiosità, anche perché se un popolo di antichissime tradizioni come quello giapponese (ma anche quello cinese, dal quale sembra che questo alimento origini) lo consuma così tanto un motivo ci dev’essere (però insomma è anche vero che gli orientali saranno anche geneticamente predisposti a digerirla, dopo tutto ‘sto tempo).
E poi la soia non è tutta da evitare; ad esempio ho letto da qualche parte che una volta fermentata migliora le sue capacità nutritive, e infatti devo dire che non disdegno la salsa shoyu nei piatti orientali, e che anzi ammiro tanto quei bei brodi liquidissimi e senza corpo che fanno parte della tradizione nipponica.

E non sia mai detto che la izn rimane fossilizzata su un dogma senza dare spazio a un possibile cambiamento di opinione (e a un esperimento nuovo!); a voi è mai successo di cominciare a leggere un libro e rendervi conto che non è proprio adatto a voi, o che comunque insomma proprio non lo capite o vi annoia a morte o in definitiva vi sembra un’accozzaglia di parole messe una vicina all’altra senza senso?
Io di solito lo accantono in un angolo della libreria e riprovo a leggerlo dopo un paio d’anni. E spesso mi è capitato che proprio quel tipo di libri, trascorso un po’ di tempo, sono i più illuminanti e interessanti e imperdibili, e ogni volta non capisco come ho potuto fare a non accorgermene prima. Non sempre, eh. Spesso.
Per tutti questi motivi qualche mese fa, dopo aver letto la notizia delle ventiquattr’ore, decisi di provare a fare il tofu in casa (seguendo pedissequamente la ricetta di petula – del 2006!!! – che è una che di queste cose ci capisce veramente), e acquistai tutto l’occorrente; ma a causa dei molti dubbi i fagioli di soia e il nigari rimasero là in stallo, in attesa che mi decidessi a sperimentare.
come fare il tofu in casa
Galeotto fu, suo malgrado, lo zac. Che l’altra sera mi fa: “adesso basta, metto a bagno i ceci, se no non li mangiamo mai! Ci penso io, eh.” E così fu che al mattino mi trovai duecentocinquantagrammi di soia gialla ammollata, e oltretutto accusata di avere una grafia piccolissima e incomprensibile, motivo dell’errore nella scelta del vasetto (però, ehm, zac, i ceci sono tondi e appuntiti verso il basso, e la soia è a forma di fagiolo, quindi, ehm).
Vabbeh. Per tutto questo insieme di accadimenti, mi trovo qui ad annotarvi il procedimento per preparare un bel panetto di tofu da fare in casa, procedimento che tra l’altro è molto semplice, anche se un pochino lungo e sporchevole.
Il risultato che ho ottenuto io? Una cosa assolutamente insapore, e dalla consistenza granulosa e tremolante, per nulla compatta come avrei voluto.
Sicuramente avrò sbagliato qualcosa, ad esempio mi sa che avrei dovuto frullare molto ma molto di più, e forse ho leggermente esagerato nella quantità del nigari (il caglio, amarissimo), e magari avrei dovuto pressarlo meglio (esiste anche la pressa per il tofu, lo sapevate?? Ce n’è una di tutto rispetto anche in questo video); ho anche letto a posteriori che molti produttori utilizzano cagli diversi combinati tra loro a seconda della consistenza che vogliono ottenere. Eh sì, perché mica c’è solo il nigari; c’è il solfato di calcio, che viene utilizzato di più in Cina, o il glucono delta-lactone (non sognatevi neanche di chiedermi cos’è, l’ho letto su wikipedia), o alcuni usano succo di limone o di lime, e pare funzioni alla grande (le prove su questo video).
Il nigari, che ho usato io, non è altro che cloruro di magnesio (e a seconda del metodo di produzione può contenere piccole quantità di solfato di magnesio, cloruro di potassio, cloruro di calcio e altri sali), che tante persone (coraggiose) usano come integratore (e che se non sbaglio è decisamente costoso) e, udite udite, si può fare in casa in modo semplicissimo, guardate qui!
tofu homemade
Bisogna prendere una certa quantità di sale marino integrale (il sale normale non funziona perché come vi ho spiegato qui – grazie Sabine – è stato privato di quasi tutte le sue componenti originarie, salvo poi rimettercene qualcuna, sintetica però), metterla in uno di quegli strofinacci sottilissimi che sembrano quasi di garza e che in inglese si chiamano cheese cloth oppure in un colino, posizionarla sopra una pentola dove avrete messo dell’acqua a scaldare a fuoco basso in modo che il vapore avvolga bene il tutto, e metterci un piatto sotto, che raccolga le gocce che scendono dal colino.
Quando l’acqua è molto calda bisogna spegnere, coprire e lasciare così per un giorno o più. Gli amarissimi sali di magnesio assorbono l’acqua più velocemente degli altri sali presenti nel sale marino, e così gocciolano nel piattino.
Una volta ottenuto questo liquido, se volete trasformarlo in cristalli (ma si può benissimo usare così) basta lasciare il piattino al sole. Autoproduzione I love you :-)
Questa scoperta mi ha fatto anche comprendere che probabilmente non ho bisogno di integrare la mia dieta con altro cloruro di magnesio (zac stava considerando l’idea), visto che uso da sempre il sale marino integrale, che guarda caso ne contiene in abbondanza :-)
Come sempre quando faccio qualche ricerca ho trovato altre cose parallele interessanti; per esempio sono venuta a sapere che si può fare una specie di tofu anche con le lenticchie gialle (piuttosto diffuso in Birmania – adesso Myanmar), con il sesamo (mafu), e con i semi di canapa, nel qual caso si chiama hemp-fu e che pare abbia migliori valori nutrizionali. E che ce ne sono un’infinità di varianti, tutte secondo me molto più stimolanti di quello che ho fatto io (l’erba del vicino…)!
Insomma mi sa che io e lui (il tofu) ci riassaggeremo tra qualche lustro. Magari però lui (il tofu) preparato da un giapponese di quelli che sanno ciò che fanno, o da qualcuno che lo conosce molto bene avendolo consumato sul luogo d’origine. E se non mi piacerà neanche così archivierò la pratica (ma quando mai).
okara
Resta solo da capire adesso che me ne faccio di questo panetto che ho in frigo. E mica lo posso gettare, uff. Ho provato a darlo allo zac che me l’ha quasi tirato appresso, e anche per la bocca della verità in forma di pulcina non è stato sicuramente amore a prima vista.
Vabbeh, intanto ve lo racconto, magari mi saprete dire qualcosa voi. Vediamo se più tardi, magari, con un brodino… uhm.

Ingredienti:
500 grammi di soia gialla secca
mezzo cucchiaio di nigari
2 litri e mezzo di acqua pura

Per prima cosa mettete a bagno in una ciotola capiente di vetro la soia in un litro d’acqua (che prenderete dai due litri e mezzo di cui sopra), coprite e lasciate riposare tutta la notte. Dovrebbero trascorrere dalle otto alle dieci ore, a seconda dell’età della soia, comunque potete fare la prova ammollo aprendo un fagiolo: se l’interno ha un colore giallo uniforme senza zone scure è pronta (petula docet).
Il giorno dopo scolate la soia (non gettate l’acqua di ammollo: mettetela sul fuoco insieme al resto dell’acqua in una pentola *decisamente* grande) e frullate i fagioli insieme a un po’ dell’acqua di cui sopra, fino a ottenere un purè più liscio possibile.
Quando l’acqua bolle versateci dentro il purè di soia, e lasciate sobbollire per qualche minuto. Mi raccomando la pentola: se guardate la fotografia potete avere un’idea della grandezza della mia, e nonostante questo il blob tendeva comunque a fuoriuscire.
A questo punto filtrate tutto il composto: il liquido che otterrete è il latte di soia, con il quale farete il tofu, la parte solida è l’okara, che non dovete gettare, perché pare ci si possano preparare delle ottime polpette (in fondo al post vi metto i link a quelle più interessanti che ho trovato in giro per la rete).
A questo punto potreste chiedermi: ma allora non potrei comprare il latte di soia e fare il tofu direttamente con quello? Sì, certo. Però qui parliamo di autoproduzione e quindi cerchiamo di farci tutto ma proprio tutto da soli. E poi come è stato fatto il latte di soia che compreremmo? Ad esempio, che acqua è stata utilizzata (ma di questo vi parlerò in altra sede)? Ad ogni modo, se volete provare direttamente con il latte sceglietene uno che sia il più naturale possibile; non avendoci provato non sono sicurissima che funzioni, però ho letto pareri confortanti in proposito :-)
Allora, torniamo a noi; messa da parte l’okara (se non vi va di mangiarla potete sempre usarla come concime per le piante), e ottenuto il latte, dovete rimetterlo di nuovo sul fuoco e farlo bollire di nuovo per un’altra decina di minuti.
Ad un certo punto dovrebbe formarsi una pellicina spessa, come quella che si forma sul latte di mucca quando bolle: non osate buttarla! Si chiama yuba, andrebbe asportata e messa da parte e pare ci si possano fare un sacco di cose buone (date uno sguardo qui, qui, e qui).
Poi spegnete e lasciate raffreddare fino a 80°C (io ho usato il termometro del tè).
Intanto sciogliete il nigari in un bicchiere d’acqua tiepida, e poi, appena la temperatura sarà quella giusta, versatelo nel latte di soia in due o tre step, mescolando mentre versate, aspettando poi che il liquido si fermi e lasciandolo riposare ogni volta dieci secondi; il latte caglierà immediatamente.
Adesso prendete un colino, posizionatelo su un recipiente capiente, metteteci dentro il tessuto di cotone leggerissimo o la garza o il cheese cloth (io, se guardate bene la foto, ho interposto tra la garza e il colino uno di quei cosi per fare il formaggio – Sandra aiuto, come si chiamanooo – per fargli prendere una forma più precisa) e versateci dentro tutto il contenuto della pentola.
Il liquido che uscirà dovete gettarlo, la parte solida che rimane nel colino è il vostro quasi-tofu.
Quasi, perché dovete ripiegarci sopra i lembi del tessuto e metterci sopra un peso, per una mezz’oretta (io l’ho tenuto almeno un’ora – ma dopo ho visto in rete che alcuni lo tengono anche tutta la notte, sta’ a vedere che così avrebbe avuto una consistenza più accettabile) per fargli perdere più liquido possibile.
Una volta raggiunta la consistenza desiderata dovete prendere molto delicatamente il vostro panetto di tofu e metterlo a bagno in una ciotola piena di acqua fredda per un altro quarto d’ora; attenzione perché nei vari commenti che ho letto in giro questo è il momento che il tofu si spatascia e diventa il famosissimo tofu strapazzato, che è la versione tragicomica del tofu vero.
Pare che poi potreste conservare il frutto delle vostre fatiche per una decina di giorni immerso in acqua in frigorifero, ma ovviamente questo non lega con la nostra premessa, cioè di mangiare un tofu che non abbia più di ventiquattr’ore di vita.
Se tutto è andato bene potete cucinarlo in almeno un milione di modi diversi. Per quanto mi riguarda ne ho sbocconcellato un paio di pezzettini e dopo l’ho guardato con sospetto per tipo due giorni (la consistenza molliccia me lo ha reso immangiabile), e anche adesso ogni due ore apro il frigo e lo guardo con aria di sfida e gli dico: “tu non hai voluto essere ciò che avresti potuto essere”.
Ma prima o poi ci riprovo, eh. Più prima che poi >:-/