Ehm, possiamo fare finta che sono caduta in un buco spazio temporale alla fine di ottobre e ne sono uscita oggi? Per dire che non mi sono dimenticata della seconda parte del resoconto sulla giornata dedicata al latte dell’autunno appena trascorso; sono solo stata risucchiata dagli eventi, come al solito.
Rieccomi quindi a completare il racconto su ciò che è accaduto all’inizio di ottobre a Roma; per prima cosa vi parlo del laboratorio di formaggio spalmabile, tenuto da Donato Nicastro, che è stato molto interessante. Abbiamo iniziato con un po’ di spiegazioni sui vari metodi per cagliare il latte (ne parlo anche più sotto in questo post), poi siamo partiti direttamente con la… pratica! :-)
Donato ci ha spiegato che aveva già preparato nei due giorni precedenti il latte cagliato, portandolo lentamente a 20°C in una pentola di acciaio a fondo spesso; aveva poi aggiunto fermenti lattici mesofili (acquistabili in farmacia), mescolando continuamente per evitare che si formassero dei grumi, e aveva lasciato riposare il tutto per una ventina di minuti.
In un’altra pentola più grande, sempre a fondo spesso, aveva poi scaldato altri due litri e mezzo di latte sempre a 20°C, aveva aggiunto la miscela precedente e, con l’aiuto di una siringa, una goccia di caglio liquido bovino (anche questo si acquista in farmacia se proprio non riuscite a trovare un amico casaro che ve ne dà un po’), mescolando ancora un minuto. Dopo di che aveva lasciato semplicemente riposare il tutto per 24 ore in un ambiente tiepido (sempre a 20°C).
Nelle foto vedete due teli perché Donato ha fatto due prove diverse, una con fermenti omofermentanti (come quelli dello yogurt, per capirci) e una con fermenti eterofermentanti (che producono anche un pochino di gas); i fermenti vanno aggiunti per trasformare e coagulare il latte pastorizzato; se avessimo usato latte crudo non ne avremmo avuto bisogno. Il caglio è opzionale e serve per dare più consistenza al formaggio spalmabile, che altrimenti sarebbe venuto più sciolto e cremoso.
Il giorno dopo Donato ha verificato che le cagliate avessero una consistenza budinosa — in caso contrario avrebbe prolungato l’attesa di qualche ora — e un odore yogurtoso (il ph doveva essere compreso tra 4,30 e 4,60). Raggiunto questo risultato, ha steso un telo su un piano inclinato (tipo quello del lavello per intenderci), ha adagiato le cagliate sui teli aiutandosi con un mestolo, ha annodato i quattro angoli dei teli e li ha appesi su un recipiente per far scolare il siero.
Nè più ne meno di quello che vi feci vedere in piccolo qualche anno fa nel post del cream cheese fatto in casa, ricordate? Solo che in quel caso partii direttamente dallo yogurt, quindi non usai il caglio. Vedete il risultato del lavoro di Donato dei due giorni precedenti al laboratorio nelle foto qui sopra; i teli sono rimasti appesi fino all’ultimo momento e il siero ha continuato a sgrondare per tutto il tempo.
Il giorno del corso abbiamo quindi versato una cagliata in una grande ciotola di vetro, aggiunto ancora un pizzico di sale, e due volontarie si sono messe di buzzo buono a impastarla con la frusta (ma in casa userei un bel cucchiaio di legno!) per farla diventare bella cremosa. Una volta fatta questa operazione il formaggio cremoso va conservato in frigo e si deve consumare in 5 o 6 giorni.
Come vedete dalle immagini Donato ci ha incoraggiati tantissimo ad annusare tutto; l’olfatto è il senso principe quando si parla di cibo, e nel tempo siamo stati disabituati a utilizzarlo. Questo preziosissimo alleato ci dice immediatamente cosa va bene e cosa no, bisogna solo esercitarsi per imparare di nuovo a usarlo.
Resi consapevoli di questa necessità, a un certo punto tutti annusavano tutto, e Donato ci spiegava cosa esattamente stavamo “sentendo”; forse uno dei momenti più istruttivi e interessanti di tutto il laboratorio :-)
Dopo aver imparato che fare il formaggio spalmabile è una cosa facilissima, economica e a portata di tutti, ammesso che si parta da un latte dell’erba e del fieno, finalmente ci siamo messi a tavola, e per prima cosa ci è stato presentato un bellissimo piatto con i formaggi di Casa Lawrence, di Loreto Pacitti (di cui vi ho già parlato in tempi non sospetti qui, qui e qui), mentre lui ci spiegava come degustarli e ci raccontava le particolarità del suo lavoro.
In primis il fatto che i suoi formaggi vengono fatti con latte crudo (quindi non pastorizzato), e soprattutto, caso quasi unico in Italia, cagliati con abomaso di agnello o capretto provenienti e poi lavorati dall’azienda stessa. Si tratta di una deroga speciale, perché per legge il caglio deve essere certificato, ci vogliono attrezzature costose e laboratorio dedicato e quindi lo comprano tutti industriale (ne ho parlato tempo fa in un post dedicato proprio ai tipi di caglio, qui).
Non contento, Loreto prepara anche formaggi a caglio vegetale, fatto sia con i fiori secchi di cardo mariano che con quelli di carciofo selvatico, colti a giugno. Ho letto su un forum di agraria che si colgono i fiori dei cardi quando hanno un colore intenso, le foglie iniziano a perdere il colore verde acceso, e nel basso iniziano un po’ ad ingiallire/seccare (da lì a poco il cardo seccherà del tutto diventando beige). Si fanno seccare all’aria a testa in giù in un posto buio per una ventina di giorni, poi se ne estraggono gli stami e i pistilli, si mettono in acqua a 42 gradi (in proporzione 1/10) e si attende 24 ore; poi si strizzano nel liquido e lo si filtra e poi si conserva in frigo. Si usano 5 grammi di questo liquido per cagliare un litro di latte.
Sullo stesso forum un altro utente scriveva che “in Portogallo, dove il caglio del cardo è molto utilizzato, prendono i pistilli e gli stami, li fanno essiccare per 10-15 giorni e quando devono coagulare il latte, invece di estrarre l’enzima con l’acqua, li prendono, li avvolgono in un pezzo di stoffa e li immergono nel latte al momento per 2-3 minuti e in questo modo, gli enzimi vengono assorbiti dal latte ed ottengono la cagliata.”
A metà mattinata ci aveva raggiunti anche il prof che veniva in diretta da Barcellona; sono stata felicissima che sia riuscito a degustare i formaggi con noi, e come vedete nel video qui sotto ha seguito anche lui molto attentamente la narrazione di Loreto.
Dopo la degustazione dei formaggi di Loreto abbiamo assaggiato anche il Parmigiano dei prati stabili polifiti di Ferrari Bio, che già dovreste conoscere perché sono già da qualche mese su Ammuìna. Questo Parmigiano ha la particolarità di essere invecchiato su tavole di legno senza seccatura meccanica, e rispetto al Parmigiano a cui siamo abituati ha una texture più morbida e pastosa. Nella foto qui sotto potete vedere in amabile conversazione la Lucia Ferrari di cui sopra con Gae Saccoccio – se seguite il pasto nudo lo conoscete già ;-) – che ha raccontato questa giornata in un post sul suo bel blog.
Finito il pranzo, offerto da Mario Zappaterreno della Mucca ballerina, a base di pasta all’uovo fatta in casa e verdure del loro orto accompagnate da pane di grano Solina e Sorgo, siamo passati alla terza degustazione, quella dei formaggi di Valle Scannese, del mitico Gregorio Rotolo. Purtroppo la luce era già andata via e non sono riuscita a fare degli scatti degni di questo nome; quello che posso dirvi è che erano assolutamente strepitosi e che lui è un autentico artista del formaggio a latte crudo (anche di lui ve ne ho già parlato sul pasto nudo, qui e qui).
Alla fine della giornata abbiamo finalmente ascoltato l’intervento, molto interessante, di Loreto Nemi. Loreto ha iniziato spiegando che il latte che lui consiglia ai suoi pazienti è sempre quello “nudo”, cioè intero, fresco, integro, meno manipolato possibile. Nel video che vedete qui sotto ho filmato i primi minuti del suo intervento, purtroppo non si sente benissimo perché c’era una gran confusione in quel momento :-P
Di tutta questa parte interessantissima ne ha parlato esaustivamente Stefano in un bellissimo articolo sul suo Qualeformaggio, al quale vi rimando. Io mi limito a raccontarvi in estrema sintesi quello che ho capito io.
Loreto ha esordito spiegandoci quanto sia importante bere un latte “nudo” (parafrasando il pasto nudo <3), vale a dire un latte dell’erba e del fieno, proveniente da animali che non sono stati forzati a produrre molto più di quanto farebbero in natura o tenuti in condizioni innaturali, cioè in pratica tutte quelle che non prevedono il pascolo alla luce del sole, in ambienti più possibile incontaminati.
Il latte proveniente da animali “felici” ha grassi molto migliori rispetto a quello convenzionale: ha un contenuto più alto di acido linoleico coniugato, il famoso CLA di cui forse avrete sentito parlare. Si tratta di un acido grasso essenziale: non siamo in grado di sintetizzarlo da soli ed è quindi fondamentale includerlo nella propria dieta. Pare che il CLA interagisca molto positivamente con il nostro sistema immunitario, con il tasso glicemico e la salute delle ossa. In natura si trova in numerosi vegetali che crescono spontanei nei prati erbosi; i ruminanti che pascolano su prati polifiti assumono anche acido linoleico, che nel loro sistema digerente viene trasformato in acido linoleico coniugato.
Per noi le fonti primarie di questo prezioso acido grasso coniugato sono quindi latte, latticini, carne di bovini, ovini, maiali e polli, oltre all’olio di girasole e a quello di cartamo.
Prima che guardiate ai grassi con orrore, vi dico che Loreto ha tenuto a precisare che i grassi (quelli buoni!) sono nostri amici! Non solo danno un senso di sazietà, facendoci fermare prima di mangiare troppo, ma rallentano anche l’assorbimento degli zuccheri. Sono importantissimi per il benessere cardiovascolare perché modulano i fenomeni di tipo infiammatorio e in grado di proteggerci dalle malattie neurodegenerative come Alzheimer e demenza senile.
Mi sembra di avervi raccontato più o meno tutto! Prima di lasciarvi però vi linko il secondo articolo che Stefano ha scritto, con i risultati delle analisi di laboratorio dei latti che abbiamo confrontato durante la degustazione, e soprattutto con la spiegazione di Loreto, senza la quale io non ci avrei capito niente.
A quanto pare il latte dell’erba e del fieno ha molti più grassi insaturi e molti meno grassi saturi rispetto a quello industriale, ha un miglior rapporto Omega6/Omega3 (valori pari o superiori a 4 sono indice di latti troppo sbilanciati verso i grassi saturi; valori inferiori a 2 di latti salubri, con un buon equilibrio saturi/insaturi), ed è più ricco di betacarotene e di retinolo, potenti antiossidanti che rafforzano il nostro sistema immunitario, la pelle e la vista, e non dimentichiamo che è anche una scelta molto più etica nei confronti dell’ambiente e soprattutto degli animali che lo producono.
L’ovvia conclusione è che, come ci ha detto e stradetto il nostro caro prof, generalizzare dicendo che “il latte e i suoi derivati fanno male” è inutile e dannoso. Il latte non è uno solo, e sicuramente un latte proveniente da animali infelici fa malissimo, ma esiste il latte virtuoso, e dobbiamo solo cercarlo. Aggiungo che noi se non troviamo il latte “nudo” beviamo latti vegetali o succo di frutta (quello serio). Consapevolezza, vieni a noi :-D
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