E finalmente, dopo l’Agrì e lo Strachitunt, vi presento quello che può essere considerato in un certo senso il re dei formaggi lombardi; ne avrete sentito parlare sicuramente, non solo perché è molto antico e speciale, ma anche perché, tanto per fare un esempio, è uno degli ingredienti principali per preparare i pizzoccheri.
il Bitto storico è prodotto principalmente in Val Gerola (a Gerola c’è il Centro del Bitto, vero e proprio santuario di questa enclave produttiva, con i bellissimi locali di stagionatura in cui le forme maturano sino e oltre i dieci anni) ma anche in Valle di Albaredo, in Val Brembana e su alcuni alpeggi confinanti con il territorio della montagna Lariana (in provincia di Como).
A differenza del Bitto Dop, per il Bitto storico è vietata la somministrazione di mangimi, e l’uso di fermenti selezionati durante la caseificazione. Inoltre per il Bitto Storico deve essere obbligatoriamente usato un 10-20% di latte di capre Orobiche (che sono splendide! guardate in questo forum che meraviglia); questo particolare ha avuto anche l’effetto collaterale di salvare una delle razze a rischio dell’arco alpino. Il latte di capra deve inoltre essere munto tassativamente a mano. Vi lascio immaginare quanto questo ne influenzi l’aroma e il sapore. Per il Bitto Dop invece è consentito (ma non obbligato) il latte di capra, ma non se ne specifica la razza.
Un modo veloce per riconoscere a prima vista il Bitto Dop da quello Storico è che il secondo ha impresso sullo scalzo il nome dell’alpeggio (Ancogno Soliva, cioè assolato, e Trona Vaga, cioè in ombra) mentre il Bitto Dop in genere è venduto con la classica etichetta rossa (che però talvolta viene tolta, quindi si può creare un po’ di confusione). Per essere proprio sicuri del vostro acquisto, dovreste acquistarlo direttamente al centro del Bitto di Gerola Alta :-P
Questo formaggio ha una grandissima attitudine all’invecchiamento (cioè invecchia bene, come me, eheheh), cosa che lo fa entrare di tutto diritto nell’olimpo dei formaggi da meditazione. La stagionatura prevista dal disciplinare del Presidio Slow Food va da un minimo di 12 mesi fino a 10 anni; trovate un sacco di notizie su questo personaggio su un sito completamente dedicato a lui, il Consorzio Salvaguardia del Bitto Storico.
Questa meraviglia scaturisce da tutta una serie di tradizioni, come il pascolo turnato; cioè (cito dalla pagina del presidio Slowfood, ah ve l’ho detto che è anche un presidio Slow Food?! :-)), “nei tre mesi di alpeggio, la mandria è condotta attraverso un percorso a tappe, che va dalla stazione più bassa a quella più alta. Lungo la via, i tradizionali calècc – millenarie costruzioni in pietra che proteggono la zona di caseificazione – fungono da baita di lavorazione itinerante, sempre a portata di mano, in modo che il latte non debba viaggiare, se non per pochi metri, e possa essere lavorato prima che il suo calore naturale si disperda.”
Il Bitto, prodotto quindi solo nei mesi estivi, viene poi salato a secco (in questo modo la crosta che si forma è più sottile e delicata), e ovviamente nella sua produzione è proibito l’uso di di additivi, conservanti o fermenti.
Per una volta, invece di fondere tradizioni diverse ho voluto seguire pedissequamente la ricetta *ufficiale* della polenta taragna orobica, che ho trovato in questo articolo, che spiega di come una commissione di esperti della Camera di commercio di Bergamo abbia deciso di definirla una volta per tutte; unica differenza, ho usato un mais ottofile toscano, che spero vivamente sarebbe stato approvato dalla commissione!
Anche per questa ricetta (che trovate come di consueto qui da Stefano), come per la lasagna dell’altra volta, ho usato la salvia. Non si tratta di avere poca fantasia, giuro, e neanche delle piante aromatiche a disposizione, ché ho il balcone pieno zeppo di tutte le orfanelle che ho adottato negli ultimi sette anni; è che la salvia con questo tipo di formaggi proprio la adoro. Ricordate il bellissimo articolo di Sabine dedicato completamente ad essa? “Cur moriatur homo, cui Salvia crescit in horto?” (di cosa morirà l’uomo che ha la salvia nel suo orto?) :-)
Ok, questa mattina, guardacaso ho comprato i pizzoccheri… e mi sono detta “che diavolo di formaggio ci metto?”… mia cara sorella astrale, come lo compro il bitto storico?
@Loretta: A quanto mi dice Stefano si può contattare direttamente la Latteria Branzi, oppure il centro del Bitto di Gerola di cui parlo (adesso, ehm) qui nel post. Sulla ricetta sul sito di Stefano ci sono anche i recapiti della latteria Branzi. Oppure te lo fai acquistare (e inviare!) da Francesca!! :-DD Oppure, magari… chissà :-)
Tesori.. Loretta, nei pizzoccheri vanno bene bitto e casera (più delicato). Ma soprattutto burro, tanto burro d’alpeggio… Nella taragna il mais toscano non so!!! :))) comunque la soluzione ci sarebbe, fate un giro da noi e assaggiate in originale ;)
P.s. Sonia se vuoi ti ci porto in Val Gerola.. Sappi però che è uno dei posti più freddi d’Italia, in inverno… E te lo dice una che di freddo se ne intende :)))