La Sacra Famiglia non dovette passarsela bene al tempo della natalità di Gesù se, come racconta Luca, Maria “diede alla luce il suo figlio primogenito; lo avvolse in fasce e lo adagiò in una mangiatoia, perché all’albergo per loro non c’era posto”.

Probabilmente patì “al freddo e al gelo”, come recita una triste canzoncina di Natale, e forse non aveva nemmeno un po’ di latte per sfamarsi, dal momento che nella stalla pare ci fosse un bue in compagnia di un asinello (il Santo Padre però nel suo libro sull’infanzia di Gesù ha tenuto a sfatare questo mito affermando che nella grotta non c’erano animali), e non una mucca con turgide mammelle da mungere.

Forse nemmeno i pastori pensarono di portare qualcosa da mangiare a Maria e Giuseppe, visto che – stando sempre al racconto di Luca – costoro, al sentire la lieta novella dall’Angelo, dopo un attimo di sbigottimento andarono in fretta e furia a Betleem “e trovarono Maria con Giuseppe, e il bambino adagiato nella mangiatoia”. Ancor meno pare ci abbiano pensato i re Magi che, stando al racconto di Matteo, al cospetto di bambin Gesù “aperti i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra”. Doni di sicuro preziosi, ma inadatti a sfamare chicchessia.

Dunque un Natale all’insegna della povertà e della precarietà quello della Sacra Famiglia. E noi invece a festeggiarlo gozzovigliando quasi come se avessimo digiunato per tutto l’anno. Se ce ne fosse bisogno, la televisione ci mette del suo, propinandoci a scopo pubblicitario sdolcinate canzoncine inneggianti ai buoni sentimenti cantate dagli immancabili bambini belli e felici addentanti fettone di panettone che si configurano come una vera e propria istigazione all’obesità (non sarebbe meglio censurarle, queste immagini?).

Poi ci sono gli esperti di economia e i politici che ci invitano a spendere per risollevare i consumi al ribasso per via della povertà che dilaga. Il messaggio che lanciano è lo stesso ad ogni festività: consumate di più, se no cala la produzione e quindi aumenta la disoccupazione. È un po’ come dire “bere o affogare”, cioè o vi ingozzate di cibo oppure l’economia salta e la miseria aumenta.
Io non sono un economista, ma da uomo della strada e di buon senso mi chiedo se quella di consumare, consumare, consumare, non importa quello che si consuma, sia la strada giusta per salvare l’economia di un paese dal disastro e garantire l’occupazione.
E la povera (in senso sia figurato che reale) gente che fa? Con i pochi soldi che ha va a riempire comunque il carrello al supermercato (per questa sindrome da carrello pieno la psicologia sicuramente ne avrà tante, di spiegazioni). Semmai se ne va al discount, dove i prezzi sono più bassi ma la qualità ancora di più.
Così carica il carrello di bottiglioni di aranciate (che non sono altro che acqua, zucchero e una striminzita quantità di succo di arancia), di spumanti (per fare il botto con il tappo che scoppia) di scadentissima quantità contenenti tanto metabisolfito che se alzi un po’ il gomito ti scatena un feroce mal di testa; di panettoni da 2-3 euro al chilo (costa 10 volte di più farne uno come si deve con ingredienti di qualità) che, dopo che ne hai mangiato una fetta, senti in bocca uno strano gusto per colpa degli immancabili mono e digliceridi degli acidi grassi, senza i quali il panettone industriale non potrebbe essere fatto tanti mesi prima dell’arrivo di Natale; di caramelle e confetti variopinti fatti di zucchero e di tanti coloranti che poi i bambini consumeranno con voracità quando apriranno la calza di Babbo Natale o della Befana.
È la consapevolezza che manca. Oggi, più che mai ce ne sarebbe bisogno considerato che la miseria galoppa, il cibo diventa sempre più scadente e si va a fare la spesa con il cervello sempre più frullato dalla pubblicità. Le istituzioni dovrebbero sentirsi in obbligo di fare una corretta educazione alimentare soprattutto presso le fasce più povere della popolazione.
Anche i blog potrebbero servire allo scopo, ma se fossero tutti come il pasto nudo. Invece vedo che su di loro si sta già allungando la mano dell’industria alimentare. Ce n’è uno, ad esempio – pare molto seguìto – che fa una pubblicità sfacciata al philadelphia, di cui sapete cosa penso.
Ovviamente anche l’industria dovrebbe fare la sua parte. Come? Migliorando la qualità dei prodotti e riducendo i prezzi. Attualmente i prezzi sono alti perché si confezionano i prodotti in maniera troppo raffinata e quindi costosa, la distribuzione è fatta di troppi passaggi, poi c’è l’aggravio dei costi della pubblicità.
Per ridurre i costi della distribuzione ci sono iniziative dei consumatori, come la vendita diretta, i gruppi di acquisto solidali, i negozi che si trasformano in cooperative di consumo. A tali iniziative manca però un sostegno adeguato da parte delle Istituzioni.
Insomma bisogna fare di tutto per evitare non solo che la povertà dilaghi, ma anche che la povertà non porti inesorabilmente al consumo di cibo di scadente qualità. Altrimenti, oltre all’epidemia di obesità e malattie connesse, che oggi è un primato detenuto proprio dalle fasce di popolazione più povere, ce ne sarà un’altra dovuta ai residui dei pesticidi, degli antibiotici e degli additivi, ai contaminanti come la diossina, ai piatti già pronti farciti di ingredienti che servono solo a far peso e volume.
I primi effetti del consumo di cibo senza qualità sono già sotto i nostri occhi: la fertilità maschile si è ridotta di quasi il 50%, sempre più bambini nascono con le stimmate della dermatite atopica o con allergie e intolleranze alimentari, e l’elenco potrebbe continuare, ma ne parleremo in altra occasione.
A tutti i bambini del mondo auguro che arrivi quanto prima il giorno in cui nessuno di loro avrà più a soffrire per mancanza di cibo e di amore. Ma lo scenario di questi giorni fatto di tanti bambini uccisi nel maledetto conflitto in siriano non ci fa ben sperare. Erano bambini in fila per avere un pezzo di pane con cui sfamarsi.
So che tutte le cose dette finora voi pastonudiste(i) le sapete già e che avrete anche preparato con le vostre mani gli struffoli e il panettone come la benemerita Sonia vi ha insegnato a fare (ma a quando i vesuviani roccocò e i raffiuoli?). Ma è bene riportare a coscienza ogni tanto, soprattutto a Natale, la festa che celebra la nascita di quel Bambino che forse passò i suoi primi giorni di vita in una mangiatoia assistito dai genitori che non avevano di che mangiare.
Auguro a tutte(i) voi una sempre maggiore consapevolezza e la realizzazione dei vostri ideali.